Giudizio

Giudizio
() abbreviato (d. proc. pen.)
Il (—) è uno dei riti alternativi, introdotti dal nuovo codice di procedura penale, caratterizzato dal fatto che con esso si evita il dibattimento e la decisione viene presa dal giudice allo stato degli atti. Si tratta di un rito c.d. premiale in quanto l'imputato rinuncia al dibattimento ed alle sue garanzie, accettando di essere giudicato in base agli atti raccolti nelle indagini e contenuti nel fascicolo del P.M.; in cambio, in caso di condanna, la pena è ridotta di un terzo.
Presupposto del (—), a seguito dell'intervento della L. 16-12-1999, n. 479, è la sola richiesta dell'imputato.
A seguito della riforma introdotta dalla L. 479/99, l'imputato ha la possibilità di avanzare due tipi di richiesta di giudizio abbreviato:
a) giudizio abbreviato ordinario, ai sensi del primo comma dell'art. 438, in ordine al quale il P.M. non può esprimere alcun dissenso ed il giudice è obbligato a celebrarlo;
b) giudizio abbreviato condizionato, che costituisce una novità introdotta dalla L. 479/99, consentendo all'imputato di subordinare la sua richiesta di giudizio abbreviato ad un'integrazione probatoria da effettuarsi in udienza innanzi al giudice. È onere del richiedente indicare le fonti di prova da assumere, relativamente alle quali la norma non opera preclusioni. In tale caso il giudice non è obbligato a disporre il giudizio abbreviato, ma può rigettare l'istanza o quando le prove richieste siano da lui ritenute irrilevanti o inammissibili, ovvero quando l'assunzione di esse determinerebbe un appesantimento dell'iter dell'udienza incompatibile con la sua natura di rito agile.
In ogni caso, il giudice può disporre d'ufficio un'attività di integrazione probatoria, se lo ritiene necessario ai fini della decisione (art. 4415).
Se, a seguito delle nuove acquisizioni probatorie, il P.M. muta l'imputazione, l'imputato può revocare la richiesta di giudizio abbreviato (art. 441bis).
Il giudizio, se è accolta la richiesta di (—), viene definito nell'udienza preliminare dal giudice dell'udienza preliminare; va sottolineato che la decisione, in questo caso, è presa da un giudice monocratico (si è così messo in discussione il principio della collegialità, che costituiva una caratteristica basilare del sistema processuale penale). In caso di processo con detenuti, il provvedimento di ammissione del (—) fa iniziare una nuova fase processuale con decorso di nuovi termini di custodia preventiva (art. 3031, lett. b-bis). Il (—) si svolge in pubblica udienza quando ne fanno richiesta tutti gli imputati.
In caso di condanna, la pena che il giudice determina in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze, va ridotta di un terzo; con ciò si intende premiare l'imputato per aver rinunciato al dibattimento.
Notevoli limiti incontra la possibilità di appellare la sentenza emessa al termine del (—) [Appello].
Il (—) è applicabile ai reati punibili con la pena dell'ergastolo: in tal caso, alla pena dell'ergastolo è sostituita la reclusione di anni 30; all'ergastolo con isolamento diurno (art. 72 c.p.) è sostituito l'ergastolo senza isolamento.
Il (—) può essere instaurato anche a seguito di conversione di un diverso giudizio speciale (es. giudizio immediato; procedimento per decreto). Assume connotati particolari quando derivi dalla conversione del giudizio direttissimo, in tal caso, infatti, il (—) si svolge dinanzi allo stesso giudice del dibattimento, senza che si realizzi una trasmissione degli atti al giudice per le indagini preliminari.
() cautelare amministrativo (d. amm.)
Il (—) è il giudizio teso all'adozione di misure preventive volte a preservare le utilità fornite dalla eventuale sentenza favorevole di cognizione da eventi che possono manifestarsi durante il corso del processo.
L'originario dettato dell'art. 21 L. 1034/1971 prevedeva come unica misura cautelare la sospensione del provvedimento amministrativo, non concedendo spazio alla tutela atipica ex art. 700 c.p.c.
L'art. 3 della L. 205/2000 di riforma della giustizia amministrativa ha modificato l'art. 21 suindicato prevedendo un ampliamento dei poteri del giudice amministrativo in sede cautelare a tutte le misure (ivi compresa l'ingiunzione a pagare una somma di denaro) idonee ad evitare un pregiudizio grave ed irreparabile - c.d. periculum in mora - lamentato dal ricorrente.
Il legislatore, in sede di riforma, accanto al periculum in mora ha fatto espresso riferimento, tra i presupposti della tutela, alla ragionevole previsione dell'esito del ricorso c.d. fumus boni iuris.
L'ordinanza cautelare ha, in sintesi, le seguenti caratteristiche:
— strumentalità, rispetto al giudizio di merito, nel senso che evita che gli effetti dello stesso possano essere vanificati dal decorso del tempo;
— provvisorietà, può venire cioè revocata o modificata dal G.A. nel caso in cui vengano meno i presupposti di cui sopra;
— interinalità, ossia la cessazione dei suoi effetti con la pronuncia della sentenza di merito. Non sono pertanto consentite misure cautelari che producano effetti irreversibili.
Dal punto di vista procedurale significative novità sono rappresentate:
— dalla possibilità di disporre di una cauzione per le ipotesi in cui dall'esecuzione del provvedimento cautelare possano derivare effetti irreversibili;
— dalla possibilità nei casi di estrema gravità ed urgenza per il Presidente (del T.A.R. o Sezione) di disporre misure cautelari provvisorie volte a tutelare la posizione del ricorrente fino alla trattazione collegiale della domanda;
— dalla possibilità per il giudice di decidere direttamente nel merito il ricorso. L'esercizio di tale potere è circondato da una serie di cautele: infatti il giudice deve avere accertato la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria; la sussistenza dei presupposti e deve avere sentito sul punto le parti costituite.
Infine, si ricordi che il co. 10 dell'art. 21 L. T.A.R. ha previsto espressamente l'appellabilità delle ordinanze cautelari davanti al Consiglio di Stato.
() d'accusa contro il Presidente della Repubblica (d. cost.)
La Costituzione affida alla Corte costituzionale la competenza a giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica (art. 90 Cost.) per i reati di alto tradimento o attentato alla Costituzione. In questo caso, dato il carattere estremamente politico del giudizio della Corte, quest'ultima viene integrata da altri 16 membri forniti dei requisiti di eleggibilità a senatore, estratti a sorte da un elenco di 45 cittadini, formato dal Parlamento in seduta comune ogni nove anni.
Il Presidente della Repubblica viene messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri (al fine di evitare manovre politiche contro la più alta carica dello Stato).
Nel caso in cui la discussione parlamentare si concluda con il raggiungimento del quorum richiesto, il Presidente della Camera trasmette gli atti alla Corte costituzionale, indicando i nominativi dei commissari parlamentari che hanno il compito di sostenere l'accusa nel giudizio corrispondente.
La Corte decide in camera di consiglio e alla votazione partecipano tutti i giudici che hanno presenziato allo svolgimento delle fasi preliminari del (—) (fase delle indagini e fase dibattimentale). Nella votazione non è ammessa astensione e nell'ipotesi di parità di voti è prevalente la decisione più favorevole all'imputato.
La sentenza è irrevocabile; tuttavia è ammissibile, a certe condizioni, (sopravvenienza di elementi nuovi significativi dell'estraneità dell'imputato agli addebiti contestatigli) la richiesta di revisione.
() di conformità (d. comm.)
È il giudizio cui l'art. 155 D.Lgs. 58/98 sottopone il bilancio delle società quotate in borsa e negli altri mercati regolamentati, svolto da parte di una società di revisione al fine di constatare l'attendibilità del bilancio stesso e la sua corrispondenza alle risultanze delle scritture contabili.
Al termine delle proprie verifiche la società di revisione può fornire un giudizio positivo con o senza rilievi, un giudizio negativo ovvero una dichiarazione di impossibilità ad emettere un giudizio.
Il giudizio della società di revisione, peraltro, non vincola l'assemblea, che potrà approvare il bilancio anche in caso di esito negativo. Tuttavia, in caso di giudizio negativo o di impossibilità ad emettere un giudizio, la delibera che approva il bilancio può essere impugnata da ogni socio singolarmente, laddove in caso di giudizio positivo per tale impugnazione occorrono tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale.
La riforma del diritto societario (D.Lgs. 6/2003) ha previsto che anche il controllo contabile della società per azioni che non abbiano titoli quotati nei mercati regolamentati debba essere affidato ad un revisore esterno o ad una società di revisione, iscritti nell'apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia.
() di costituzionalità delle leggi (d. cost .)
Funzione esercitata dalla Corte costituzionale volta a valutare la legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, in particolare:
— le leggi costituzionali e di revisione costituzionale sindacabili per i vizi formali relativi alla regolarità del procedimento di formazione di cui all'art. 138 Cost. e sotto il profilo della conformità ai principi supremi dell'ordinamento (es. principio di uguaglianza; principio di democraticità della Repubblica e di sovranità popolare; principio di rigidità della Carta costituzionale);
— le leggi ordinarie dello Stato sindacabili, invece, senza alcuna limitazione;
— gli atti aventi forza di legge: cioè i decreti-legge e i decreti legislativi emanati dal Governo. La Corte costituzionale ha precisato che i decreti-legge possono essere oggetto del suo sindacato anche relativamente ai presupposti di necessità ed urgenza (sent. n. 29/1995) e che la sua valutazione di legittimità può anche trasferirsi da un decreto decaduto a quello che lo reiteri, qualora la norma del primo venga riprodotta fedelmente nel secondo (sent. n. 84/1996);
— i decreti del Presidente della Repubblica contenenti le norme di attuazione degli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale;
— le leggi regionali e leggi delle Province di Trento e Bolzano: l'art. 127 ne prevede la sindacabilità quando eccedono la loro competenza;
— gli Statuti regionali, che pur non essendo più approvati con legge del Parlamento, ma dallo stesso Consiglio regionale, sono espressamente assoggettati al sindacato di costituzionalità dall'art. 123 Cost., come modificato dalla L. cost. 1/1999;
— il referendum abrogativo che potrebbe generare effetti non conformi alla Costituzione, con conseguente sindacabilità della disciplina normativa da esso risultante.
Il (—) si può instaurare in via principale o in via incidentale.
Nel primo caso, l'impugnazione della legge è compiuta direttamente con ricorso alla Corte costituzionale, al di fuori e in mancanza di qualsiasi controversia giudiziaria in atto. Esso può essere promosso:
— dal Governo, per l'impugnativa delle leggi regionali (art. 127 Cost.);
— dalle Giunte delle Regioni, per l'impugnativa delle leggi statali o di altre Regioni;
— dalle Province di Trento e Bolzano, le quali hanno autonoma competenza per impugnare leggi sia statali che regionali.
Nel (—) in via incidentale, l'impugnazione ha origine da una controversia giudiziaria pendente innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria o amministrativa. Nel corso di tale controversia viene eccepita l'incostituzionalità della legge da applicare, ed allora il giudice, accertata la non manifesta infondatezza e la rilevanza della questione, rinvia gli atti alla Corte costituzionale, sospendendo la causa, affinché la Corte decida la questione.
() di ottemperanza (d. amm.)
È il giudizio instaurato con ricorso dinanzi al giudice amministrativo, affinché la pubblica amministrazione si uniformi alle decisioni del giudice ordinario o del giudice amministrativo.
Il (—), previsto in origine per l'esecuzione solo delle sentenze del giudice ordinario, è stato esteso, poi, alle sentenze del giudice amministrativo (e dei giudici speciali) prima attraverso la giurisprudenza amministrativa e poi la legge istitutiva dei T.A.R. (art. 37). La necessità del (—) sorge dal fatto che l'obbligo di adempimento alle sentenze non sempre è nettamente determinato nel contenuto, potendo in alcuni casi la P.A. scegliere tra varie forme di adeguamento della realtà di fatto a quella giuridica disposta dal giudice.
L'interessato, pertanto, mentre ha un vero e proprio diritto soggettivo all'adempimento ha, tuttavia, un mero interesse legittimo in ordine alla scelta, da parte della P.A., dell'una o dell'altra forma: così si spiega perché egli deve rivolgersi al giudice amministrativo.
Per tale motivo, inoltre, la competenza del giudice amministrativo è una competenza estesa al merito.
Presupposti essenziali per il (—) sono:
— l'esistenza di una sentenza passata in giudicato: è stata infatti tradizionalmente esclusa l'ammissibilità del (—) per le decisioni dei ricorsi amministrativi e per le sentenze esecutive di primo grado non passate in giudicato.
Per ciò che concerne il presupposto del giudicato è necessario segnalare le novità introdotte dalla L. 205/2000. Infatti, la normativa di riforma ha previsto un giudizio analogo al (—) e quindi con i poteri di cui all'art. 27 R.D. 1054/1924, per l'esecuzione delle sentenze non sospese del Consiglio di Stato (art. 10, L. 205/2000) ed altresì per l'inottemperanza alle misure cautelari concesse (art. 3, L. 205/2000). Ed ancora la medesima legge, nell'ipotesi di cui all'art. 2 (inadempimento della P.A. a fronte all'accoglimento totale o parziale del ricorso di primo grado) ha attribuito al giudice amministrativo il potere di nominare un commissario ad acta che provveda in luogo dell'amministrazione;
— la necessità di un provvedimento della P.A. successivo alla pronuncia del giudice. Di fronte a sentenze autoesecutive, nelle quali la soddisfazione della posizione giuridica lesa si realizza con il semplice effetto distruttivo dell'atto amministrativo, il (—) è inammissibile;
— la messa in mora della P.A. inadempiente;
— la persistenza nell'inadempimento dell'Amministrazione. Su quest'ultimo punto, la giurisprudenza riconosce l'inadempimento non solo quando vi sia inerzia totale, ma anche quando vi sia un adempimento parziale, un inizio di adempimento o un comportamento elusivo del giudicato che si verifica quando il provvedimento emanato in esecuzione di esso ignora e palesemente trascura il sostanziale contenuto del giudicato, manifestando il reale intendimento dell'amministrazione di sottrarvisi.
L'oggetto del (—) è l'accertamento della inadempienza dell'amministrazione e l'assunzione delle misure atte a rimediarvi.
Circa la competenza per materia, l'art. 37 della L. 1034/1971 ha attribuito:
— nell'esecuzione del giudicato ordinario, la competenza ai T.A.R. quando l'autorità amministrativa chiamata a conformarsi sia un ente che eserciti la sua attività esclusivamente nei limiti della circoscrizione del tribunale amministrativo regionale. In tutti gli altri casi la competenza spetta al Consiglio di Stato in unico grado;
— nell'esecuzione del giudicato amministrativo, la competenza ai T.A.R. quando si tratti di esecuzione ai propri giudicati (sia pure confermati in appello) e al Consiglio di Stato quando si tratti di azioni relative all'esecuzione delle proprie decisioni in un unico grado e di quelle emesse in sede di appello riformando, sia pur solo in parte, la decisione di primo grado dei T.A.R.
() di responsabilità amministrativa (d. amm.)
Il (—) è diretto ad accertare la responsabilità degli impiegati e dei funzionari pubblici per i danni prodotti all'amministrazione [Responsabilità (amministrativa)].
Il (—) si svolge davanti alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti su iniziativa del Pubblico Ministero contabile e tende all'accertamento del quantum del danno arrecato dal funzionario alla pubblica amministrazione.
Il Pubblico Ministero attiva l'azione di responsabilità sulla base delle notitiae damni relative al compimento di fatti produttivi di danno per la pubblica amministrazione. Sulla scorta di tali notizie, comunque acquisite, il Pubblico Ministero, con ampia discrezionalità, apre un'istruttoria, al termine della quale decide se instaurare il giudizio oppure archiviare.
Nel primo caso, il Pubblico Ministero invita il presunto responsabile a depositare le proprie deduzioni ed eventuali documenti ed emana il decreto di citazione in giudizio, che va notificato al convenuto. Quest'ultimo si costituisce in giudizio, personalmente o con il patrocinio legale, almeno venti giorni prima dell'udienza fissata in calce all'atto di citazione. Normalmente nel (—) l'udienza di discussione è contemporaneamente prima udienza di trattazione, udienza per le deduzioni istruttorie e udienza di discussione della causa.
Individuato il danno patrimoniale la Corte può, valutato il comportamento del soggetto nella sua globalità, ridurre l'imputazione di esso al soggetto stesso, proporzionando quindi l'entità del risarcimento al grado di colpevolezza.
Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 5 anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta.
() di responsabilità contabile (d. amm.)
Il (—) ha ad oggetto la responsabilità [Responsabilità (contabile)] di coloro (gli agenti contabili) che hanno il maneggio, di diritto o di fatto, del denaro o, in genere, dei valori della pubblica amministrazione ed è instaurato all'atto della presentazione del conto giudiziale, a prescindere dall'eventuale denuncia di irregolarità.
Il giudice competente a conoscere della responsabilità è la Corte dei Conti. L'agente contabile è tenuto, entro i due mesi successivi alla chiusura dell'esercizio cui si riferisce il conto stesso, o successivi alla cessazione del contabile dall'ufficio per qualsiasi causa, a rendere il conto per il tramite dell'amministrazione da cui dipende o direttamente. La presentazione del conto costituisce in giudizio l'agente. Se il conto non è presentato in tempo utile si procede al giudizio per resa di conto a carico del contabile, mediante istanza del pubblico ministero contabile diretta al presidente della sezione competente affinché questi emani il decreto di fissazione dell'udienza, da notificarsi all'agente contabile inadempiente. Si stabilisce, in questo modo, un termine per la presentazione del conto, decorso inutilmente il quale l'agente può essere condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria.
Radicatosi il giudizio a seguito della presentazione, spontanea o imposta, del conto, questo viene assegnato ad un magistrato relatore dotato di ampi poteri istruttori. Il giudice istruttore presenta una relazione in cui propone il discarico del contabile, oppure la condanna per la somma che risulti scoperta o la rettifica dei resti da riprendersi nel conto successivo o l'adozione di provvedimenti interlocutori. Se il relatore e il Pubblico Ministero concludono per il discarico dell'agente, il conto viene approvato dal presidente di sezione. Se non vi è concordanza fra relatore, pubblico ministero e presidente della sezione, il processo continua fino alla decisione della sezione, che può essere di discarico del contabile o di condanna dello stesso. Contro tale ultima decisione l'agente contabile che non abbia effettivamente partecipato al giudizio (come ordinariamente avviene) può proporre opposizione contabile alla stessa sezione che ha pronunciato la decisione di condanna.
Ai sensi dell'art. 2, L. 20/1994, il (—) si estingue se, decorsi 5 anni dal deposito del conto, non venga depositata la relazione da parte del referendario, o non siano elevate contestazioni da parte dell'amministrazione, degli organi di controllo o del procuratore regionale.
La Corte dei Conti esercita la giurisdizione contabile anche nei confronti degli amministratori e dipendenti delle Regioni e degli enti locali.
Per le Regioni la materia (prima regolata dalla L. 335/1976) è disciplinata dall'art. 33 del D.Lgs. 28-3-2000, n. 76 che ha abrogato la suindicata legge. Tale articolo circoscrive l'imputabilità agli amministratori e dipendenti dell'ente regionale ai soli casi e negli stessi limiti di cui alla L. 20/1994.
Per ciò che concerne il (—) relativamente al personale degli enti locali il D.Lgs. 267/2000 all'art. 93 (che riformula il contenuto dell'art. 58 L. 142/1990) sancisce espressamente che il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali (es. consegnatario ed economo, cc.dd. agenti contabili interni) nonché coloro che si ingeriscono negli incarichi attribuiti a detti agenti devono (cc.dd. agenti contabili di fatto) rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti, secondo la normativa di specie (art. 93, comma 2). Il T.U.E.L. dispone inoltre che, salva espressa richiesta della Corte dei Conti, gli agenti contabili degli enti locali non sono tenuti alla trasmissione della documentazione occorrente per il giudizio di conto, ai sensi dell'art. 74 R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e degli artt. 44 ss. R.D. 12 luglio 1934, n. 1214.
L'azione di responsabilità si prescrive in cinque anni dalla commissione del fatto; la responsabilità è personale ed è esteso all'ordinamento locale il regime dell'illecito arricchimento previsto per tutti i dipendenti ed amministratori pubblici ex L. 20/1994.
() di rinvio nel processo civile (d. proc. civ.)
Il (—) è quello conseguente alla cassazione con rinvio della sentenza impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione [Ricorso (per Cassazione)].
Col (—) si tende a sostituire alla sentenza cassata (annullata) una nuova sentenza: per questo la dottrina lo considera come una prosecuzione del giudizio la cui sentenza conclusiva fu cassata, pur con caratteristiche proprie che lo rendono autonomo rispetto ai precedenti giudizi.
Il giudice del (—) è investito di poteri autonomi ed il processo si svolge secondo le norme ordinarie del procedimento di cognizione, di primo o di secondo grado.
La disciplina del (—) può così sintetizzarsi:
— la riassunzione della causa avviene, a cura delle parti, con atto di citazione [Citazione] notificato personalmente; il termine è di un anno dalla pubblicazione della sentenza di cassazione;
— se la causa non viene riassunta nel termine o se si avvera successivamente una causa di estinzione del (—), l'intero processo si estingue;
 le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata, per cui sono soggette alle preclusioni e alle decadenze maturate nel giudizio concluso con la sentenza annullata;
— può essere deferito il giuramento decisorio [Giuramento], ma le parti non possono formulare conclusioni diverse da quelle formulate nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata (non possono, cioè, proporre nuove domande o eccezioni, nuove istanze istruttorie, nuove tesi difensive, etc.), salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza di cassazione: ciò si verifica quando, a seguito dell'annullamento della sentenza impugnata, i termini della controversia che il giudice di rinvio è chiamato a decidere si configurino in modo diverso da quello delineato dalle parti nelle precedenti fasi del giudizio e sorga, conseguentemente, la necessità di illustrare ed eventualmente istruire questioni di diritto o di fatto diverse da quelle decise nelle precedenti fasi del giudizio, rilevanti ai fini del decidere (si pensi, ad esempio, al caso in cui la Cassazione, nell'annullare con rinvio la sentenza, abbia definito in modo diverso il rapporto controverso);
— possono essere prodotti nuovi documenti se ciò è reso necessario dalla sentenza di annullamento con rinvio o se se si tratta di documenti che non è stato possibile produrre prima per cause di forza maggiore;
— possono essere disposti la consulenza tecnica d'ufficio, l'ispezione e l'interrogatorio libero delle parti [Interrogatorio (nel processo civile)].
Nel (—) l'esame del giudice è limitato alle parti della sentenza che sono state cassate.
Il giudice del (—) è altresì vincolato all'osservanza del principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza in cui ha disposto il rinvio, ma, all'interno di questi limiti, il giudice del rinvio è assolutamente libero (ad es.: può interpretare la sentenza della Corte).
() di rinvio nel processo penale (d. proc. pen.)
Processo che si svolge a seguito di annullamento da parte dalla Corte di cassazione, che trasmette il relativo procedimento ad altro giudice, tenuto a uniformarsi ai principi di diritto fissati dalla Cassazione nella sentenza di annullamento. Ove il giudice non vi si attenga, la sua decisione diviene impugnabile per tale inosservanza. Tale obbligo viene meno in caso di abrogazione o dichiarazione di incostituzionalità della normativa da applicare. Il giudice del rinvio procede nelle forme a lui consuete e dinanzi a lui non possono più rilevarsi nullità o cause di inammissibilità preesistenti o coeve al giudizio di Cassazione, giacché questo copre il dedotto ed anche il mero deducibile.
() direttissimo (d. proc. pen.)
È un procedimento speciale caratterizzato dalla mancanza dell'udienza preliminare, considerata inutile per la particolare evidenza della prova (es. in caso di arresto in flagranza, ovvero di confessione dell'imputato), sì che il dibattimento si celebra immediatamente, contemporaneamente al giudizio di convalida dell'arresto o, al più, nel caso di confessione o di arresto precedentemente convalidato, nei 15 giorni dall'arresto (o, in caso di imputato a piede libero, dall'iscrizione del suo nome nel registro delle notizie di reato). Inoltre l'art. 233 disp. att. c.p.p. prescrive tale rito come ordinario quando il reato concerna armi o esplosivi e non siano necessarie speciali indagini.
Comunque, le parti possono consentire alla celebrazione del rito anche se l'arresto non sia stato convalidato (art. 4492 c.p.p.).
La scelta del (—) è operata dal P.M. e all'imputato non viene riconosciuta alcuna riduzione di pena. Il dibattimento si svolge nelle forme tradizionali, a meno che l'imputato non chieda il rito abbreviato [Giudizio (abbreviato)] ovvero il patteggiamento.
Va sottolineato che questo rito risulta speciale anche perché comporta deroghe a quello ordinario: ad esempio, i testi vengono presentati direttamente in udienza (art. 451 c.p.p.). Per quanto attiene, invece, al materiale utilizzabile per la decisione, valgono le regole generali, per cui si procederà ad una completa istruttoria dibattimentale.
Nel procedimento dinanzi al Tribunale in composizione monocratica il P.M. può procedere al (—) nelle ipotesi della confessione resa dall'imputato nel corso dell'interrogatorio e a quella della preventiva convalida dell'arresto seguita dalla richiesta di (—) nei 15 giorni successivi all'arresto stesso (art. 566 c.p.p.).
() immediato (d. proc. pen.)
È un procedimento speciale caratterizzato dalla mancanza dell'udienza preliminare.
Assai simile al giudizio direttissimo, se ne differenzia innanzitutto perché esso viene disposto, su richiesta del P.M. o dell'imputato, con decreto del G.I.P.; inoltre, si richiede che la prova sia evidente e che il giudizio venga instaurato nei 90 giorni dalla iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro (art. 453 c.p.p.). È infine necessario che l'imputato sia stato interrogato su fatti dai quali emerga l'evidenza della prova.
La richiesta può provenire, oltre che dal P.M., anche dall'imputato, al quale tuttavia non è riconosciuta alcuna riduzione di pena, a meno che non richieda il giudizio abbreviato o il patteggiamento (ma se il (—) è stato chiesto dall'imputato, questi non potrà chiedere il giudizio abbreviato).
Mentre per instaurare il giudizio direttissimo il P.M. non ha bisogno di rivolgersi al G.I.P. [Giudice (per le indagini preliminari)], in questo rito deve chiedere al giudice il decreto con cui dispone il (—) (art. 455 c.p.p.).
La specialità del rito è segnata dalla mancanza dell'udienza preliminare, perché il decreto del giudice che dispone il (—) viene adottato senza l'intervento di alcuna parte, sulla sola base di un controllo delle condizioni legittimanti la richiesta.
Si noti che mentre la richiesta del P.M. deve trovare conforto nelle condizioni indicate (evidenza della prova, richiesta nei 90 giorni dall'iscrizione della notizia di reato, avvenuto interrogatorio dell'imputato o almeno la contestazione del fatto all'imputato non comparso), per l'imputato l'unica condizione è che la richiesta intervenga prima della celebrazione della fissata udienza preliminare (artt. 4195 e 4533 c.p.p.).
Emesso il decreto e notificatolo alle parti, il G.I.P. dovrà trattenere gli atti per dar modo all'imputato di richiedere eventualmente (entro 15 giorni) il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena sull'accordo delle parti (art. 457 c.p.p.). Ove tale richiesta non sia presentata, si provvederà alla formazione del fascicolo per il dibattimento nello stesso modo previsto dall'art. 431 c.p.p.
() per decreto penale (d. proc. pen.)
() possessorio (d. proc. civ.)
È il giudizio promosso con le domande (artt. 703 ss. c.p.c.) di reintegrazione e di manutenzione nel possesso dai legittimati attivi alla tutela del potere di fatto sulla cosa (possesso). È proponibile anche dal proprietario che abbia la materiale disponibilità della cosa per ottenere una tutela più rapida ed efficace [Azione (civile)].
Il (—) possessorio, quindi, viene attivato dall'interessato con la finalità immediata di tutelare il possesso contro qualsiasi turbativa, ovvero di garantire il ripristino di una situazione che appare, a prima vista, illegittimamente compromessa o turbata.
La riforma del 2005 (L. 80/2005) ha ribadito la reclamabilità dei provvedimenti possessori e ha previsto che la fissazione, da parte del giudice dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito è subordinata a un'espressa richiesta di una delle parti, da formulare nel termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo o del provvedimento che ha deciso in prima battuta sulla richiesta possessoria.
Il ricorso che introduce il (—) possessorio si propone al tribunale del luogo nel quale è avvenuto il fatto denunciato. Se, invece, la domanda viene proposta nel corso di un giudizio petitorio (nel quale cioè si controverte circa l'appartenenza del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa), la domanda possessoria si propone al giudice davanti al quale pende il giudizio petitorio (art. 704, comma 1, c.p.c.); tuttavia, anche in questo caso l'art. 704, comma 2, c.p.c. consente all'interessato — limitatamente ai casi di avvenuto spoglio — di rivolgere la domanda diretta ad ottenere la reintegra nel possesso al giudice competente ante causam. La rimessione delle parti al giudice davanti al quale pende il giudizio petitorio è affidata all'iniziativa della parte interessata.
Il procedimento è caratterizzato da due fasi: la prima, di natura sommaria, limitata all'emanazione dei provvedimenti immediati e sottoposta, nei limiti della compatibilità, alle norme sul procedimento cautelare e uniforme (artt. 669bis ss. c.p.c.), si conclude con ordinanza reclamabile; la seconda, soltanto eventuale, si apre su richiesta di una delle parti, si svolge secondo le norme del processo ordinario e si conclude con sentenza. che definisce l'intero procedimento possessorio nel merito.