Interesse

Interesse
() ad agire (d. proc. civ.)
È il bisogno di tutela giurisdizionale: interesse (o bisogno) non dunque per il bene materiale che sta alla base del diritto vantato, bensì per quell'ulteriore diverso bene (ossia la tutela giurisdizionale) che può conseguirsi attraverso l'attività giurisdizionale. Ai fini della sussistenza dell'(—) occorre, pertanto, che il diritto vantato dall'attore sia oggetto di contestazioni da parte di un diverso soggetto.
L'(—) è annoverato fra le condizioni dell'azione, requisiti necessari affinché l'azione possa raggiungere la finalità cui è diretta, di modo che il giudice, a conclusione del processo, emani un provvedimento riguardante il merito della causa.
All'(—) fa riferimento l'art. 100 c.p.c. secondo il quale per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse.
Tale interesse sussiste allorché il ricorso al giudice si presenti come indispensabile per evitare un danno ingiusto.
Per la sussistenza dell'(—) non si richiede alcuna indagine sulla fondatezza della pretesa, la quale attiene invece al merito della domanda; la sua esistenza si determina in base al vantaggio che si spera di conseguire con l'azione proposta.
L'(—) si specifica, cioè, in quel rapporto di utilità esistente tra la lesione di un diritto così come affermata e il provvedimento di tutela giurisdizionale richiesto; esso deve essere concreto, cioè effettivo e attuale, ossia esistente quanto meno al momento della decisione [Sentenza].
La mancanza dell'(—) comporta il rigetto della domanda, per inesistenza dell'azione ed il giudice non sarà tenuto ad esaminare il merito.
() legittimo (d. amm.)
L'(—) è una situazione giuridica soggettiva individuale che ha trovato riconoscimento nel nostro ordinamento con la L. 5982/1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, quale giudice di quegli interessi sostanziali diversi dai diritti soggettivi che fino ad allora erano rimasti del tutto sforniti di tutela.
Di (—) si occupano espressamente tre norme della Costituzione, gli artt. 24, 103 e 113, tese appunto a riconoscere a tali interessi piena dignità e tutela, ma in realtà nessuna di esse né altra norma positiva si occupa di fornire una definizione di (—). In particolare, tale espressione si deve alla dottrina, la quale si è subito preoccupata di individuarne la portata, al fine di riconoscere agli (—) piena autonomia rispetto ai diritti soggettivi.
I primi orientamenti costruiscono gli (—) come posizione individuale tutelata solo in quanto coincidente con la tutela dell'interesse pubblico.
Secondo tale orientamento, la tutela degli (—) è occasionale, in quanto non mira esclusivamente a soddisfare l'interesse individuale, bensì a riparare un atto amministrativo illegittimo che, in qualche modo, crea degli svantaggi al privato (teoria dell'interesse occasionalmente protetto).
Successivamente gli (—) vengono identificati con l'interesse a ricorrere [Interesse (ad agire)] attribuito al soggetto al fine di ottenere l'annullamento del provvedimento illegittimo (Guicciardi).
Altra parte della dottrina, invece, individua nella legittimità del comportamento dell'amministrazione l'oggetto proprio degli (—), i quali vengono intesi come pretesa del singolo alla legittimità dell'atto amministrativo, ovvero ad un corretto esercizio del potere da parte della P.A. Secondo tale tesi, gli (—) trovano la loro fonte nel principio di legalità [Legalità (Principio di)] che impone alla P.A., nell'esercizio delle sue potestà, di astenersi dal porre in essere provvedimenti illegittimi.
Posto quindi che sia il diritto soggettivo che l'(—) hanno alla base un interesse materiale protetto dall'ordinamento, essi vanno differenziati in base al grado di protezione (nel senso che il diritto soggettivo consta di poteri atti a soddisfare sempre e pienamente, con o senza la mediazione di un'altrui condotta, l'interesse materiale, mentre l'(—) è tutelato non immediatamente e pienamente, bensì in funzione della realizzazione dell'interesse pubblico generale attraverso l'esercizio del potere pubblico), e alle forme di protezione, in quanto la titolarità del diritto soggettivo legittima il privato ad ottenere, in sede amministrativa o giurisdizionale, soltanto pronunce di natura reintegratoria o risarcitoria mentre l'(—) offre possibilità di tutele più ampie e differenziate quali ad esempio il:
— potere di richiedere l'annullamento dell'atto amministrativo illegittimo al giudice amministrativo;
— potere di provocare l'eliminazione dell'atto attraverso il ricorso amministrativo;
— potere di partecipare al procedimento amministrativo anteriormente alla formazione dell'atto;
— potere di dare inizio al procedimento amministrativo quando ciò sia consentito.
Dell'(—) esistono varie specie: alla dottrina tradizionale (Sandulli) risale la distinzione tra interessi occasionalmente protetti e diritti affievoliti.
I primi sono gli interessi materiali protetti esclusivamente in maniera indiretta, tramite la soddisfazione dell'interesse collettivo, scopo immediato della norma di natura pubblica.
I secondi, invece, nati per spiegare il comportamento del diritto soggettivo nel suo scontro con il potere autoritativo, sono oggetto di varie specificazioni dottrinali.
Secondo altra dottrina, gli (—) si distinguono, in base al criterio dell'esistenza di un nesso giuridicamente rilevante tra l'(—) e un sottostante interesse materiale, in due grandi categorie:
a) interessi sostanziali;
b) interessi formali, detti anche strumentali od indiretti, nei quali rientrano i cd. interessi procedimentali.
Gli interessi sostanziali, a loro volta, in base al criterio del contenuto del potere attribuito al titolare nei confronti di una potestà amministrativa, si distinguono in:
a) interessi al procedimento (o partecipativi);
b) interessi all'annullamento di un provvedimento lesivo di un interesse materiale giuridicamente protetto (o oppositivi);
c) interessi ad una attività amministrativa (o pretensivi).
Caratteri in parte peculiari hanno, infine, un'ultima categoria di interessi, e cioè gli interessi relativi al contenzioso elettorale.
Grossi dubbi in passato si sono posti in dottrina e giurisprudenza sulla possibilità che gli (—) possano essere risarciti in caso di lesione.
Una vera e propria rivoluzione è maturata in tema di accordabilità, al titolare dell'interesse legittimo illegittimamente leso, della tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. Mentre in passato, a fronte di una dottrina propensa alla soluzione positiva, si registrava una giurisprudenza arroccata su di una posizione decisamente negativa, con la pronuncia della Cass., S. u., 22-7-1999, n. 500 il Giudice di legittimità, ribaltando completamente il precedente orientamento, ha riconosciuto la risarcibilità dei danni da lesione di (—). Il principio è stato positivizzato dall'art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205, norma la quale, nel riscrivere il dettato dell'art. 7 della L. 1034/1971, ha previsto la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a tutte le controversie risarcitorie nell'ambito della sua giurisdizione sia esclusiva che di legittimità.