Ricorso

Ricorso
() amministrativo (d. amm.)
Istanza diretta ad ottenere l'annullamento, la revoca o la riforma di un atto amministrativo nel rispetto delle forme e dei termini previsti dalla legge.
Le forme che assumono i (—) sono: il (—) gerarchico proprio, il (—) gerarchico improprio, l'opposizione e il ricorso straordinario al Capo dello Stato.
() gerarchico proprio
È un rimedio amministrativo ordinario e generale, consiste nell'impugnativa di un atto non definitivo proposta dal soggetto interessato all'organo gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l'atto, a tutela sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi, con il quale si possono far valere sia vizi di legittimità che di merito.
Il ricorso gerarchico presuppone, per la sua esperibilità:
— un rapporto di gerarchia esterna (salvo casi eccezionali in cui è ammesso il ricorso al di fuori di tale gerarchia: ricorso gerarchico improprio);
— la non definitività dell'atto impugnato;
— l'interesse a ricorrere, da parte di chi lo propone.
() gerarchico improprio
È un rimedio di carattere eccezionale previsto in alcuni casi in cui non esiste alcun rapporto di gerarchia. Si tratta di un (—) ordinario impugnatorio proposto ad:
— organi individuali avverso deliberazioni di organi collegiali e viceversa;
— organi collegiali avverso deliberazioni di altri organi collegiali;
— organi statali avverso provvedimenti di altro ente pubblico;
— organi statali avverso provvedimenti di organi di vertice (es.: Ministri).
Tale ricorso:
— ha carattere eccezionale (non è quindi rimedio di ordine generale);
— è ammesso solo nei casi tassativi previsti dalla legge;
— la procedura relativa è differente da caso a caso; in mancanza si applicano per analogia, ove possibile, le norme sul ricorso gerarchico proprio.
() in opposizione
È un (—) amministrativo atipico, rivolto alla stessa autorità che ha emanato l'atto, anziché a quella superiore gerarchicamente.
Non è un rimedio di carattere generale ma eccezionale, utilizzabile solo nei casi tassativi in cui la legge lo ammette.
Può essere proposto sia per motivi di legittimità che di merito, e sia a tutela di interessi legittimi che di diritti soggettivi.
Il termine per la sua proposizione è quello generale di 30 giorni dalla notifica o emanazione dell'atto impugnato: ma la legge può prevedere, nei singoli casi, termini diversi.
() incidentale (d. proc. civ.)
() nel processo civile (d. proc. civ.)
Atto introduttivo di un giudizio, caratterizzato dal contatto della parte con il giudice prima di quello con la controparte.
È una forma alternativa alla citazione, tipica di alcuni procedimenti.
I (—) sono disciplinati da norme particolari per ogni tipo di processo.
In particolare, il (—) è atto introduttivo del giudizio in Cassazione, del processo di lavoro, del procedimento per ingiunzione e per tutti i procedimenti di volontaria giurisdizione.
Inoltre, assume la forma di (—) qualsiasi istanza che le parti debbano rivolgere al giudice nel processo esecutivo.
Dopo il deposito del (—), il giudice vi oppone in calce il suo provvedimento (di solito nella forma del decreto), assegnando al ricorrente un termine per notificare il tutto alla controparte.
() per Cassazione (d. proc. civ.)
È un mezzo di impugnazione che non dà luogo, a differenza dell'appello, a una nuova valutazione del merito della causa, ma soltanto a una verifica della correttezza della decisione sotto il profilo dell'esatta applicazione delle norme di diritto processuale e sostanziale.
In quanto tale, il (—), a differenza dell'appello, non ha effetto sospensivo, né devolutivo, e dà luogo a un nuovo e autonomo processo, distinto dal giudizio di merito di primo e di secondo grado (la Corte di Cassazione è giudice della sola legittimità ovvero è solo giudice del diritto).
È, inoltre, un mezzo di impugnazione rescindente, in quanto presuppone la denuncia di vizi specifici della sentenza e porta ad una nuova decisione solo se i vizi affermati sussistono: in caso affermativo la sentenza viene annullata (iudicium rescindens), e quindi, nei limiti di tale annullamento, dovrà essere pronunciata da un altro giudice una nuova sentenza sostitutiva di quella annullata (iudicium rescissorium).
Anche il (—), come gli altri mezzi di impugnazione, è previsto nell'interesse della parte che si ritenga lesa dalla ingiustizia della sentenza.
Tuttavia, l'art. 363 c.p.c. (novellato dal D.Lgs. 40/2006 e applicabile ai provvedimenti e alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006) prevede un ricorso nell'interesse della legge, stabilendo che il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione può chiedere che la Corte enunci nell'interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi, qualora:
— le parti non abbiano proposto ricorso nei termini di legge;
— le parti abbiano rinunciato al ricorso;
— il provvedimento non sia ricorribile in cassazione e non sia altrimenti impugnabile.
Il (—) è ammesso solo contro gli errori di diritto, tassativamente elencati nell'art. 360 c.p.c.
Tra questi si individuano errores in iudicando e in procedendo.
In particolare, il ricorso può essere proposto (art. 360 c.p.c.):
— per motivi attinenti alla giurisdizione: si tratta dei casi di difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione, dei giudici speciali e dei giudici stranieri;
— per violazione delle norme sulla competenza, quando la sentenza impugnata non si è pronunciata soltanto sulla competenza (nel qual caso può essere impugnata soltanto mediante regolamento di competenza) ma ha deciso anche sul merito della controversia;
— per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, ossia quando il giudice ha errato nell'individuare le norme applicabili al caso concreto a causa di una qualificazione inesatta della fattispecie (violazione) o quando, pur avendo individuato esattamente la norma applicabile al caso in esame, l'abbia interpretata erroneamente (falsa applicazione);
— per nullità della sentenza o del procedimento;
— per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
La domanda assume la forma del ricorso: esso è rivolto alla Corte e deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto nell'apposito albo dei difensori presso la Corte di Cassazione e munito di procura speciale, a pena di inammissibilità.
Il (—) deve essere proposto nel termine perentorio di 60 giorni dalla notificazione della sentenza (art. 325 c.p.c.) ovvero, in mancanza di notificazione, entro un anno dalla pubblicazione della sentenza (art. 327 c.p.c.).
Normalmente, la Corte pronuncia a sezione semplice (5 membri). Nel giudizio in Cassazione è previsto l'intervento necessario del P.M. (art.70 c.p.c.). Pronuncia a sezioni unite (9 membri), invece, qualora debba decidere un ricorso proposto per motivi attinenti alla giurisdizione (art. 360, n. 1, e 363 c.p.c.): tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite (si tratta di un meccanismo volto ad evitare l'inutile sovraccarico delle sezioni unite nei casi in cui queste abbiano già affrontato in precedenza la stessa questione di giurisdizione).
Inoltre, il Primo Presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza.
Le sentenze della Corte di Cassazione possono essere di tre tipi:
— sentenza di rettificazione: se la sentenza impugnata è erroneamente motivata, ma il dispositivo è conforme al diritto, la Corte si limita a correggere la motivazione;
— sentenza di rigetto: se i motivi addotti sono infondati, il ricorso è rigettato e il ricorrente è condannato al pagamento delle spese;
— sentenza di accoglimento: se il ricorso è accolto, viene emessa una sentenza che cassa la sentenza impugnata ovvero, a seguito della modifica dell'art. 384 c.p.c. operata dalla riforma del '90, se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte potrà anche decidere direttamente il merito.
La cassazione della sentenza può essere senza rinvio (art. 382 c.p.c.) (a seguito dell'annullamento della sentenza impugnata il processo non può proseguire) quando, risolvendo una questione di giurisdizione o di competenza, la Corte riconosce che il giudice del quale è impugnato il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione; quando la Corte ritiene che, per qualsiasi motivo, la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito davanti al giudice di merito; quando decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. Inoltre, la cassazione può essere con rinvio (art. 383 c.p.c.) quando il processo prosegue innanzi ad un altro giudice al fine di ottenere una pronuncia sul merito, che sostituisca la sentenza cassata con una nuova sentenza. In quest'ultima ipotesi si apre il giudizio di rinvio, con l'onere della parte di riassumere il giudizio entro un anno dalla pronuncia della Corte, altrimenti il processo si estingue.
In passato, la cassazione con rinvio aveva una funzione rilevante se era determinata dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto: infatti, in tal caso la Corte enunciava specificatamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio doveva uniformarsi. Attualmente, invece, a seguito delle novità introdotte dal D.Lgs. 40/2006, l'enunciazione del principio di diritto è stata generalizzata: dispone, infatti, l'art. 384 c.p.c. che la Corte, quando accoglie il ricorso (per uno qualsiasi dei motivi indicati dall'art. 360), cassa la sentenza ed enuncia il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi.
() straordinario al Capo dello Stato
Il (—) è un rimedio amministrativo di carattere generale consistente nell'impugnativa di un atto amministrativo definitivo, proposta dal soggetto interessato direttamente al Capo dello Stato. Esso è ammesso soltanto per motivi di legittimità, mai per vizi di merito, e può essere proposto per la tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi.
Il (—) straordinario è alternativo a quello giurisdizionale amministrativo (electa una via, non datur recursus ad alteram). Pertanto:
— se l'atto è stato impugnato con ricorso giurisdizionale al T.A.R. è inammissibile il ricorso straordinario avverso lo stesso atto;
— se l'atto è stato impugnato con (—) straordinario al Capo dello Stato, non è più impugnabile con ricorso al T.A.R.
La regola dell'alternativa ha la funzione di evitare che sullo stesso atto amministrativo intervengano due pronunce giustiziali diverse (divieto del ne bis in idem) e che il Consiglio di Stato si pronunci due volte sullo stesso atto attraverso parere obbligatorio in sede di (—) straordinario e come giudice di appello in sede di (—) giurisdizionale.
Nel caso di ricorso proposto a tutela di un diritto soggettivo, la decisione sul ricorso non preclude l'azione dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria.
Nell'ambito del (—) sono state apportate modifiche dalla legge di riforma del processo amministrativo (L. 205/2000) circa la possibilità per i contraenti (attraverso il ricorso incidentale) di impugnare l'atto per motivi diversi da quelli addotti dal ricorrente ed infine la possibilità di chiedere (art. 34, L. 205/2000) la sospensione dell'atto impugnato.