Lavoro

Lavoro (d. lav.)
() a chiamata
[Lavoro (intermittente)].
() a cottimo
() a distanza
() a domicilio
Costituisce una delle prime forme di cd. decentramento produttivo, fenomeno ora diffuso in tutti i settori produttivi nella modalità dell'outsourcing o esternalizzazione.
Ai sensi dell'art. 1 L. 877/73 è lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegua nel proprio domicilio o in un locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con l'esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi. Non è considerato lavoratore a domicilio, bensì dipendente con rapporto di lavoro a tempo determinato, chi esegua lavori in locali di pertinenza dello stesso imprenditore, anche se per l'uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in essi esistenti corrisponde al datore un compenso di qualsiasi natura.
Perché si abbia (—) è necessario, peraltro, che vi sia subordinazione, che ricorre allorché il lavoratore è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore in ordine alle modalità d'esecuzione, alle caratteristiche e ai requisiti del lavoro da svolgere.
I lavoratori che eseguono (—) debbono essere retribuiti sulla base di tariffe di cottimo pieno risultanti dai contratti collettivi della categoria: è questo uno dei pochi casi in cui il cottimo integrale è obbligatorio per legge.
Al (—) si applicano le norme vigenti per i lavoratori subordinati in materia di assicurazioni sociali e di assegno familiare, fatta eccezione per quelle in materia di integrazione salariale. Sono esclusi, inoltre, dall'applicazione della disciplina generale sull'orario di lavoro.
I lavoratori a domicilio sono iscritti in un particolare registro tenuto in ogni Provincia.
Non è possibile ricorrere al (—) quando la lavorazione comporta l'impiego di sostanze o materiali nocivi per la salute e l'incolumità del lavoratore o dei familiari, né quando l'azienda committente è interessata da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni, o trattasi di lavoratori (cui siano stati ceduti macchinari o attrezzature) precedentemente occupati presso il medesimo datore di lavoro (art. 2 L. 877/73).
() a progetto
Tipologia contrattuale, introdotta dal D.Lgs. 276/2003 (cd. riforma Biagi), di natura autonoma, in cui devono essere inquadrati i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
In virtù di tale intervento normativo, tutti i rapporti di collaborazione che presentino le caratteristiche di cui all'art. 409, n. 3 c.p.c. devono essere ricondotti ad uno o più progetti o programmi di lavoro o anche solo fasi degli stessi: in tal senso l'attività del collaboratore non può essere genericamente individuata, ma è necessario che essa si rapporti ad un determinato risultato programmato nel tempo (art. 61 D.Lgs. 276/2003). Sono esclusi dalla nuova disciplina i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale; le collaborazioni occasionali di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dello stesso anno e relative allo stesso committente e di importo non superiore a euro 5.000; le attività di professioni intellettuali subordinate all'iscrizione in appositi albi; le attività rese in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche, nonché quelle degli amministratori, sindaci e partecipanti a collegi e commissioni, dei titolari di pensione di vecchiaia. Fanno eccezione anche i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni.
I progetti e i programmi di lavoro sono gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato e indipendentemente dal tempo impiegato nell'esecuzione della attività lavorativa; il coordinamento tra committente-datore di lavoro e collaboratore non può essere tale da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa.
Il contratto di (—) deve essere stipulato in forma scritta e deve indicare, ai fini della prova, i seguenti elementi:
— indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;
— indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto;
— il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;
— le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa;
— le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto.
La disciplina del rapporto di (—) è rimessa fondamentalmente a quanto stabilito dalle parti nel contratto individuale o collettivo, nell'osservanza delle disposizioni essenziali del D.Lgs. 276/2003, ed in specie:
— il corrispettivo della prestazione deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito (come per il lavoro subordinato);
— il collaboratore a progetto non è vincolato da obblighi di esclusiva (può svolgere la sua attività a favore di più committenti), salvo diverso accordo tra le parti e fermo il divieto di svolgere attività in concorrenza con i committenti;
— il collaboratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto.
Ai lavoratori che prestano la propria attività nell'ambito di un rapporto di (—) si applicano le tutele previdenziali già previste in favore delle collaborazioni coordinate e continuative, nonché le regole del processo del lavoro, in caso di contenzioso, e il regime delle rinunce e transazione di cui all'art. 2113 c.c. Nel caso in cui la prestazione dedotta nel contratto di (—) si svolga nei luoghi di lavoro del committente, si applica integralmente il D.Lgs. 626/94 che tutela l'igiene e la sicurezza del lavoro.
Il contratto di (—) si estingue al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso. Il recesso prima della scadenza del termine è ammesso solo per giusta causa e per altre causali stabilite dalle parti nel contratto di lavoro.
Per reprimere la tendenza a dissimulare rapporti di subordinazione con pseudo collaborazioni e prestazioni di opera, il legislatore ha introdotto aspre sanzioni per la violazione delle nuove disposizioni, ed in particolare:
 la mancanza di uno specifico progetto è sanzionata con la conversione del rapporto di (—) in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dal momento in cui esso ha avuto inizio;
— quando viene accertato in giudizio che il contratto di (—) si è svolto nelle modalità del lavoro subordinato, il rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato a partire dalla data in cui si è verificata di fatto la difformità. Spetta al giudice stabilire in quale tipologia contrattuale si converta il fittizio contratto di lavoro a progetto, dovendosi considerare il rapporto di fatto realizzatosi tra le parti.
() a tempo parziale
() a termine
() a turni
È considerato tale qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane.
() accessorio e occasionale
Prestazioni di lavoro rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro da disoccupati di lungo periodo e da altri soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne.
Le attività esplicabili attraverso il rapporto di (—) devono riguardare:
— piccoli lavori domestici di carattere straordinario e assistenza domiciliare a bambini, anziani etc.;
— l'insegnamento privato supplementare;
— piccoli lavori di giardinaggio e pulizia condominiale;
— la realizzazione di manifestazioni sociali, sportive culturali etc.;
— la collaborazione con enti pubblici ed associazioni di volontariato per lavori di emergenza per calamità;
— l'impresa familiare ex art. 230bis c.c., limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi.
Lo svolgimento del (—) non deve dare luogo a un compenso complessivo, con lo stesso committente, superiore a euro 5.000 nel corso dell'anno solare.
Le imprese familiari, invece, non possono utilizzare prestazioni di (—) per un importo complessivo superiore a euro 10.000 nel corso di ciascun anno fiscale.
La prestazione di (—) è sottratta da qualsiasi schema negoziale tipico per essere invece oggetto di una peculiare disciplina, che non comporta per il beneficiario della prestazione l'assunzione di oneri diversi da quello meramente retributivo.
Soggetti legittimati a svolgere tale tipo di attività sono però solo i disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti e pensionati, i disabili o le persone in comunità di recupero, i lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro.
L'instaurazione del (—) presuppone una serie di atti propedeutici: i soggetti devono comunicare la loro disponibilità alla prestazione di (—) ai servizi per l'impiego provinciali (o altri operatori pubblici accreditati) da cui ricevono una carta magnetica attestante la loro condizione; chi sia interessato a ricevere prestazioni di (—) deve acquistare presso apposite concessionarie (da individuare ai sensi dell'art. 72, co. 5) dei carnet di buoni del valore nominale di euro 10 ciascuno; i buoni sono consegnati al lavoratore all'atto della prestazione.
La peculiarità della disciplina concerne proprio le modalità del compenso in favore del lavoratore: si prevede infatti che il lavoratore, per essere retribuito dell'attività svolta, debba restituire i buoni alla società incaricata della riscossione, che trattiene, a titolo di rimborso spese e di contribuzione il 5% del valore nominale del buono di euro 10.
Una prima fase di sperimentazione delle prestazioni di (—) è stata avviata nelle città di Verbania, Milano, Varese, Treviso, Bolzano, Venezia, Lucca, Latina, Bari, Catania e Udine.
() affectionis vel benevolentiae causa
Prestazioni di lavoro svolte gratuitamente, in cui manca l'elemento della retribuzione.
Stante la naturale onerosità del contratto di lavoro subordinato e la conseguente illeicità del Lavoro gratuito, si ricorre al (—) per quelle rare ipotesi di legittime attività lavorative rese gratuitamente in virtù di interessi meritevoli di tutela quali l'affetto o a titolo di amicizia o di cortesia.
() all'esterno del detenuto
Consiste nella prestazione da parte del detenuto di attività lavorativa a favore di imprese, pubbliche o private, da svolgersi in condizioni tali da garantire l'attuazione positiva del trattamento rieducativo.
Il provvedimento di ammissione al (—) è del direttore dell'istituto, sottoposto all'approvazione del magistrato di sorveglianza [Magistratura di sorveglianza] competente, che ne condiziona l'esecutività.
Il lavoratore all'esterno che non rientra in istituto o ritarda il rientro oltrepassando la fascia oraria di volta in volta indicata nel provvedimento di ammissione viene denunciato per reato di evasione.
La disciplina del lavoro esterno ha subìto notevoli restrizioni ad opera della L. 203/91, recante disposizioni in tema di lotta alla criminalità organizzata.
() all'estero
La destinazione all'estero di un lavoratore italiano incide soprattutto in materia di normativa applicabile al rapporto. Al riguardo rileva il paese di destinazione distinguendo se trattasi di lavoratori nell'ambito dell'Unione Europea oppure inviati in paesi extracomunitari.
Nel primo caso è pienamente operante il principio del libero accesso e soggiorno in ciascuno degli Stati membri per lo svolgimento di un'attività lavorativa.
L'assunzione e il trasferimento di lavoratori italiani in paesi extracomunitari, invece, formano oggetto di una specifica procedura di avviamento al lavoro, infatti, si applicano soltanto quando il lavoratore italiano sia avviato al (—) da parte di datori di lavoro con sede anche secondaria in Italia e di società estere partecipate in misura rilevante da società italiane.
I lavoratori italiani che sono disponibili a svolgere attività in paesi extracomunitari devono iscriversi in apposita lista di collocamento tenuta dalla Direzione regionale del lavoro del luogo di residenza, la quale rilascia il nulla osta all'assunzione che può avvenire con richiesta nominativa.
Secondo la L. 398/87 e il D.P.R. 346/94 (modificati dal D.P.R. 247/97), ai fini dell'assunzione (o del trasferimento) all'estero dei lavoratori italiani, i datori di lavoro, sia nazionali che stranieri, devono presentare richiesta di autorizzazione al Ministero del lavoro e della previdenza sociale; copia della richiesta deve essere contemporaneamente inviata al Ministero degli affari esteri.
Il Ministero del lavoro rilascia l'autorizzazione solo dopo aver avuto assicurazione da parte del Ministero degli esteri che le condizioni generali nei Paesi di destinazione offrano idonee garanzie alla sicurezza del lavoratore e dopo aver accertato che sussistano identiche garanzie in materia di trattamento economico-normativo, facilitazioni valutarie, assicurazioni per morte e invalidità, sistemazione logistica etc.
Circa il rapporto di lavoro, per la regolamentazione degli aspetti inerenti alle obbligazioni tra le parti è fatta salva la volontà delle parti stesse: la volontà di non sottostare alla legge italiana dovrà essere, tuttavia, esplicitamente espressa nel contratto; il richiamo generale all'applicabilità delle disposizioni italiane comporta il rispetto dell'intera normativa legale sul rapporto di lavoro subordinato. Viceversa, per quanto concerne le norme di carattere pubblicistico o ordine pubblico (es.: le festività) si applicano le norme del luogo in cui si svolge la prestazione di lavoro.
Non rientrano nella sfera di applicazione della normativa sul (—) le ipotesi di trasferta del lavoratore anche se all'estero e quelle dei dipendenti assunti o trasferiti dalla P.A., marittimi ed appartenenti al personale di volo cui continua ad applicarsi la legislazione italiana.
() alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni
() associato
Rapporto di lavoro dove manca l'elemento causale proprio del lavoro subordinato e cioè lo scambio tra retribuzione e attività lavorativa. La causa del (—) consiste infatti nella realizzazione dello scopo comune cui è destinata l'attività lavorativa.
Il (—) è caratterizzato, oltre che dal conferimento di lavoro, dalla contitolarità, condirezione e assunzione dei rischi d'impresa. Vi rientra l'attività lavorativa del socio d'opera, cioè di colui che, nelle società di persone, conferisce, anziché beni, la propria opera lavorativa.
Ulteriori ipotesi di commistione tra svolgimento di attività lavorativa e comunanza dello scopo tale ultimo elemento fa sì che in linea di massima non si possa parlare di subordinazione — sono rappresentate dall'attività lavorativa del socio nell'associazione in partecipazione, dall'attività prestata nell'ambito dell'impresa familiare [Lavoro (familiare)] e dal (—) in agricoltura.
Controverso è l'inquadramento nell'ambito del (—) dell'attività lavorativa del cooperatore di lavoro a cui comunque la più recente legislazione ha esteso alcune tutele del lavoro subordinato.
() atipico
[Lavori atipici].
() autonomo
È il lavoro svolto senza il vincolo della subordinazione e costituisce una delle due specie in cui può essere giuridicamente inquadrata l'attività di lavoro svolta dall'uomo (o lavoro subordinato o lavoro autonomo).
Tradizionalmente il (—) è stato ricondotto alla figura della locatio operis (anche in contrapposizione alla locatio operarum cui veniva ricondotto, invece, il lavoro subordinato) in cui un soggetto si obbliga a compiere verso corrispettivo un'opera o un servizio.
Il (—) presenta i seguenti elementi distintivi:
— l'autonomia della gestione, avendo il lavoratore autonomo piena discrezionalità (nei limiti imposti dagli accordi convenuti e dalla natura dell'opera) circa il tempo, il luogo e il modo di organizzazione della propria attività;
— l'oggetto della prestazione, costituito dal risultato finale (esecuzione dell'opera assunta);
— l'organizzazione del lavoro e disponibilità di risorse materiali (o anche umane) proprie;
— l'incidenza del rischio, relativo all'attività produttiva, che ricade completamente sul lavoratore autonomo;
— il corrispettivo, che è stabilito sulla base del risultato finale dell'attività prestata.
In considerazione che qualsiasi attività lavorativa può essere svolta in forma autonoma o subordinata, è costante orientamento giurisprudenziale tenere conto, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, più che del nomen iuris usato dalle parti, dell'effettiva natura e del reale contenuto del rapporto medesimo, nonché delle modalità di espletamento delle mansioni che costituiscono l'oggetto della prestazione lavorativa.
La distinzione tra lavoro subordinato e (—) è di fondamentale valenza sistematica poiché il (—) è sottratto dalla disciplina elaborata per il lavoro subordinato.
In specie non è applicabile il rito del lavoro introdotto dalla L. 533/73, salvo l'ipotesi di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c. che fa riferimento ai rapporti di (—) che si concretano in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale.
Si noti, comunque, che la disciplina particolarmente protettiva e garantista, applicata originariamente soltanto ai lavoratori subordinati, in ragione dello squilibrio di potere insito nel rapporto lavorativo subordinato e dello stato di bisogno del prestatore, viene estesa progressivamente dal legislatore anche ad alcuni lavoratori che, pur qualificandosi formalmente nell'ambito del (—), sono equiparabili sotto il profilo socio-economico ai lavoratori subordinati [Collaborazione coordinata e continuativa; Lavoro a progetto; Parasubordinazione].
() degli stranieri
La disciplina sull'accesso al lavoro di soggetti provenienti dall'estero è diversa a seconda che si tratti di lavoratori appartenenti o meno alla Comunità europea.
Per i lavoratori comunitari vigono i principi U.E. della libertà di circolazione dei lavoratori, di stabilimento e di lavoro volti ad eliminare ogni discriminazione tra i cittadini degli Stati membri nel porre in essere e svolgere un rapporto di lavoro subordinato.
In particolare, l'accesso al mercato del lavoro in Italia per i cittadini comunitari è liberamente consentito, ai lavoratori subordinati per prestazioni di durata non superiore a 3 mesi, mentre per i lavoratori autonomi o dipendenti che entrano nel territorio della Repubblica per effettuarvi una prestazione di servizi o in qualità di destinatari di una prestazione di servizi da svolgersi in un arco temporale superiore ai 3 mesi è necessario il rilascio della carta di soggiorno.
Per quanto riguarda gli stranieri extracomunitari l'ingresso nel territorio italiano del lavoratore non appartenente all'U.E. è, invece, assoggettato ad una specifica procedura che ne limita l'accesso nell'ambito di quote massime d'ingresso, stabilite annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e finalizzate a rendere compatibile l'afflusso dei lavoratori stranieri con le potenzialità di inserimento nel mercato del lavoro.
L'assunzione dei lavoratori extracomunitari è consentita a seguito dello svolgimento di adempimenti procedurali gestiti dallo Sportello unico per l'immigrazione.
() dei religiosi
Il (—), svolto in favore della comunità di appartenenza, costituisce una forma di lavoro gratuito, giustificato dalla finalità offici causa.
Nel caso in cui, invece, il religioso presti la sua opera al di fuori della sua comunità e non religionis causa, può configurarsi un ordinario rapporto di lavoro subordinato (es. insegnamento in una scuola).
() delle donne
La disciplina in materia di (—) è ispirata a due esigenze:
— fornire alla donna lavoratrice speciali garanzie e diritti tali da garantirne la essenziale funzione familiare e tutelare la maternità. Espressione di tale indirizzo sono i provvedimenti volti a vietare l'adibizione delle lavoratrici a lavori insalubri e, in generale, a tutelare le lavoratrici in stato di gravidanza, puerperio e allattamento [Gravidanza e puerperio].
 Più di recente, tuttavia, alcune prerogative connesse alla nascita di un figlio e alla sua cura e assistenza [Genitorialità (tutela della)] sono state estese anche al lavoratore-padre in una visione paritaria dei ruoli nella società come nella famiglia;
— prevenire e reprimere ogni trattamento discriminatorio per ragioni di sesso, sia in relazione all'accesso al lavoro, sia in relazione al trattamento retributivo, sia in funzione delle attribuzioni di qualifica.
In quest'ottica, con L. 125/91, il legislatore, nell'intento di favorire l'occupazione femminile e realizzare l'uguaglianza sostanziale fra uomini e donne nel lavoro, ha previsto le cd. azioni positive, cioè misure atte a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna, prevedendo un contributo pubblico per finanziare i progetti di azioni positive e favorendo quelli concordati dal datore di lavoro con i sindacati. Sono stati inoltre introdotti speciali procedimenti per la tutela in sede giudiziale dai trattamenti discriminatori posti in essere dal datore di lavoro.
Un'apposita normativa è, infine, finalizzata a sostenere e promuovere l'affermazione dell'imprenditorialità femminile.
Diritto-dovere al ()
Il diritto-dovere al (—), che la Costituzione riconosce nel co. 1 dell'art. 4, non dà luogo a un diritto soggettivo perfetto ad ottenere automaticamente il posto di lavoro da parte dei cittadini, bensì indica un principio fondamentale che indirizza il legislatore ordinario a promuovere l'effettività di tale diritto con una politica del pieno impiego e con la lotta alla disoccupazione.
Il contenuto del (—) è stato identificato dalla dottrina maggioritaria in una duplice pretesa: una positiva a che siano suscitate occasioni di lavoro, l'altra negativa all'astensione da qualsiasi interferenza nella scelta, nel modo di esercizio e nello svolgimento dell'attività lavorativa; la Corte Costituzionale ha aderito a questa impostazione solo con la sentenza 45/1965, mentre fino a quel momento lo aveva configurato come mero diritto sociale.
Esso è, quindi, un diritto sociale, che si concretizza nella pretesa ad una occupazione retribuita (per realizzare la quale sono richieste specifiche prestazioni ai pubblici poteri), ed, allo stesso tempo, un diritto di libertà, una libertà giuridica di lavorare, che si concretizza nell'astensione da qualsiasi interferenza nella scelta, nel modo d'esercizio e nello svolgimento dell'attività lavorativa.
Il cittadino, pur essendo tenuto a svolgere un'attività lavorativa, deve essere libero di sceglierla e, comunque, anche se il co. 2 dell'art. 4 Cost. parla di dovere, esso non è un dovere giuridico, bensì un dovere esclusivamente morale. Questo dovere è espressione del principio di solidarietà, che impone a coloro che ne abbiano la possibilità ed i mezzi di adoperarsi per dare il proprio contributo alla collettività; gli istituti di previdenza ed assistenza, in quest'ottica solidaristica, sono infatti predisposti a favore di chi sia privo di mezzi o inabile al lavoro (art. 381 Cost.).
L'art. 1 della Costituzione pone il (—) a fondamento della Repubblica; il principio lavorista rappresenta, quindi, la prima specificazione del principio democratico [Principi (costituzionali)].
Il (—) è principio costitutivo e distintivo della forma di Stato, che implica la preminenza ed il riconoscimento di una posizione di tutela privilegiata di ogni attività lavorativa nel sistema dei diritti e dei doveri delineato dalla Costituzione.
Il (—) si pone come mezzo necessario allo sviluppo della personalità ed, allo stesso tempo, come strumento del progresso materiale e spirituale della società; in esso si realizza la sintesi fra il principio personalista, in cui è implicita la pretesa all'esercizio di una attività lavorativa, ed principio di solidarietà, che conferisce a questa attività carattere doveroso.
I Costituenti, ponendo questo valore come fondamento dell'assetto sociale, non hanno inteso adottare soltanto una formula che riassumesse le singole disposizioni sul lavoro, ma ne hanno fatto uno strumento cui si deve ricorrere per individuare l'esatto significato delle disposizioni relative all'assetto dei rapporti etico-sociali, idoneo a determinare la graduazione dei diritti ad essi attinenti.
() domestico
Prestazione di lavoro erogata per i bisogni personali o familiari del datore di lavoro ed eseguita presso la sua abitazione.
La giurisprudenza ha ritenuto ricorrenti gli estremi del rapporto di (—) subordinato allorché siano individuabili gli elementi della collaborazione domestica, della subordinazione, della continuità e dell'onerosità.
Nel rapporto di (—) il datore di lavoro è una persona fisica, una famiglia o anche una comunità senza scopo di lucro (es. religiosa).
L'attività svolta nell'ambito del (—) non deve essere di tipo industriale o professionale.
È considerata (—) l'attività degli autisti, dei giardinieri, dei custodi o portieri, qualora venga prestata a favore di un nucleo familiare o casa privata. Non integrano, al contrario, i presupposti del (—) il lavoro svolto da parenti o affini del datore di lavoro [Lavoro familiare], quello delle persone collocate alla pari e quello degli addetti alla pulizia negli uffici o stabili.
Il (—) è soggetto ad una disciplina parzialmente derogatoria rispetto ai principi generali vigenti in materia lavoristica e posta in gran parte dalla contrattazione collettiva.
La L. 108/90 ha escluso per i lavoratori domestici l'applicazione degli artt. 1 e 2 relativi alla reintegrazione e alla riassunzione (o risarcimento del danno); è stata però prevista all'art. 3 la possibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro nell'ipotesi di licenziamento discriminatorio.
I lavoratori domestici sono anche esclusi dalla applicazione della disciplina sull'orario di lavoro (D.Lgs. 66/2003) che è stabilita dalle parti entro i limiti massimi fissati dal CCNL e differenziata a seconda che il lavoratore sia o meno convivente con il datore di lavoro. Nel primo caso (convivenza) al lavoratore domestico, competono, oltre alla retribuzione, il vitto e l'alloggio e se egli non ne usufruisca, ha diritto ad una indennità sostitutiva.
Già con la L. 608/96 le persone da destinare al (—) potevano essere assunte direttamente dal datore di lavoro (ora questa modalità è estesa a tutti i lavoratori.
Successivamente all'assunzione, il datore di lavoro deve farne, ai fini contributivi, denuncia all'INPS; per l'impiego in (—) di persone extracomunitarie devono essere, invece, osservate le regole valide in generale per il lavoro degli stranieri.
Gravi sanzioni sono previste per il datore che ometta gli adempimenti di legge, a nulla rilevando eventuali accordi con il lavoratore sul non versamento dei contributi. Il rapporto di (—) è subordinato all'esperimento di un periodo di prova retribuito al termine del quale, se non vi è disdetta del datore di lavoro, il rapporto diviene definitivo.
() effettivo
È tale il lavoro continuativo, cioè che richieda un'applicazione costante e senza soste. La nozione di (—) è funzionale all'applicazione dei limiti legali previsti dalla disciplina in materia di orario di lavoro.
Salvo diversa previsione del CCNL, non fanno parte del (—):
— il tempo impiegato per recarsi al lavoro, ad eccezione delle miniere e delle cave per le quali l'orario si computa dall'entrata all'uscita dal pozzo;
— le operazioni preliminari alla prestazione di lavoro;
— le soste di lavoro non inferiori a 10 minuti (purché complessivamente non superiori a 2 ore nella giornata lavorativa) dovute a causa di forza maggiore o a necessità tecniche e durante le quali non sia richiesta alcuna prestazione;
— le soste intermedie per la consumazione dei pasti;
— il riposo pomeridiano, se prestabilito ad ore fisse e indicate nell'orario (cd. orario spezzato).
() familiare
Nozione residuale rispetto alle altre ipotesi di lavoro (subordinato, autonomo, di società etc.) indica il lavoro continuativo prestato in famiglia o nell'impresa familiare, istaurato senza necessità di un contratto e la cui effettuazione è considerata spontaneo adempimento di un dovere familiare (art. 230bis c.c.).
Il (—) si presume infatti, salvo prova contraria, prestato affectionis causa, cioè quale corrispettivo dell'assistenza ricevuta o come attività dovuta nell'interesse della famiglia.
Il (—) può essere effettuato nell'ambito della impresa familiare, prevista dall'art. 230bis c.c., in cui collaborano con il titolare il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.
Il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto, salvo che sia configurabile un diverso rapporto:
1) al mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
2) alla partecipazione, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato:
— agli utili dell'impresa;
— ai beni acquistati con essi;
— agli incrementi dell'azienda (anche in ordine all'avviamento).
() frontaliero
Termine che indica l'attività dei lavoratori con domicilio e residenza in un determinato Stato i quali, avendo un contratto di lavoro con un'impresa estera, varcano quotidianamente il confine per recarsi sul luogo di lavoro.
I lavoratori frontalieri italiani hanno diritto, in caso di disoccupazione e in presenza di requisiti richiesti, alla apposita indennità versata dall'INPS secondo la disciplina comune.
() giornalistico
Rapporto di lavoro con aziende editrici di quotidiani o periodici (ivi comprese le emittenti televisive) o con agenzie di informazione per la stampa.
Limitatamente ai giornalisti professionisti, per l'esercizio di tale attività è indispensabile, a pena di nullità del contratto di lavoro, l'appartenenza all'Ordine professionale dei giornalisti.
Può essere svolto in varie forme: prestazione d'opera professionale, collaborazione coordinata e continuativa, free-lance, lavoro subordinato. In quest'ultimo caso attesa la particolare natura intellettuale della prestazione e della stessa impresa editoriale, il vincolo di subordinazione si presenta più attenuato rispetto ad altre attività lavorative, in ragione dei notevoli margini di autonomia e di discrezionalità riconosciuti al prestatore nella scelta e nella diffusione delle notizie.
Va sottolineato che, a tal riguardo, il contratto collettivo di categoria riconosce al giornalista una particolare tutela della sua dignità professionale e morale nell'ipotesi di mutamento dell'indirizzo politico del giornale, attraverso la previsione di un motivo legittimo di dimissioni (o meglio di recesso per giusta causa) senza perdere i benefici economici e la particolare indennità (cd. indennità fissa), altrimenti riconosciuta solo nel caso di licenziamento per colpa dell'editore (cd. clausola di coscienza).
() gratuito
Si ha quando a fronte della prestazione lavorativa è pattuito che non venga erogato alcun corrispettivo.
Nell'ambito del lavoro subordinato, che è naturalmente oneroso, il (—) non è pacificamente ammesso, ma è considerato illecito per contrasto con l'art. 36 Cost.
Secondo alcuni il (—) è legittimo in quanto mira a realizzare interessi meritevoli di tutela, ad es. nel campo della beneficenza o in quello ideologico. Secondo altri, una volta instaurato un rapporto di lavoro, benché le parti abbiano escluso la retribuzione, essendo tale pattuizione illegittima, il prestatore potrebbe sempre richiedere il corrispettivo.
La tesi dominante, comunque, colloca il (—) al di fuori dal lavoro subordinato e ne legittima il ricorso solo nell'ambito di contratti atipici purché si tratti di prestazioni dirette a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c., e diversi dal conseguimento di un corrispettivo [Lavoro affectionis vel benevolentiae causa].
In ogni caso, di fronte all'accertata esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, l'onerosità si presume; spetta al datore dimostrare la causa gratuita.
() in agricoltura
Il (—) può assumere due configurazioni. Può trattarsi di lavoro autonomo o di lavoro subordinato. Appartengono al primo caso:
a) la mezzadria: il mezzadro (in proprio e quale capo di una famiglia colonica) ed il concedente (di regola proprietario) si associano per la coltivazione di un podere e per l'esercizio delle attività connesse, al fine di dividere gli utili e i prodotti (art. 2141 c.c.);
b) la colonia parziaria: il concedente ed uno o più coloni si associano per la coltivazione di un fondo e per l'esercizio delle attività connesse, al fine di dividere gli utili e i prodotti nella misura stabilita dalle convenzioni e dagli usi (art. 2164 c.c.);
c) la soccida: il soccidante e il soccidario si associano per l'allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l'esercizio delle attività connesse al fine di ripartire l'accrescimento del bestiame e gli altri prodotti utili che ne derivano (art. 2170 c.c.).
È lavoratore agricolo subordinato chi svolge attività retribuita alle dipendenze di un imprenditore agricolo (art. 2135 c.c.).
Anche per i lavoratori agricoli subordinati vige la tradizionale quadripartizione in dirigenti, quadri, impiegati e operai; mentre per le prime tre categorie valgono in linea di massima le norme fissate per i lavoratori dipendenti di altri settori, per la categoria degli operai agricoli vigono norme del tutto particolari in relazione al tipo di attività esercitata.
Il rapporto di lavoro può essere a tempo determinato o indeterminato, sussistendo, peraltro, il diritto del lavoratore alla trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato dopo 180 giornate di lavoro effettivo nell'arco dei dodici mesi successivi all'assunzione. Il datore di lavoro, in deroga a quanto previsto dal D.Lgs. 297/2002, in caso di assunzione, trasformazione e cessazione del rapporto di lavoro, deve darne notizia per via telematica esclusivamente alla sede INPS competente per territorio che a sua volta provvederà ad inoltrare la comunicazione ai centri per l'impiego interessati (art. 1, co. 9, D.L. 2/2006 conv. con L. 81/2006).
Il contratto di (—) degli impiegati e degli operai deve essere stipulato per iscritto e deve contenere la data di inizio del rapporto, la qualifica, l'indicazione del periodo di prova e la retribuzione.
() in carcere
Il lavoro carcerario è uno degli strumenti fondamentali per la risocializzazione del condannato in quanto, sottraendo i detenuti dalle deleterie conseguenze dell'ozio, ne favorisce il trattamento rieducativo, offrendogli al contempo la possibilità di guadagno per le necessità personali e familiari.
Caratteri del lavoro carcerario sono: l'obbligatorietà, che vige solo per i condannati ed i sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro e della colonia agricola; la non afflittività; la remuneratività.
Il compenso per il (—) non può essere inferiore ai 2/3 del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro, con corresponsione degli assegni familiari, nonché con il riconoscimento della tutela assicurativa e previdenziale.
Con la legge 193/00 (c.d. Legge Smuraglia) si è inteso favorire l'attività lavorativa dei detenuti mediante sgravi contributivi e fiscali per le imprese che li assumeranno, soprattutto se giovani e svantaggiati (tossicodipendenti, alcolisti, soggetti a cura psichiatriche).
() in condominio
() interinale
Rapporto di lavoro caratterizzato dalla temporaneità della prestazione lavorativa e dalla circostanza per cui la prestazione è resa a favore di terzo soggetto.
In deroga al divieto di intermediazione di manodopera e alle limitazioni imposte alla stipula di contratti di lavoro a termine, il (—) è stato introdotto in Italia con la L. 196/97 (cd. legge Treu) in risposta alle esigenze di flessibilità del mercato del lavoro ed è stato infine riformato, per incentivarne la diffusione, con il D.Lgs. 276/2003 (cd. riforma Biagi), che ha introdotto una nuova disciplina della fornitura professionale di manodopera.
() intermittente
Fattispecie contrattuale introdotta dal D.Lgs. 276/2003 (cd. riforma Biagi), caratterizzata dalla flessibilità del rapporto di lavoro in cui un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro per il soddisfacimento di esigenze produttive di carattere discontinuo.
Con la legge sul Welfare, 24 dicembre 2007, n. 247, questa forma di contratto di lavoro è stata abolita, fatta eccezione che nel settore turistico e dello spettacolo dove è ancora ammessa.
Il (—) può essere sia a tempo determinato che indeterminato ed è caratterizzato dal fatto che il datore di lavoro ha la facoltà di chiamare una o più volte il lavoratore, per lo svolgimento della prestazione, nel rispetto di un termine minimo di preavviso (non inferiore a un giorno lavorativo): in pratica la prestazione di lavoro non si svolge con continuità ma solo dietro chiamata del datore.
Il contratto (—) non genera automaticamente un obbligo del lavoratore a rispondere positivamente alla chiamata del datore. Perché tale obbligo sussista è necessario che sia oggetto di apposita ed espressa previsione da parte del contratto, a fronte della quale deve essere corrisposta al lavoratore un'indennità di disponibilità.
Il lavoratore intermittente ha diritto, per i periodi lavorati, a un trattamento economico e normativo complessivamente equivalente a quello di un lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte e in proporzione alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita, mentre per i periodi in cui non effettua la prestazione ma è a disposizione del datore di lavoro il lavoratore non è titolare di alcun diritto né matura alcun trattamento economico e normativo.
Solo quando il lavoratore si è obbligato contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro ha diritto a percepire una indennità mensile di disponibilità per i periodi in cui è in attesa di utilizzazione.
() marittimo e aereo
Il (—) è disciplinato dal Codice della navigazione (R.D. 327/1942) per le peculiarità legate all'oggetto della prestazione. Ai sensi dell'art. 9 c.nav., il contratto di (—) è disciplinato, salvo diverso accordo tra le parti, dalla legge nazionale del veicolo, indipendentemente dalla cittadinanza delle parti.
Per la sicurezza dei trasporti è necessario che l'assunzione avvenga tra personale con accertata idoneità fisica e preparazione professionale, iscritto in appositi albi (matricola per la gente di mare, albi e registri per la gente dell'aria) a pena di nullità o di risoluzione del contratto.
Il contratto di lavoro prende il nome di contratto di arruolamento (o convenzione di arruolamento) e ha per oggetto la prestazione di servizio su una nave determinata salvo patto espresso. Il contratto può essere limitato ad un solo viaggio o ad un gruppo di viaggi, intendendo per viaggio la traversata tra il porto di caricamento e il porto di destinazione.
Il contratto di arruolamento marittimo è un contratto solenne: deve essere stipulato, a pena di nullità, per atto pubblico (innanzi all'autorità marittima o, se all'estero, innanzi all'autorità consolare) e annotato, sempre a pena di nullità, sul ruolo di equipaggio o sulla licenza.
Il lavoratore non è tenuto a prestare un servizio diverso da quello per cui è stato assunto; tuttavia il comandante della nave può adibire temporaneamente i membri dell'equipaggio ad un servizio diverso da quello per cui sono stati assunti, purché non sia inadeguato al loro grado o al loro titolo professionale. In caso di necessità, per la sicurezza della navigazione, il comandante può adibire i lavoratori a qualsiasi servizio.
Quanto alla retribuzione, essa può consistere:
— in una somma fissa per tutto il viaggio;
— in una somma determinata in rapporto ad un certo periodo di tempo;
— nella partecipazione al nolo e agli altri prodotti o proventi del viaggio.
Nel rapporto di (—), il generale dovere di fedeltà del lavoratore rileva in modo particolare: il cd. divieto di paccottiglia impone al comandante e ai membri dell'equipaggio di non caricare sulla nave merci per proprio conto (anche senza scopo lucrativo) se non con il consenso dell'armatore (artt. 335, 341 c.nav.).
La Corte Costituzionale, con sent. n. 96 del 3-4-1987, ha ritenuto costituzionalmente illegittimi:
— l'art. 10 L. 604/66, contenente norme sui licenziamenti individuali, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della legge al personale marittimo navigante;
— l'art. 35, co. 3, L. 300/70, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al personale marittimo navigante dell'art. 18 della stessa legge, concernente la reintegrazione nel posto di lavoro.
() minorile
Il legislatore ha inteso tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore minore d'età, attraverso una normativa protettiva speciale, per lo più derogatoria di quella ordinaria in ragione delle peculiari esigenze di tutela accordata a tale categoria di lavoratori.
La normativa protettiva contenuta nelle L. 977/67, come riformata dal D.Lgs. 345/99, si applica ai minori di 18 anni, che hanno un contratto di lavoro, anche speciale.
Essa non trova invece applicazione per il (—) prestato per addetti a lavori occasionali o di breve durata concernenti servizi domestici in ambito familiare o, comunque, prestazioni non nocive e non pericolose rese in imprese a conduzione familiare.
Il campo di applicazione della disciplina è distinto tra (art. 1 L. 977/67):
— bambini, cioè minori che non hanno compiuto i 15 anni o che sono ancora soggetti all'obbligo scolastico;
— adolescenti, cioè minori di età compresa tra i 15 e 18 anni, non più soggetti all'obbligo scolastico.
L'art. 3 L. 977/67 (come sostituito dall'art. 5 D.Lgs. 345/99) fissa l'età minima per l'ammissione al lavoro al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria, stabilendo che essa, comunque, non può essere inferiore ai 15 anni compiuti. La L. 977/1967 fissava originariamente l'età minima per lo svolgimento dell'attività lavorativa in generale a 15 anni.
A seguito della L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007), a decorrere dall'anno scolastico 2007/2008 l'istruzione è obbligatoria per almeno 10 anni e l'età per l'accesso al lavoro è elevata da 15 a 16 anni (art. 1, co. 622).
Ne deriva che è vietato adibire al lavoro i bambini (poiché sono tali se non hanno ancora compiuto i 15 anni di età o sono ancora soggetti all'obbligo scolastico).
La Direzione provinciale del lavoro può autorizzare, previo assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale, l'impiego dei bambini in attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché si tratti di attività che non ne pregiudichino la sicurezza, l'integrità psicofisica e lo sviluppo, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o formazione professionale.
L'impiego dei minori di anni 14 in programmi radiotelevisivi è specificamente regolamentato con Decreto del Ministero delle Comunicazioni del 27-4-2006, n. 218 [Lavoro dei minori nello spettacolo].
Lo svolgimento del rapporto di lavoro del minore, giudicato idoneo alla specifica attività lavorativa, avviene secondo la disciplina normativa del lavoro vigente per la generalità dei lavoratori, salvo deroghe ed eccezioni più favorevoli disposte dalla legge o dalla contrattazione collettiva volte a tutelare o garantire le peculiari esigenze di questa particolare tipologia di lavoratori.
In specie, in base al dettato dell'art. 36 Cost., ai minori lavoratori deve essere assicurata la parità di trattamento retributivo a parità di lavoro, non essendo ammessi trattamenti differenziati in base all'età, come invece in passato accadeva.
Per quanto concerne l'orario di lavoro, per i bambini, nei casi eccezionali in cui siano autorizzati a prestare attività lavorativa, non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali, mentre per gli adolescenti non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 ore settimanali.
Ai minori deve essere assicurato un periodo di riposo settimanale di almeno 2 giorni, se possibile consecutivi e comprendenti la domenica.
Particolare è anche il regime delle pause giornaliere, giacché è stabilito che l'orario quotidiano non possa durare senza interruzioni più di 4 ore e mezza; in caso contrario, esso deve essere interrotto da un riposo intermedio di almeno un'ora (che può essere ridotto a mezz'ora dalla contrattazione collettiva).
L'art. 15 della L. 977/67 (sostituito dal D.Lgs. 345/99) vieta di adibire i minori al lavoro notturno.
() minorile nello spettacolo
Fermo restando la normativa generale prevista per il lavoro minorile, una particolare disciplina è prevista per l'impiego dei minori di anni 14 nei programmi radiotelevisivi (D.M. 218/2006).
Il rapporto tra minori e pubblicità è un tema molto discusso, non ancora completamente regolato e che lascia aperti molti dibattiti. La legge Gasparri n. 112/2004 aveva sancito l'assoluto divieto di impiegare negli spot pubblicitari minori di anni 14. Di fatto però, la presenza di minori non è mai scomparsa dalle produzioni pubblicitarie, anche perché, per aggirare la norma sono stati reclutati bambini della Repubblica di San Marino e di altri paesi europei. Successivamente la legge 6 febbraio 2006, n. 37 ha abrogato tale divieto liberalizzando nuovamente l'impiego dei minori nella pubblicità.
In primis, l'utilizzo delle immagini o anche solo delle voci dei minori di anni 14, sia ricondotto o meno nell'ambito di un rapporto di lavoro, deve avvenire con il massimo rispetto della dignità personale, dell'immagine, dell'integrità psicofisica e della privacy del minore.
A tal proposito è vietato per le emittenti radiotelevisive a tutela dei minori infraquattordicenni:
— sottoporli ad azioni o situazioni pericolose per la propria salute psicofisica o eccessivamente gravose in relazione alle proprie capacità o violente, ovvero mostrarli, senza motivo, in situazioni pericolose;
— far assumere, anche per gioco o per finzione, sostanze nocive quali tabacco, bevande alcoliche o stupefacenti;
— coinvolgerli in argomenti o immagini di contenuto volgare, licenzioso o violento;
— utilizzarli in richieste di denaro o di elargizioni.
L'impiego lavorativo del minore è comunque subordinato all'autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro (L. 977/1967) che è revocata di diritto in caso di accertata violazione della disciplina ai danni del minore autorizzato.
Sull'osservanza di tali divieti e delle norme di comportamento poste dal Codice di autoregolamentazione TV e minori del 29-11-2002 vigila la competente Commissione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
() nell'impresa sociale
Il D.Lgs. 155/2006 ha dettato la disciplina dell'impresa sociale, qualificazione che possono assumere le organizzazioni private, le imprese e le società commerciali che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, purché in possesso dei requisiti prescritti.
Beni e servizi di utilità sociale sono quelli prodotti o scambiati in determinati settori quali l'assistenza sociale, l'assistenza sanitaria, l'educazione, l'istruzione e la formazione scolastica ed extrascolastica.
Le attività prestate nell'ambito dell'impresa sociale sono realizzate anche mediante veri e propri rapporti di lavoro. L'art. 14 D.Lgs. 155/2006 prevede che la forza lavoro operante nell'impresa sociale può essere ripartita tra lavoratori autonomi o subordinati, oltre che volontari.
Ai lavoratori dell'impresa sociale non può essere corrisposto un trattamento economico e normativo inferiore a quello previsto dai contratti e accordi collettivi applicabili.
() nello spettacolo
Le prestazioni di lavoro nello spettacolo possono essere rese nella forma del lavoro subordinato o autonomo.
La categoria dei lavoratori dello spettacolo può essere individuata alla luce del D.M. 15-3-2005, che ha integrato e aggiornato la classificazione - contenuta nel D.M. 10-11-1997 - in tre distinti gruppi dei soggetti assicurati al Fondo di previdenza dell'ENPALS:
— lavoratori a tempo determinato che prestano la loro attività artistica o tecnica direttamente connessa con la produzione e la realizzazione dello spettacolo (ad es., cantanti di musica leggera);
— lavoratori a tempo determinato equiparati al personale artistico (ad esempio, impiegati amministrativi e tecnici);
— lavoratori dello spettacolo con rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
() nero
Il (—) ricorre quando il lavoratore non è stato registrato nei libri paga e matricola, e il rapporto di lavoro risulta totalmente inesistente al competente Centro per l'impiego in quanto non è stata effettuata la comunicazione dell'assunzione.
Il fenomeno non riguarda soltanto i lavoratori subordinati ma anche i lavoratori parasubordinati, nonché gli autonomi, allorché siano sconosciuti agli istituti previdenziali.
L'impiego di lavoratori non risultati dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria costituisce una fattispecie di lavoro nero punita con la maxisanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma compresa tra un minimo di 1.500 euro a un massimo di 12.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di 150 euro per ogni giornata di lavoro effettivo (art. 36bis, co. 7, D.L. 223/2006, conv. in L. 248/2006).
Al fine di promuovere la regolarizzazione spontanea di rapporti di lavoro in nero, cioè non risultanti dalle scritture contabili o da altra documentazione obbligatoria, la L. 296/2006 ha previsto la possibilità del c.d. riallineamento contributivo e retributivo, consistente in una particolare procedura che consente di regolarizzare il lavoro sommerso.
() notturno
La prestazione di lavoro nelle ore notturne è regolata da una dettagliata legislazione speciale, tesa principalmente a tutelare, anche attraverso una serie di divieti, la condizione delle donne in gravidanza e degli adolescenti.
L'art. 2108, co. 2, c.c., dispone che il (—), non compreso in regolari turni periodici, deve essere retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno.
Il D.Lgs. 66/2003, recependo parzialmente le disposizioni del D.Lgs. 345/99 che aveva provveduto ad una prima riforma del (—), ne disciplina il ricorso e stabilisce una serie di garanzie per i lavoratori notturni.
Ai fini dell'applicazione di tale disciplina, si intende (art. 1 D.Lgs. 66/2003):
— per (—) l'attività svolta nel corso di un periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l'intervallo fra le ore 24 e le ore 5 del mattino;
— per lavoratore notturno quel lavoratore che durante il periodo notturno svolga in via non eccezionale almeno tre ore del tempo giornaliero o comunque una parte del suo orario normale di lavoro secondo il CCNL. In assenza di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno chi svolga (—) per almeno 80 giorni lavorativi annui salvo che i contratti collettivi individuino un periodo di riferimento più ampio.
L'introduzione del (—) deve essere preceduta dai seguenti adempimenti da parte del datore di lavoro:
— consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali, o in mancanza, delle organizzazioni territoriali dei lavoratori;
— controlli sullo stato di salute dei lavoratori che devono essere addetti al (—) per escludere situazioni di inidoneità soggettiva. I controlli dovranno, poi, essere ripetuti periodicamente, almeno ogni 2 anni, e nel caso di sopravvenuta inidoneità, accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche, il lavoratore verrà assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili.
Quando nel CCNL non sia previsto e disciplinato il (—), nel caso in cui esso sia comunque svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, il datore di lavoro ha l'obbligo di effettuare una comunicazione annuale, scritta, ai servizi ispettivi del lavoro territorialmente competenti e alle organizzazioni sindacali.
È rimesso alla contrattazione collettiva il compito di stabilire in via generale i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare (—). La legge infatti si limita a porre il divieto di adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 11 D.Lgs. 66/2003). Al di là di tale previsione vincolante, non vige un vero e proprio divieto, ma è data facoltà di scelta al lavoratore se prestare o meno (—), ed in specie essa è riconosciuta:
— alla lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a 3 anni o, in alternativa, al padre convivente con la stessa;
— alla lavoratrice o al lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12 anni;
— alla lavoratrice o al lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile.
Ai lavoratori che prestano (—) si applica una speciale disciplina dell'orario di lavoro: non può essere superato il limite di 8 ore in media nell'arco delle 24 ore (o nell'arco di un periodo più lungo stabilito dal CCNL) e l'orario di lavoro, ridotto rispetto a quello normale praticato dai lavoratori non notturni, è determinato dalla contrattazione collettiva. Deve essere osservato il limite effettivo di 8 ore (non come media) nel caso di lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali.
Coloro che effettuano (—) hanno diritto ad una maggiorazione retributiva il cui ammontare è stabilito dalla contrattazione collettiva.
Il datore di lavoro è tenuto a provvedere ai necessari cambiamenti nell'organizzazione di lavoro per garantire un'adeguata tutela dei lavoratori che prestino la propria attività durante il periodo notturno, ed in particolare devono essere assicurati servizi o mezzi di prevenzione o di protezione adeguati ed equivalenti a quelli previsti per il turno diurno (—).
() offshore
Attività svolta prevalentemente su un&lquot;installazione offshore (compresi gli impianti di perforazione) o a partire da essa, direttamente o indirettamente legata all'esplorazione, all'estrazione o allo sfruttamento di risorse minerali nonché le attività di immersione collegate a tali attività, effettuate sia a partire da una installazione offshore che da una nave.
Processo del ()
[Lavoro (processo del)].
() ripartito
() sommerso
È così classificato, soprattutto ai fini statistici, lo svolgimento di un'attività economica non retribuita e senza l'osservanza dei relativi obblighi legali, normativi o contrattuali. Dal (—) sono escluse le attività esercitate per scopi illeciti o criminali. Vi rientrano, a titolo di esempio, il lavoro a favore di familiari o di amici, il lavoro domestico quotidiano etc.
() sportivo
Per (—) si intende lo speciale rapporto di lavoro intercorrente tra società sportive e sportivi professionisti ovvero gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal C.O.N.I.
La prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce, di regola, oggetto di contratto di lavoro subordinato salvo che ricorra anche uno solo dei seguenti requisiti, nel qual caso essa costituisce, invece, oggetto di contratto di lavoro autonomo:
— l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
— l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
— la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.
Le peculiarità della disciplina del lavoro subordinato sportivo, desumibili dalla L. 91/81, sono le seguenti:
— l'assunzione, che avviene in modo diretto, deve farsi per atto scritto conforme al contratto-tipo predisposto triennalmente dalla federazione sportiva nazionale;
— non si applica la normativa relativa ai contratti a termine (D.Lgs. 368/2001);
— è possibile prevedere, contrattualmente, a differenza di quanto avviene per i comuni rapporti di lavoro, la definizione arbitrale delle liti in maniera vincolante;
— non si applica la disciplina limitativa dei licenziamenti individuali;
— è possibile la cessione a titolo oneroso del contratto da una società sportiva all'altra, purché l'atleta vi consenta e siano osservate le modalità stabilite dalle federazioni nazionali.
() stagionale
() straordinario
Il (—) è quello che eccede l'orario di lavoro normale, cioè il lavoro prestato oltre la quarantesima ora settimanale.(art. 1, co. 2, D.Lgs. 66/2003).
Se il contratto collettivo prevede una durata settimanale del lavoro inferiore alla durata legale (meno di 40 ore settimanali), le ore lavorate in più rispetto all'orario contrattuale e fino al limite legale non costituiscono (—) straordinario. Esse sono classificate come lavoro supplementare e non fanno scattare, in capo al datore di lavoro, gli oneri e i limiti derivanti dal lavoro straordinario.
Il lavoro straordinario è disciplinato dal contratto collettivo nel rispetto dei seguenti criteri legali:
— deve essere compensato con maggiorazioni retributive o, in aggiunta o in alternativa ad esse, con riposi compensativi;
— il lavoratore deve osservare, per ogni 24 ore di lavoro, almeno 11 ore di riposo;
— in una settimana non è possibile superare le 48 ore di lavoro compreso l'eventuale lavoro straordinario.
Il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto (art. 5, co. 1, D.Lgs. 66/2003). Il contratto collettivo deve stabilire la disciplina del lavoro straordinario in un determinato settore o azienda. In mancanza, il lavoro straordinario è legittimo soltanto previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore, e per un periodo che non superi le 250 ore annuali.
Il lavoro straordinario è ammesso, in aggiunta al limite massimo legale di 250 ore annuali, in caso di eccezionali esigenze tecnico-produttive che non possano essere fronteggiate con l'assunzione di altri lavoratori, in caso di forza maggiore o di eventi particolari (ad esempio, mostre o fiere collegate all'attività produttiva).
() subordinato
Il codice civile non definisce il (—) ma delinea la figura del prestatore di lavoro subordinato (art. 2094 c.c.), che è colui che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore [Datore di lavoro].
Da tale nozione si desume che i caratteri costitutivi del (—) sono la sussistenza di una prestazione di fare, l'onerosità, la collaborazione e la subordinazione.
Il lavoratore subordinato è in sostanza un soggetto che presta la propria attività lavorativa personalmente, seguendo le istruzioni impartite dal datore di lavoro circa il contenuto e le modalità di svolgimento della prestazione, soggiacendo anche ad eventuali sanzioni disciplinari nell'ipotesi di inosservanza delle prescrizioni ricevute. Il lavoratore è comunque estraneo a qualsiasi tipo di rischio che, invece, viene a gravare direttamente sul datore o sugli istituti di previdenza.
Nel (—) il lavoratore si trova, quindi, rispetto alla controparte datoriale in una posizione di debolezza che è causa e fondamento dell'impianto garantistico costruito mediante la legislazione lavoristica.
Il (—) può coesistere con il lavoro autonomo svolto presso lo stesso datore di lavoro, sempre che, però, ne restino ben distinte le prestazioni: ad esempio, il dirigente di società che ne sia anche amministratore. Il (—), poi, può anche tramutarsi in lavoro autonomo (e viceversa), a patto che si modifichino le modalità della prestazione: ad esempio, il caso del dirigente di società che ne diventi solo amministratore.
() supplementare
Corrisponde alle ore di lavoro comprese tra il limite della durata dell'orario di lavoro fissato dalla contrattazione collettiva e quello stabilito dalla legge. Ad esempio, se il contratto collettivo prevede una settimana lavorativa di 36 ore ed il limite legale è di 40 ore, è considerato (—) la prestazione resa tra le 36 e le 40 ore.
L'individuazione del (—) risulta piuttosto problematica e non univocamente ammessa.
Già prima della riforma dell'orario di lavoro parte della dottrina ne negava la sussistenza ritenendo che fosse lavoro straordinario e non (—) quello eccedente la minore previsione dei contratti collettivi indipendentemente dal superamento del maggior limite legale, quasi come se la previsione contrattuale avesse la medesima rilevanza e valore del dettato legislativo.
A seguito della L. 196/97 che ha ridotto l'orario di lavoro da 48 a 40 ore, l'ambito di operatività del (—) si è notevolmente limitato, stante il minor intervallo di tempo possibile intercorrente tra il limite legale e quello inferiore individuato dalla contrattazione collettiva. La differenza rispetto al lavoro straordinario ha perso inoltre la sua connotazione originaria, in virtù dell'eliminazione del limite massimo giornaliero e settimanale e dell'introduzione del concetto di durata media dell'orario di lavoro.
Infatti, in virtù del D.Lgs. 66/2003, è data possibilità alla contrattazione collettiva anche di stabilire la compensazione delle prestazioni di lavoro aggiuntive effettuate in un certo periodo/giorni con il minore orario osservato in altri periodi/giorni entro un arco temporale predeterminato.
La nozione di (—) sembra essere divenuta, allo stato attuale, puramente teorica. La possibilità di una sua concreta attuazione deve ritenersi affidata alla contrattazione collettiva, libera non solo di stabilire un minore orario di lavoro e di collocarlo in un più ampio arco temporale, ma anche di stabilire una specifica regolamentazione per le ore di lavoro ulteriori rispetto a quelle previste.
Da ultimo, deve specificarsi che l'espressione di (—) è utilizzata dal legislatore per individuare una fattispecie diversa da quella suindicata, e specificamente le prestazioni di lavoro aggiuntive rispetto all'orario determinato nel contratto di lavoro ma nei limiti dell'orario pieno effettuate dai prestatori di lavoro in part-time.
() telematico
() temporaneo
[Lavoro intermittente].