Rapporto

Rapporto
() contrattuale di fatto (d. civ.)
È quel rapporto il cui contenuto corrisponde ad una fattispecie contrattuale tipica, ma che, tuttavia, non trova la propria fonte in un negozio giuridico.
Pertanto, caratteristica dei rapporti contrattuali di fatto è che le obbligazioni che gravano sui soggetti e la tutela ad essi accordata trovano il loro fondamento in una semplice situazione di fatto. Si è parlato di (—) relativamente, ad esempio, alla fattispecie contemplata dall'art. 2126, co. 1 c.c. (cd. rapporto di lavoro di fatto) ovvero nel caso della cd. società di fatto.
I (—) vanno, peraltro, distinti da quelle ipotesi in cui un rapporto trae origine da un contratto che viene, tuttavia, a concludersi attraverso comportamenti concludenti (cd. facta concludentia). Esempio tipico di tale figura è il contratto di trasporto pubblico, che si perfeziona allorché l'utente sale sul mezzo pubblico vidimando il biglietto di viaggio nell'apposita obliteratrice.
() di cambio (d. comm.)
È quel valore numerico in base al quale i soci di una società partecipante ad una fusione ricevono azioni o quote risultanti da tale operazione. Esso viene stabilito nel progetto di fusione che viene redatto dagli amministratori delle società partecipanti all'operazione. La sua congruità deve essere confermata da una apposita relazione redatta da uno o più esperti per ogni società partecipante.
() di causalità (d. civ.; d. pen.)
Nel diritto civile è uno degli elementi essenziali per porre a carico di un soggetto l'obbligo di risarcimento del danno [Danno; Risarcimento del danno] da inadempimento o da ritardo nell'adempimento (art. 1223 c.c.) ovvero da fatto illecito (art. 2043 c.c.) [Responsabilità].
Secondo la teoria della causalità adeguata, il danno deve collegarsi ad un fatto secondo criteri di normalità e verosimiglianza.
Nel caso di responsabilità contrattuale, inoltre, l'art. 1225 c.c. stabilisce che il debitore inadempiente, se ha agito con dolo, risponde anche dei danni imprevedibili; se, al contrario, ha agito con colpa, risponde solo dei danni prevedibili.
Nel diritto penale il (—) è il nesso di dipendenza causale tra la condotta e l'evento; come tale, rientra nell'ambito della struttura del reato.
Secondo l'art. 40 c.p., nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
La dottrina ha elaborato a questo riguardo diverse teorie.
Secondo la teoria della condicio sine qua non (o della causalità naturale) è causa ogni condizione dell'evento, ogni antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato. Per aversi, quindi, il (—) basta che l'agente abbia realizzato una condizione qualsiasi dell'evento.
La teoria della causalità umana, invece, muove dalla premessa che vengono imputati all'uomo soltanto gli effetti della sua condotta che possono essere da lui dominati in virtù dei suoi poteri conoscitivi e volitivi; per contro, non possono considerarsi causati dall'uomo quegli effetti che sfuggono al suo dominio, vale a dire i risultati che hanno una probabilità minima di verificarsi: in una parola, i fatti eccezionali.
La dottrina più moderna, premettendo che dal punto di vista della mente umana la causalità si presenta come un problema di conoscenza, afferma che questo va risolto alla luce della migliore scienza ed esperienza, cioè alla luce di tutte le leggi scientifiche: leggi universali e leggi statistiche.
Sotto questo profilo un evento può dirsi prodotto dalla condotta dell'agente quando, secondo la migliore scienza ed esperienza è prevedibile come conseguenza verosimile di essa, in base ad un giudizio ex ante, da effettuarsi, quindi, in relazione al momento della condotta.
Alla luce di queste considerazioni, il disposto dell'art. 41 c.p. che afferma che le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento va interpretato nel senso che il (—) è escluso quando l'evento è dovuto al sopravvenire di un avvenimento eccezionale. In caso contrario le concause (preesistenti, simultanee o sopravvenute) non escludono il rapporto di causalità (art. 41, c. 1).
() di lavoro subordinato (d. lav.)
() giuridico (d. civ.; d. proc. civ.)
Per ricomprendere in un'unica definizione tutti i rapporti giuridici, anche quelli non caratterizzati da una posizione di diritto-dovere (come il rapporto di coniugio, di parentela, di filiazione), può dirsi (—) ogni relazione interpersonale regolata dal diritto. Nella sua forma più semplice, però, il (—) è la relazione fra il titolare di un interesse giuridicamente protetto (soggetto attivo del rapporto) e chi è tenuto a realizzare o a rispettare quell'interesse (soggetto passivo del rapporto).
Come esempi più comuni possono addursi: il rapporto tra il creditore e il debitore di una somma di danaro, nonché il rapporto fra il proprietario di un bene e tutti gli altri componenti della collettività che devono astenersi dall'impedire il pacifico esercizio del diritto di proprietà.
Il (—) si costituisce nel momento dell'acquisto del diritto da parte del titolare.
Tale acquisto può essere a titolo originario o derivativo [Acquisto].
Il (—) può subire delle modificazioni, sia dal punto di vista oggettivo, ossia nel titolo e nel contenuto, che da quello soggettivo. Nella prima ipotesi si va dalla fattispecie della novazione, che comporta l'estinzione dell'obbligazione originaria e la sostituzione con una nuova (art. 1236 c.c.), a quella della surrogazione reale [Surrogazione] (es.: art. 2742 c.c.).
Nella seconda ipotesi invece, possono aversi le figure della cessione del credito (art. 1260 c.c.), della surrogazione per pagamento [Surrogazione] (artt. 1201-1205 c.c.), della delegazione, dell'espromissione e dell'accollo (artt. 1268-1276 c.c.).
Anche nel processo si ha un (—) (processuale) quale relazione intersoggettiva tra le parti, rispetto alla quale il giudice è terzo; tuttavia si dice che anche il giudice è soggetto (anche se non parte) del (—) processuale, in quanto esercita un dovere funzionale, la potestà giudiziale, nei confronti delle parti.
() obbligatorio (d. civ.)
() organico (d. amm.; d. civ.)
Il (—) è quella relazione che intercorre in primis tra l'apparato organizzatorio (organo) e la persona fisica ad esso preposta, nonché il rapporto che intercorre tra l'organo (inteso come centro di competenza) e l'ente di cui è parte.
Il (—) è definito come rapporto d'immedesimazione, per effetto del quale gli atti compiuti dalla persona fisica preposta all'organo, si ritengono compiuti dall'organo e imputati direttamente all'ente di cui l'organo è parte integrante.Quindi le persone fisiche titolari degli uffici o organi non sono soggetti estranei all'ente, ma nell'esercizio delle loro funzioni fanno parte integrante di esso, e sono l'ente stesso.