Legalità

Legalità [principio di]
Principio in virtù del quale i pubblici poteri sono soggetti alla legge. Il principio di (—) si lega indissolubilmente all'affermazione dello Stato di diritto: a differenza dello Stato assoluto, in cui la sovranità coincide con la volontà illimitata del sovrano, nello Stato di diritto si afferma il principio della legittimità del potere che si traduce nell'esigenza di assoggettare lo Stato al diritto, eliminando ogni possibilità di un suo agire arbitrario.
Nella dottrina contemporanea il principio viene inteso in diverse accezioni:
— gli atti dei pubblici poteri (provvedimenti puntuali e concreti, atti normativi del potere esecutivo, sentenze) non possono contenere disposizioni in contrasto con la legge. Si parla, in tal caso, di una preferenza della legge o di supremazia della legge rispetto agli atti dei poteri esecutivo e giurisdizionale;
— gli atti dei pubblici poteri devono trovare il loro fondamento positivo, devono essere autorizzati dalla legge. Si parla, in tal caso, di (—) in senso formale;
— gli atti dei pubblici poteri devono essere disciplinati compiutamente dalla legge. Si parla, in tal caso, di (—) in senso sostanziale.
La prima accezione del principio di (—) segnò le fasi iniziali dell'affermazione dello Stato di diritto, durante le quali l'esigenza di assoggettare lo Stato al diritto si ritenne fosse soddisfatta a condizione che l'azione dei pubblici poteri si svolgesse in maniera non contrastante con la legge.
Nel nostro ordinamento positivo, il principio della preferenza di legge trova riscontro, per quanto riguarda gli atti giurisdizionali, nell'art. 111, co. 7 Cost., in base al quale contro le sentenze degli organi giurisdizionali ordinari e speciali [Giudice (ordinario); Giudice (speciale)] è sempre possibile ricorrere in Cassazione per violazione di legge. Per quanto riguarda, invece, gli atti del potere esecutivo, l'art. 4 disp. prel. c.c. dispone che i regolamenti dell'esecutivo [Regolamenti] non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi, mentre l'art. 5 L. 2248/1865, all. E, chiarisce che le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali, in quanto siano conformi alle leggi. Il principio di (—) in senso formale non trova un'esplicita affermazione nella legge o nella Costituzione, ma può ricavarsi dai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale. La nostra è una forma di governo parlamentare mista [Forma di governo], in cui la sovranità popolare [Sovranità] si esprime prevalentemente nella elezione delle assemblee rappresentative (Parlamento), nei confronti delle quali soltanto sussiste la responsabilità politica del Governo [Responsabilità (politica)] per tutti i suoi atti. Ne consegue la necessità di una previa autorizzazione legislativa a tutti i poteri dell'esecutivo e agli atti che ne derivano.
Il principio di (—) in senso sostanziale è espressamente statuito solo in materia penale (art. 25 Cost.). Tale principio si rivolge al legislatore, imponendogli di disciplinare in modo compiuto una determinata materia in modo da delimitare la discrezionalità dei pubblici poteri o addirittura da annullarla (vincolando, così, il potere a quanto fissato nella legge). La (—) sostanziale non può non avere rango costituzionale e vincola il legislatore solo se la Costituzione in cui trova posto è una Costituzione rigida [Costituzione].
I riferimenti fatti ai sistemi a Costituzione rigida consentono di precisare che nel nostro ordinamento il principio di (—) finisce per condizionare non solo il potere esecutivo e quello giurisdizionale, ma anche quello legislativo. In base all'art. 134 Cost., infatti, la legge ordinaria [Legge] non può violare la Costituzione e le altre leggi costituzionali e le controversie insorte sulla legittimità costituzionale della legge sono affidate e risolte da un apposito organo, la Corte Costituzionale.
() nel diritto amministrativo (d. amm.)
Il principio di (—) afferma la corrispondenza dell'attività amministrativa alle prescrizioni di legge. Esso costituisce un principio generale dell'ordinamento italiano, che attiene particolarmente ai rapporti fra legge ed attività amministrativa (FOIS).
Il principio di (—) può essere inteso sostanzialmente in tre modi diversi:
— in senso debolissimo, può dirsi conforme alla legge ogni atto che non si ponga in contrasto con la legge;
— in senso debole, è conforme alla legge ogni atto che sia positivamente fondato sulla legge ((—) formale);
 in senso forte, è conforme alla legge ogni atto la cui forma e il cui contenuto siano predeterminati dalla legge, almeno nelle loro linee essenziali ((—) sostanziale).
La (—) sostanziale implica che il legislatore debba disciplinare compiutamente i pubblici poteri e in tal modo esso si sovrappone all'istituto della riserva di legge, sia essa assoluta o relativa. Nelle materie non coperte da riserva (peraltro assai rare), il principio di (—) si atteggia in senso formale come necessità della previa norma di legge attributiva del potere.
La dottrina ha ricercato un fondamento positivo al principio di (—), talvolta ritenendolo implicito nelle numerose riserve di legge disseminate nella Costituzione (artt. 13 ss., art. 23): in particolare, tale principio si ricaverebbe dall'art. 97 Cost. il quale, stabilendo che l'organizzazione dei pubblici uffici segue le disposizioni di legge, porrebbe la legge su una posizione di supremazia rispetto all'attività di tali uffici. In questo modo, però, il fondamento di tale principio sarebbe ristretto ai soli settori coperti da riserva di legge e non avrebbe portata generale.
Secondo altri autori il principio si ricaverebbe dagli artt. 24 e 113, che sanciscono il controllo del giudice sull'attività della P.A. e, per implicito, la sua non esercitabilità in contrasto con la legge.
Secondo Fois, la norma costituzionale che implicitamente stabilisce il principio di (—) dell'azione amministrativa è l'art. 101 Cost., in quanto secondo tale articolo la giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. Tale norma implica la soggezione del giudice non a qualsiasi norma giuridica, ma soltanto alla legge in senso tecnico: il giudice, nel decidere una controversia, potrà quindi applicare diritto oggettivo diverso da quello legislativo, solo se le regole di quel diritto siano previste e conformi alla legge. Esso, quindi, potrà dare applicazione a norme amministrative solo se conformi alla legge. Questo principio, ricondotto nell'ambito della separazione dei poteri, sottopone l'azione della P.A. oltre che alla Costituzione, anche alle leggi che, in un sistema di tipo parlamentare, costituiscono l'espressione più rappresentativa della volontà del popolo (Sandulli).
La P.A., pertanto, al di fuori dei casi stabiliti dalla legge, non può godere di nessuna posizione di potere, privilegio o di favore. Il principio in parola, inoltre, costituisce una garanzia a che le norme riguardanti l'organizzazione amministrativa, le funzioni degli impiegati etc., siano previste in via generale dalla legge e non dal potere amministrativo.
Conseguenze di questo principio - richiamato dallo stesso art. 1 della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, ove si statuisce che l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge - sono:
— la tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi (non sono cioè ammessi provvedimenti atipici o innominati);
— l'eccezionalità dell'esecutorietà del provvedimento amministrativo;
— l'eccezionalità degli atti amministrativi destinati a formare certezza legale privilegiata.
() nel diritto penale (d. pen.)
Principio generale del diritto penale che importa il divieto di punire qualsiasi fatto che, al momento della commissione, non sia espressamente previsto come reato e di sanzionarlo con pene che non siano dalla legge espressamente previste (art. 25 Cost.; art. 1 c.p.) Il nostro ordinamento adotta, dunque, il principio di (—) formale tipico degli ordinamenti democratici, a differenza della (—) sostanziale, secondo la quale costituisce reato qualunque fatto socialmente pericoloso, anche se non previsto dalla legge.
Se, infatti, il principio di (—) sostanziale consente una più efficace tutela della società, colpendo condotte effettivamente lesive dei suoi interessi ed evitando l'arbitrio del legislatore nella scelta delle condotte penalmente rilevanti, per converso si fonda su una nozione di reato desumibile da fonti extralegali (es. la coscienza sociale), ledendo la certezza del diritto e consentendo le forme più gravi di arbitrio. Se dunque la funzione del diritto penale è, ad un tempo, quella di sanzionare in relazione alla colpevolezza, ma anche di prevenire la ricaduta nel reato e di portare a conoscenza dei consociati le condotte penalmente rilevanti, perché non siano da essi realizzate, più adatta a tale funzione è la (—) formale, con cui si evita ogni arbitrio giudiziario e si assicura la certezza e l'uguaglianza nell'applicazione del diritto, a garanzia della libertà degli individui.
Il principio di (—) si scompone nei seguenti fondamentali corollari:
— il principio della riserva di legge in materia penale, che comporta il divieto di punire un determinato fatto in assenza di una legge preesistente che lo configuri come reato;
— il principio nulla poena sine lege, in forza del quale il tipo e la durata (tra un limite minimo e un limite massimo) della pena da irrogare per ogni fattispecie di reato devono essere sempre predeterminati dalla legge;
— il principio di tassatività, che indica il dovere del legislatore di formulare la norma penale in modo preciso, ovvero in modo che dalla lettura della stessa si evinca chiaramente ciò che è penalmente lecito e ciò che è penalmente illecito;
— il principio di irretroattività [Successione (delle leggi penali)], che sancisce il divieto di applicare la legge penale a fatti commessi prima della sua entrata in vigore;
— il divieto di analogia in materia penale.