Errore

Errore (d. civ.; d. pen.)
In ambito giuridico si intende quale imperfetta conoscenza o falsa rappresentazione della realtà.
() nel diritto penale
Consiste in una falsa rappresentazione della realtà, cui è equiparata l'ignoranza che più propriamente è mancanza di conoscenza.
Esso si distingue in (—) motivo ed (—) inabilità. Il primo incide sul processo di formazione della volontà, che nasce quindi viziata. L'(—) inabilità, invece, interessa la fase esecutiva del reato e si realizza nel reato aberrante [Aberratio].
Nell'ambito del problema della rilevanza dell'(—) motivo, problema che è tra i più irti di difficoltà e controversie, si distingue l'(—) sul divieto e l'(—) sul fatto.
L'(—) sul divieto (o sul precetto) si determina quando l'agente si rappresenta, vuole e realizza un fatto materiale perfettamente identico a quello vietato dalla norma penale ma che, per errore su questa, ritiene non essere reato. Tale (—) può derivare:
— dall'ignoranza o erronea interpretazione della legge penale (es.: Tizio uccide un moribondo, convinto per (—) che la sua condotta non integra la fattispecie delittuosa di cui all'art. 575 c.p. in quanto ritiene che nella nozione ivi delineata di uomo non rientri il moribondo);
— dall'ignoranza o dall'erronea interpretazione della legge extrapenale, richiamata dalla norma penale, ove tale (—) non si traduca in un (—) sul fatto (es.: il debitore che compia le azioni previste dall'art. 251 L. fall., ignorando, a cagione di errore sulla legge civile, di essere imprenditore).
A seguito della sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale, l'(—) è scusabile se deriva da ignoranza inevitabile della legge penale.
L'(—) sul fatto si ha quando il soggetto crede di realizzare un fatto diverso da quello penalmente sanzionato, e scusa salvo che derivi da colpa dell'agente, nel qual caso la punibilità non è esclusa ove il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo. Esso può derivare:
— da un (—) di fatto, ossia dalla mancata o inesatta percezione o valutazione di un dato afferente alla realtà naturalistica (es.: Tizio va a caccia e, ritenendo che il movimento di un cespuglio sia stato causato dalla presenza di una lepre, spara e ferisce un uomo). Tale (—) è disciplinato dall'art. 471 c.p.: L'(—) sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Nondimeno, se si tratta di (—) determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo;
— da un (—) sulla legge extrapenale richiamata dalla norma penale, nel caso in cui, in ragione di esso, l'agente voglia un fatto concreto diverso da quello penalmente sanzionato (es.: chi, per (—) sulla legge civile, crede che la legna del bosco sia res nullius e, di conseguenza, non vuole rubare alcuna cosa mobile altrui). L'(—) su legge extrapenale è regolato dall'art. 473 c.p.: L'(—) su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità quando ha cagionato un (—) sul fatto che costituisce reato;
— da un (—) sulla legge penale o su norma extragiuridica (sociale, culturale), richiamata. Mentre parte della dottrina esclude la rilevanza penale di tale (—), poggiando su un'interpretazione letterale dell'art. 473 c.p., altra parte si esprime in favore della valenza scusante dello stesso, ritenendo possibile accedere ad un'applicazione estensiva o analogica della succitata disposizione.
() nel diritto civile
È un vizio della volontà, che incide sul processo formativo della stessa, fuorviandola.
Si sostanzia in una falsa rappresentazione della realtà: ad esso è equiparata l'ignoranza, ossia la mancanza di qualsiasi conoscenza.
L'(—) può cadere su una circostanza di fatto, dando luogo all'(—) di fatto, ovvero su una circostanza di diritto, determinando un (—) di diritto.
L'(—) determina l'annullabilità [Annullamento] del contratto, nel termine di prescrizione di 5 anni, purché esso sia rilevante, cioè sia essenziale e riconoscibile.
L'(—) è essenziale allorché è stato tale da aver determinato la parte a concludere il contratto. Tuttavia, non ogni (—) determinante deve definirsi essenziale, in quanto il legislatore ammette questa figura unicamente nelle ipotesi contemplate negli artt. 1429 e 1430 c.c. Non riveste carattere di essenzialità l'(—) sui motivi [Motivo], salve le eccezioni previste in materia di testamento (art. 624 c.c.) e di donazione (art. 787 c.c.).
Ai sensi dell'art. 1431 c.c., l'(—) si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. La ratio della riconoscibilità va ravvisata nella tutela dell'affidamento della controparte [Affidamento (tutela dell')]. Presupposto di tale requisito è pertanto la unilateralità dell'(—) e cioè la contrapposizione tra una volontà inficiata nella sua formazione ed un'altra immune da qualsiasi vizio. Di conseguenza, quando l'(—) è comune, non rilevando il principio dell'affidamento, la riconoscibilità non ha più alcun valore, perché nessuno dei contraenti ha interesse alla conservazione del negozio.
() ostativo (d.civ.)
Tale (—) non è un vizio della volontà, in quanto non incide sul processo formativo della stessa, ma determina una divergenza tra la volontà, che si è esattamente formata, e la dichiarazione a causa di una svista materiale o di un (—) nel linguaggio giuridico (art. 1433 c.c.).
Esso determina l'annullabilità del contratto.
() di diritto (d.civ.)
È quello che cade su norme giuridiche, ad esempio è (—) di diritto quello in cui incorre l'acquirente di una merce con la finalità di esportarla, ignorando che la legge proibisce quella esportazione.
Esso è causa di annullamento quando abbia costituito la ragione unica e principale del consenso.
() di calcolo (d. civ.)
L'art. 1430 c.c. prevede l'(—) di calcolo che non dà luogo all'annullamento, ma alla rettifica del contratto [Rettifica], salvo che, concretandosi in (—) sulla quantità, abbia assunto una importanza determinante.
In particolare, esso sussiste quando si incorra in una svista materiale nelle operazioni aritmetiche, rilevabile prima facie, in base ai dati da computare ed al criterio matematico, ed emendabile con la semplice ripetizione del calcolo.
() di fatto quale motivo di revocazione della sentenza (d. proc. civ.)
Consiste in un'inesatta percezione o valutazione della realtà che consente la revocazione della sentenza (art. 395, n. 4 c.p.c.). L'(—) presenta particolari affinità con gli errori materiali o di calcolo (artt. 287 ss. c.p.c.), ma se ne distingue in quanto, mentre l'errore materiale o di calcolo ha fondamento testuale, emerge cioè dal testo della sentenza, l'(—) in esame ha fondamento extratestuale, in quanto emerge non dal testo della sentenza, bensì dagli atti o documenti della causa.
() materiale o di calcolo nella sentenza (d. proc. civ.)
L'errore materiale è dovuto a disattenzione; è estraneo ad ogni elemento valutativo ed emerge dal confronto tra la motivazione ed il dispositivo (ad es. nel caso di erronea indicazione delle parti in causa o di indicazione della contumacia della parte, invece, costituita).
L'errore di calcolo consiste, invece, nell'erronea utilizzazione delle regole aritmetiche o comunque matematiche. Il legislatore ha apprestato la procedura di correzione delle sentenze di cui all'art. 287 c.p.c. quale rimedio volto ad eliminare errori ed inesattezze delle sentenze contro le quali non sia stato proposto appello e delle ordinanze non revocabili (artt. 287 e 826 c.p.c.).
() scusabile (d. proc. civ.)