Rimessione

Rimessione
() al collegio (d. proc. civ.)
È l'atto con cui la causa viene trasferita dal giudice istruttore al Collegio per la decisione.
Nell'originario sistema del codice essa, dunque, rappresentava sempre l'atto di chiusura della fase istruttoria, dandosi inizio alla fase decisoria di competenza collegiale.
La (—) sussiste solo per le cause rispetto alle quali è stata mantenuta la competenza del Collegio, mentre per le controversie la cui decisione è stata attribuita al giudice istruttore una vera e propria rimessione non c'è, in quanto la causa viene decisa da quest'ultimo, in funzione di giudice unico.
Il giudice istruttore (nelle cause rimaste di competenza del Collegio) provvede alla (—) quando ritenga la causa matura per la decisione, ovvero quando ritenga opportuno chiedere al Collegio la decisione su di una questione preliminare o pregiudiziale, reputando tale decisione idonea a definire il giudizio; anche in tale ultima ipotesi, comunque, il collegio è investito di tutta la causa, nel senso che può sempre decidere nel merito della causa.
Quando il giudice istruttore dispone la (—) deve invitare le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che esse intendono sottoporre al Collegio.
Si parla poi di rimessione parziale quando la causa viene rimessa al Collegio affinché questo decida solo in relazione ad una questione incidentale: è il caso della (—) in funzione di una decisione separata sulla querela di falso proposta in via incidentale.
Non sussiste più la c.d. rimessione istruttoria, finalizzata ad ottenere dal Collegio la decisione in ordine all'ammissibilità e rilevanza di un mezzo di prova; su tali questioni decide infatti sempre e soltanto il giudice istruttore.
() del processo (d. proc. pen.)
Spostamento territoriale della competenza a conoscere un processo, che viene attribuita ad un giudice diverso da quello territorialmente competente e precisamente al giudice, egualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d'Appello più vicino.
Con la L. 248/2002 (legge Cirami) è stata dettata una normativa che amplia i casi di (—) ed ha introdotto alcune ipotesi di sospensione obbligatoria del processo.
La (—) è determinata da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili i quali pregiudichino la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, ovvero che determinino ragioni di legittimo sospetto. Legittimati a chiedere la (—) sono il Procuratore generale presso la Corte di Appello, il pubblico ministero presso il giudice che procede, l'imputato.
Il processo in cui è presentata l'istanza di (—) può essere sospeso con ordinanza del giudice procedente ovvero della Corte di Cassazione competente per la decisione.
Il processo deve comunque essere sospeso dal giudice procedente prima delle conclusioni delle parti e della discussione; non possono essere pronunciati il decreto che dispone il giudizio o le sentenze quando la richiesta di (—) sia stata assegnata alle Sezioni Unite o a sezione diversa da quella prevista dall'art. 610 c.p.p.. La sospensione ha effetto finché non sia intervenuta l'ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta, ma non impedisce il compimento di atti urgenti. La sospensione del processo produce la sospensione dei termini di prescrizione e, in caso di proposizione da parte dell'imputato, anche dei termini di custodia cautelare.
() in termini (d. proc. civ.)
Ai sensi dell'art. 184bis c.p.c., la parte che dimostri di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice la fissazione di un nuovo termine per il compimento dell'atto o attività dalle quali fosse decaduta.