Statuto

Statuto
() albertino (d. cost.)
Concesso da Carlo Alberto il 4 marzo 1848, costituì dapprima la Carta costituzionale del Regno di Sardegna ed in seguito del Regno d'Italia.
Denominato Statuto allo scopo di evidenziarne l'origine non rivoluzionaria ma ottriata, cioè di graziosa concessione del sovrano, il documento era ispirato ai princìpi del governo costituzionale puro [Forma di governo], in linea con le ideologie costituzionali affermatesi nella Francia prima delle rivoluzioni del 1848. Lo (—) era costituito da un preambolo e da 84 articoli e fu pubblicato in lingua italiana e francese; esso si trasformò successivamente nello Statuto del Regno d'Italia e rimase in vigore per circa un secolo. Presentava i caratteri di una Costituzione:
— ottriata: cioè era una Carta costituzionale concessa unilateralmente e spontaneamente dal sovrano, che fino ad allora aveva governato in veste di sovrano assoluto;
— flessibile: cioè di grado pari alla legge ordinaria. Sebbene fosse definito nel suo preambolo legge fondamentale, perpetua e irrevocabile, era modificabile con un procedimento legislativo ordinario, senza nessuna garanzia per i cittadini che eventuali modifiche statutarie fossero in seguito apportate ed approvate con un procedimento più ponderato.
Da un'analisi letterale dello (—) risulta che i poteri dello Stato, anche se affiancati da istituzioni rappresentative del popolo, erano monopolizzati dalla persona del Re.
La Corona era, inoltre, statutariamente irresponsabile: inizialmente neppure i ministri del re rispondevano dinanzi alle Camere del loro operato; fu la prassi costituzionale a introdurre il rapporto di fiducia fra Camere e Governo.
Mutilato dal D.Lgs. 16-3-1946, n. 98, lo (—) rimase formalmente in vigore fino al 1 gennaio 1948, data in cui entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana.
() comunale e provinciale (d. amm.)
È l'atto normativo fondamentale in cui si manifesta in maniera piena e completa l'autonomia dei Comuni e delle Province, e attraverso il quale si manifesta il potere di autorganizzazione, cioè di disciplina del proprio assetto strutturale (autonomia amministrativa), nonché come potere di individuazione dei fini da perseguire e dei mezzi necessari per la loro realizzazione (autonomia politica e normativa).
L'art. 1, co. 3, D.Lgs. 267/2000 ha individuato nei soli principi della legislazione statale in materia di ordinamento degli enti locali e di disciplina dell'esercizio delle funzioni ad essi conferite, il limite all'esplicazione della potestà normativa statutaria.
L'autonomia statutaria è oggi espressamente riconosciuta dalla Costituzione e deve esplicarsi secondo i principi fissati dalla Carta fondamentale e nei limiti della legislazione statale che disciplina le materie indicate dall'art. 117, co. 2, lettera p) Cost. (in particolare il sistema elettorale e gli organi di governo) e della legislazione regionale esclusiva per tutti gli altri aspetti dell'ordinamento degli enti locali.
L'art. 4 della L. 131/2003 affida agli (—) il compito di stabilire i principi di organizzazione e funzionamento, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica.
() dei lavoratori (d. lav.)
La fonte normativa più importante, dopo la Costituzione, in materia di libertà sindacale è oggi la L. 300/70, meglio nota come (—).
Il legislatore ha inteso perseguire due obiettivi di fondo: tutelare la libertà e dignità del prestatore, beni esposti a pericolo di pregiudizio, data la posizione subordinata che il lavoratore assume nell'ambito dell'organizzazione aziendale; sostenere la presenza del sindacato sui luoghi di lavoro, ritenendo tale presenza la migliore garanzia concreta dell'effettivo rispetto della personalità del lavoratore.
Specificamente dedicate alla tutela della libertà e dignità del lavoratore sono le norme del Titolo I (artt. 1-13): l'art. 1 garantisce la libertà di opinione politica, religiosa etc. tutelando il lavoratore da eventuali discriminazioni dovute a ragioni ideologiche; gli artt. 2 e 3 limitano l'impiego delle guardie giurate, non utilizzabili per vigilare sull'attività lavorativa, né, ai sensi dell'art. 4, tale attività può essere controllata mediante l'uso di impianti audiovisivi; l'art. 5 disciplina le modalità di svolgimento degli accertamenti sanitari sul lavoratore; l'art. 6 limita le perquisizioni personali; l'art. 7 regola l'esercizio del potere disciplinare [Sanzione (disciplinare)]; l'art. 8 vieta ogni indagine sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore; i restanti articoli del Titolo I regolano, rispettivamente, i permessi per agevolare il completamento dell'istruzione dei lavoratori studenti, le attività culturali e ricreative organizzate nell'azienda, gli istituti di patronato e di assistenza, le mansioni del lavoratore.
Il Titolo II (artt. 14-18) ha invece la funzione di garantire il rispetto della libertà sindacale, riconosciuta in linea di principio dall'art. 39 Cost., nell'ambito dei singoli luoghi di lavoro.
Importante è la disciplina garantistica del licenziamento contenuta nell'art. 18 che prevede la reintegrazione [Reintegrazione (nel posto di lavoro e riassunzione)] nel posto di lavoro del prestatore illegittimamente licenziato.
Particolare rilievo ha il Titolo III (artt. 19-27), contenente una serie di misure di sostegno dell'attività sindacale. Il legislatore cioè non si è limitato a sancire il principio della libertà dell'azione sindacale, ma ha inteso riconoscere al sindacato dei veri e propri diritti soggettivi nei confronti dell'imprenditore: il diritto di convocare assemblee o indire referendum, di affiggere nell'azienda pubblicazioni inerenti a materie di interesse sindacale, di avere dei locali a disposizione per le proprie attività. Il rispetto di tali diritti è garantito dalla speciale procedura di cui all'art. 28. Le norme garantistiche del Titolo III venivano riconosciute ex art. 19, solo alle RSA costituite in ogni unità produttiva nell'ambito dei sindacati maggiormente rappresentativi. Va peraltro fatto notare che, a seguito dell'esito del referendum popolare svoltosi in data 11-6-1995, risulta abrogata la lett. a) e parzialmente emendata la lett. b) dell'art. 19: di conseguenza, non senza problemi di ordine interpretativo, muta il concetto di rappresentatività del sindacato ed, in specie, si consente la costituzione di RSA (e quindi la facoltà di accedere ai benefici di cui al titolo III dello Statuto) alle associazioni sindacali sotto la mera condizione che siano firmatarie di contratti di lavoro applicati all'unità produttiva. Il Titolo III trova comunque applicazione solo nelle unità produttive che impiegano più di 15 dipendenti.
Nell'impiego pubblico la cd. privatizzazione operata dal D.Lgs. 29/93 e la conseguente regolamentazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche secondo le norme di diritto comune, consente di superare l'annosa questione della applicabilità dello (—).
Attualmente il D.Lgs. 165/2001 (in cui sono state trasposte le disposizioni del D.Lgs. 29/93 e successive modificazioni) statuisce in modo inequivocabile all'art. 51 che la legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti.
() del contribuente (d. trib.)
Legge generale in materia tributaria che si prefigge l'obiettivo di regolare i rapporti tra l'amministrazione finanziaria e i cittadini stabilendo da un lato regole precise che dovrebbero vincolare il legislatore fiscale riducendo così il caotico e disordinato flusso di disposizioni tributarie e tutelando contemporaneamente il contribuente contro disposizioni inique, vessatorie e predisposte unicamente a vantaggio della pubblica amministrazione.
Lo (—), oltre ad essere legge dello Stato, immediatamente applicabile, è anche un documento programmatico volto a cambiare definitivamente i rapporti cittadino-fisco.
() regionale (d. cost.)
L'attività statutaria delle Regioni è direttamente riconosciuta a livello costituzionale (artt. 116 e 123 Cost.).
Diversa è però la disciplina dettata dalla Costituzione per l'adozione dello (—) delle Regioni ordinarie rispetto a quello delle Regioni speciali.
Le prime infatti adottano autonomamente il proprio (—), che è deliberato dal Consiglio regionale con una duplice votazione a maggioranza assoluta dei consiglieri. In tal modo esso assume la veste formale di legge regionale. Gli (—) possono, inoltre, essere sottoposti a referendum, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, su richiesta di un cinquantesimo degli elettori della Regione o di un quinto dei consiglieri regionali; non sono promulgati se non vengono approvati dalla maggioranza dei voti validi.
Per le Regioni speciali i rispettivi (—) sono adottati direttamente dal Parlamento con legge costituzionale. Pertanto, sotto l'aspetto formale, lo (—) delle Regioni speciali (mancando una qualsiasi loro partecipazione al relativo procedimento di formazione), non costituisce espressione di autorganizzazione dell'ente, così come per le Regioni ordinarie. Sotto l'aspetto sostanziale, invece, le leggi costituzionali che adottano gli (—) speciali, attribuiscono alle rispettive Regioni competenze e sfere di autonomia più ampie di quelle attribuite dalla Costituzione alle Regioni ordinarie.
Queste ultime, nei rispettivi (—), in armonia con la Costituzione e le leggi della Repubblica, dettano le norme relative alla forma di governo e ai principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, disciplinano il diritto di iniziativa per le leggi regionali, nonché le forme di consultazione popolare (referendum) su leggi e provvedimenti amministrativi regionali. Lo (—) contiene, infine, l'enunciazione di vari principi programmatici riguardanti i fini che l'ente si propone di realizzare.
() societario (d. comm.)
È il documento, redatto nella forma dell'atto pubblico, che contiene le norme che regolano la vita della società.
Lo (—) impegna all'osservanza non solo gli attuali componenti della società, ma anche i futuri.
Lo (—) generalmente accede all'atto costitutivo: essi possono essere sia uniti in un unico documento, sia formalmente separati. In particolare, lo (—) rappresenta la parte normativa dell'atto costitutivo.
In caso di contrasto tra le clausole dell'atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde (art. 2328, ult. co., c.c.).