Erede

Erede (d. civ.)
Persona che, chiamata a succedere per legge o per testamento, ha accettato l'eredità, subentrando, in tutto o in parte, nei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al defunto [De cuius] (artt. 456 ss. c.c.).
Il fenomeno della successione a titolo universale determina, di regola, la confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell'(—). Quest'ultimo risponde, infatti, dei debiti ereditari anche coi propri beni, cioè ultra vires hereditatis a meno che non abbia accettato con la formula del beneficio d'inventario [Accettazione (dell'eredità)]: in tal caso evita le conseguenze della confusione e non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti (artt. 484 ss. c.c.).
() apparente
Colui che, pur non essendo (—), si comporta come se l'eredità fosse a lui devoluta e da lui accettata, ingenerando nei terzi la ragionevole opinione di essere di fronte all'(—) vero (art. 534 c.c.).
Tale situazione assume rilevanza giuridica sotto due profili: nei confronti dell'(—) vero e nei confronti dei terzi.
L'(—) vero ha la possibilità di agire con l'azione di petizione dell'eredità, ma restano salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede dall'(—) apparente, in virtù di convenzioni a titolo oneroso. Se tuttavia oggetto dell'acquisto sono beni immobili o mobili registrati [Beni] occorrerà per la salvezza dell'acquisto anche una tempestiva trascrizione, ai sensi dell'art. 534, c. 3.