Impugnazione

Impugnazione (d. proc.)
Rimedio giuridico attribuito alle parti (ed eccezionalmente a soggetti che non sono stati parti del processo) per rimuovere uno svantaggio derivante da un provvedimento del giudice, che consente così di chiedere il nuovo esame della causa e la pronuncia di una nuova decisione ad un diverso giudice.
Il presupposto del diritto all'(—) è che le sentenze dei giudici possono essere inficiate da errori sia di fatto (inerenti all'accertamento della verità processuale) sia di diritto (relativi all'individuazione della norma applicabile e all'elaborazione interpretativa).
In ossequio al principio della certezza dei rapporti giuridici, però, l'esercizio dell'(—) è limitato nel tempo (decorso, infatti, il termine stabilito dalla legge senza che l'atto sia stato impugnato è inammissibile, e l'atto acquista stabilità giuridica diventando cosa giudicata) e nei gradi (generalmente sono consentiti solo due gradi di (—): l'appello e il ricorso per Cassazione).
Il sistema delle (—) si ispira al principio della tassatività, poiché i mezzi di impugnazione esperibili sono solo quelli previsti espressamente per il singolo provvedimento. Si consideri, però, che ai sensi dell'art. 111 Cost., sono sempre impugnabili con ricorso per Cassazione, e dunque anche in assenza di un'espressa previsione del legislatore, le sentenze e i provvedimenti in materia di libertà personale.
() incidentale (d. proc.)
() nel processo civile
Nel processo civile le (—) sono il regolamento di competenza, l'appello, il ricorso per Cassazione, la revocazione e l'opposizione di terzo.
L'(—) può essere principale o incidentale:
— è principale quella proposta inizialmente e in via autonoma: essa si propone con atto di citazione o con ricorso;
— è incidentale, invece, l'(—) contro la stessa sentenza che viene proposta da altre parti successivamente alla prima impugnazione, detta appunto principale. Ai sensi dell'art. 333 c.p.c., la conseguenza è che l'(—) incidentale deve essere presentata, a pena di decadenza, nello stesso processo già iniziato con quella principale. La ratio della disposizione è di evitare il rischio di giudicati contrastanti. Nel caso in cui, proposta (—) principale, i termini per impugnare siano già scaduti per le altre parti, ai sensi dell'art. 334 c.p.c. queste ultime possono egualmente presentare (—) incidentale, che viene appunto chiamata incidentale tardiva. Tale (—) ha però carattere accessorio di quella principale: sicché se questa viene dichiarata inammissibile, anche quella incidentale tardiva perde efficacia (art. 334 c. 2 c.p.c.).
Le (—) si distinguono in ordinarie e straordinarie:
— sono ordinarie quelle che, finché sono proponibili o pendenti, impediscono che la sentenza impugnata passi in giudicato [Cosa giudicata] (ex art. 324 c.p.c.): nel processo civile tali sono il regolamento di competenza, l'appello, il ricorso per cassazione e la revocazione ordinaria;
— sono straordinarie le impugnazioni la cui proponibilità non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza, e che sono perciò proponibili anche contro sentenze non più soggette a controllo o riesame. A differenza delle (—) ordinarie, esse non costituiscono una fase ulteriore del processo in cui fu pronunciata la sentenza, ma danno vita a un nuovo processo. Sono (—) straordinarie la revocazione straordinaria e l'opposizione di terzo.
Le (—) sono soggette al principio generale dell'iniziativa di parte, per cui il controllo sulle sentenze non avviene mai d'ufficio ma solo su domanda della parte interessata.
Legittimato all'(—) è soltanto chi è stato parte nel processo in cui la sentenza è stata pronunciata (salvo il caso dell'opposizione di terzo), anche se è rimasto contumace.
() nel processo penale
Le (—) si distinguono in ordinarie e straordinarie:
— sono ordinarie quelle che, finché sono proponibili o pendenti, impediscono che la sentenza impugnata passi in giudicato; per il processo penale sono l'appello e il ricorso per Cassazione;
— sono straordinarie le impugnazioni la cui proponibilità prescinde dal passaggio in giudicato della sentenza, e che sono perciò proponibili anche contro sentenze non più soggette a controllo o riesame. A differenza delle (—) ordinarie, esse non costituiscono una fase ulteriore del processo in cui fu pronunciata la sentenza, ma danno vita ad un nuovo processo. È (—) straordinaria la revisione.
Le (—) sono soggette al principio generale dell'iniziativa di parte, per cui il controllo sulle sentenze non avviene mai d'ufficio, ma solo su domanda della parte interessata.
Legittimato all'(—) è il p.m., l'imputato, il suo difensore e le altre parti private, ai sensi degli artt. 570 ss. c.p.p.
L'impugnazione determina un effetto devolutivo, un effetto estensivo ed un effetto sospensivo.
L'effetto devolutivo si ricollega al potere dispositivo delle parti le quali sono libere di proporre l'impugnazione ed hanno il potere di delimitare la cognizione del giudice attraverso i motivi (artt. 597 e 609 c.p.p.): ciò significa che il giudice non ha una cognizione piena del processo bensì delimitata dalle indicazioni delle parti (tantum devolutum quantum appellatum). Se la devoluzione parziale, cioè limitata ai motivi di impugnazione, è la regola, talvolta la legge prevede che il giudice dell'impugnazione sia investito dell'intera materia trattata dal primo giudice (effetto interamente devolutivo), come ad es. in caso di riesame.
L'effetto estensivo va distinto in effetto estensivo dell'impugnazione ed effetto estensivo della sentenza. Presupposto di operatività di tale effetto è che il processo si sia svolto unitariamente tra più parti collegate, sicché la decisione su una posizione non può non incidere anche su quella di un'altra parte.
Tale fenomeno non si esaurisce nel primo grado di giudizio ma permane anche nelle successive fasi dell'impugnazione ed implica che:
a) l'impugnazione proposta da una delle parti può giovare anche alle altre, purché si basi su motivi non esclusivamente personali: tale impugnazione fa nascere a favore dei non impugnanti un diritto a giovarsi dell'impugnazione altrui intervenendo nel giudizio di impugnazione, ma senza poter presentare motivi propri (art. 587: effetto estensivo dell'impugnazione);
b) la sentenza più favorevole, eventualmente emanata dal giudice dell'impugnazione, si estende anche al non impugnante, nel caso in cui questi sia rimasto inerte durante il giudizio d'impugnazione (non impugnando, né intervenendo nel giudizio d'impugnazione proposto da altri): in tal caso il giudice è autorizzato ad estendere (ope legis) la sentenza più favorevole al non impugnante (effetto estensivo della sentenza). L'effetto estensivo si produce solo nei casi tassativamente previsti nell'art. 587 (es. nel caso di concorso di persone in uno stesso reato, purché l'impugnazione sia fondata su motivi non esclusivamente personali).
L'effetto estensivo si produce solo a favore del non impugnante, non in suo pregiudizio, salvo due eccezioni:
1) condanna alle spese del coimputato non impugnante che sia intervenuto nel giudizio (in caso di rigetto dell'impugnazione);
2) appello incidentale del P.M. (art. 595 c.p.p.).
L'effetto sospensivo è regolato dall'art. 588, il quale fissa il principio generale secondo cui durante i termini per impugnare e nel corso dell'impugnazione l'esecuzione del provvedimento resta sospesa, salvo che la legge disponga altrimenti (ad es. in caso di impugnazione di misure cautelari).