Conciliazione

Conciliazione
() giudiziale nel processo civile (d. proc. civ.)
È il tentativo che il giudice compie allo scopo di pervenire al componimento della controversia, sì da determinare la cessazione della materia del contendere.
Prima delle modifiche introdotte dalle leggi 80/2005 e 263/2005, il giudice era tenuto ad effettuare il tentativo di (—) alla prima udienza di trattazione, dopo aver provveduto ad interrogare liberamente [Interrogatorio (nel processo civile)] le parti sui fatti di causa. Si trattava, secondo quanto previsto dal vecchio art. 183 c.p.c., di un tentativo obbligatorio di (—), che tuttavia nella pratica era diventato, di fatto, discrezionale, tanto che la giurisprudenza riteneva che la sua omissione non comportasse alcuna nullità.
Il legislatore del 2005, prendendo atto di ciò, ha reso facoltativo il tentativo di (—), che adesso è disposto soltanto se le parti ne fanno richiesta congiunta in qualunque stato e grado del processo (art. 185 c.p.c.), ferma restando la facoltà del giudice di disporre d'ufficio, in ogni momento, la comparizione personale delle parti (anche) per tentarne la (—), ai sensi dell'art. 117 c.p.c.
Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione.
In sede di tentativo di (—) le parti possono farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale il quale deve essere a conoscenza dei fatti di causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti di causa da parte del procuratore, è elemento valutabile come argomento di prova ai sensi dell'art. 116 c.p.c.
Quando le parti si sono conciliate si forma processo verbale dell'accordo raggiunto.
Il processo verbale costituisce titolo esecutivo.
() giudiziale nel processo penale (d. proc. pen.)
Istituto previsto dall'art. 5553 c.p.p. (riscritto, come l'intero Libro ottavo del codice, dalla L. 16-12-1999, n. 479), a norma del quale nell'udienza di comparizione, a seguito della citazione diretta, il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione. Nel vecchio rito pretorile l'istituto era disciplinato dall'art. 564, come figura di definizione procedimentale alternativa al dibattimento, svolta dal P.M., nella fase delle indagini preliminari, anche prima di compiere atti di indagine. La riforma del rito monocratico ha, invece, collocato l'istituto nella fase dibattimentale. Si ritiene, per ragioni sistematiche, che il tentativo di conciliazione si debba effettuare prima dell'apertura del dibattimento, e sul presupposto della comparizione delle parti nello stesso.
() giudiziale in materia tributaria (d. trib.)
Istituto che consente di estinguere una esposizione debitoria nei confronti dell'erario, costituita da tributi o sanzioni, mediante il patteggiamento delle somme dovute.
La (—) può aver luogo solo davanti alla commissione tributaria provinciale e non oltre la prima udienza.
La richiesta di conciliazione, sia totale che parziale, può provenire da entrambe le parti tramite un'apposita istanza.
Qualora una delle due parti abbia proposto la conciliazione e l'altra non vi abbia aderito, la commissione può stabilire un termine, non superiore a 60 giorni, per la formulazione di una nuova proposta.
Se la (—) ha luogo, viene redatto apposito processo verbale, nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d'imposta, di sanzioni e interessi. Tale processo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un'unica soluzione o in forma rateale secondo le disposizioni dell'art. 48 D.Lgs. 546/1992. Se il contribuente non provvede ad effettuare il versamento dell'intero importo o della prima rata nel termine di 20 giorni, decade dal beneficio della riduzione delle sanzioni amministrative ad un terzo del minimo.
Ulteriori vantaggi conseguibili con la (—) consistono nella:
— diminuzione fino alla metà delle pene previste per i reati tributari;
— non applicazione delle sanzioni accessorie;
— compensazione delle spese di giudizio.
Il pagamento delle somme dovute dal contribuente può essere effettuato anche in forma rateale: in tal caso è necessaria la prestazione di un'idonea garanzia (titoli di Stato o garantiti dallo Stato, fideiussione rilasciata da un istituto di credito).
È chiaro infine che se la conciliazione è totale si estingue il giudizio, se è parziale la causa continua per le controversie non conciliate.
Oltre alla (—) propriamente detta è possibile una conciliazione stragiudiziale sulla base di un preventivo accordo tra gli interessati.
() in sede non contenziosa (d. proc. civ.)
È il tentativo di pervenire ad una preventiva composizione della lite al fine di evitare il giudizio (art. 322 c.p.c.).
La relativa istanza si propone al giudice di pace territorialmente competente, senza limiti di valore, sempreché la controversia verta su diritti disponibili e a condizione che non siano previsti dalla legge appositi organi per la composizione stragiudiziale della lite (es.: commissioni provinciali di conciliazione di cui all'art. 410 c.p.c.). Se la conciliazione riesce, se ne redige processo verbale che, qualora la controversia rientri tra quelle devolute alla competenza per materia e per valore del giudice di pace, costituisce titolo esecutivo. Se, invece, la causa non è di competenza del giudice di pace, il verbale ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio.
In particolare si ricorda il tentativo di conciliazione, previsto dall'art. 410 c.p.c., nel processo del lavoro che, ai sensi del D.Lgs. 80/1998, è ora obbligatorio quale condizione di procedibilità dell'azione processuale.
() stragiudiziale davanti alle Commissioni provinciali del lavoro (d. lav.)
Si sostanzia nell'accordo fra le parti di una controversia di lavoro, che si matura a seguito del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 410 c.p.c.
Originariamente tale tentativo di conciliazione era meramente facoltativo e non precludeva l'inizio del processo.
Attualmente, invece, l'art. 410 c.p.c. (modif. dall'art. 36 D.Lgs. 80/1998 e successivamente dall'art. 19 D.Lgs. 387/1998) prevede che il tentativo di conciliazione extragiudiziale sia obbligatorio: esso è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e, in suo difetto, il giudice deve sospendere il giudizio, fissando alle parti un termine perentorio per proporre il tentativo (art. 412bis c.p.c.).
Pertanto, chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti di lavoro di cui all'art. 409 c.p.c. deve:
— o avvalersi delle procedure di conciliazione eventualmente previste dai contratti o accordi collettivi (conciliazione sindacale);
— o promuovere, anche tramite l'associazione sindacale di appartenenza, il tentativo di conciliazione presso la apposita commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'art. 413 c.p.c. (conciliazione amministrativa).
La comunicazione della richiesta di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
Il tentativo di (—), anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro 60 giorni dalla presentazione della richiesta.
Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato (art. 410bis c.p.c.).
Se il tentativo di conciliazione riesce, si forma processo verbale che è depositato nella cancelleria del tribunale competente per territorio; il giudice, su istanza della parte interessata, accertatane la regolarità formale, lo dichiara esecutivo con decreto (art. 411 c.p.c.).
Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni all'art. 411 c.p.c. (art. 412 c.p.c.).