Patto

Patto
() commissorio (d. civ.)
Il (—) è quello col quale si conviene che, in caso di inadempimento, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno a garanzia del credito passi al creditore.
Tale (—) è nullo, in base all'art. 2744 c.c., pur se è posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno. Anche in sede di contratto di anticresi vige il divieto del (—) (art. 1963 c.c.).
La ratio del divieto è quella di evitare qualsiasi ingiustificato vantaggio del creditore nei confronti del debitore e soprattutto degli altri creditori.
Non viola, invece, tale divieto il cd. patto marciano, attraverso il quale si consente al creditore di soddisfarsi, in ipotesi di inadempimento, sulla cosa stessa sia con le modalità della vendita forzata che mediante assegnazione a prezzo di stima; in quest'ultimo caso il creditore farà proprio il bene, ma dovrà versare al debitore l'eventuale differenza tra valore del credito e valore stimato.
() di famiglia (d. civ.)
L'istituto del (—) è stato introdotto nel nostro ordinamento con la L. 55/2006. Trattasi di un contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti. Trattasi, dunque, di un contratto, più precisamente di una convenzione inter vivos traslativa ad efficacia reale, la cui peculiarità è quella di andare ad incidere sulla successione del disponente pur non essendo un atto mortis causa.
La legge richiede, per la validità del (—), l'atto pubblico, a sottolineare l'importanza degli interessi coinvolti; dal punto di vista sostanziale al contratto devono partecipare il coniuge e tutti i discendenti che sarebbero legittimari se la successione si aprisse nel momento della stipula del (—).
Il (—) trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di garantire agli imprenditori una successione certa nell'interesse dell'azienda consentendo la stipula di accordi diretti a regolamentare la successione dell'imprenditore stesso favorendo solo uno o alcuni dei discendenti.
La legge, a tutela dei legittimari, riconosce loro il diritto intangibile ad una quota del patrimonio ereditario indipendentemente dalla volontà del de cuius, mediante la possibilità di agire per ottenere la declaratoria di inefficacia nei loro confronti delle disposizioni testamentarie ed, eventualmente, delle donazioni fatte in vita dal de cuius che hanno leso la quota di legittima (azione di riduzione).
() di non concorrenza (d. civ.)
Tale (—) è finalizzato a limitare lo svolgimento dell'attività del prestatore per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
L'art. 2125 c.c. fissa precisi limiti al (—), stabilendo che esso risulti da atto scritto, abbia precisi limiti temporali (5 anni per i dirigenti e 3 anni per gli altri lavoratori), di luogo e di oggetto, e preveda un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro.
La stipulazione di un tale (—) trova la sua ragione nel fatto che il prestatore di lavoro, allo scadere del contratto di lavoro, potrebbe attuare una concorrenza pericolosa nei confronti dell'azienda presso la quale svolgeva l'attività lavorativa, avendone ormai appreso modalità e tecniche produttive. Tale (—) va distinto dal divieto di concorrenza che costituisce un obbligo contrattuale operante in costanza di rapporto ed è, espressione del più ampio obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.) [Fedeltà (Obbligo di)].
Inoltre, l'art. 2596 c.c. prevede un limite negoziale alla concorrenza fra imprese, consistente nell'accordo stabilito tra due o più imprenditori, allo scopo di impedire l'esercizio di determinate attività concorrenziali per un periodo di tempo circoscritto (5 anni). Ha valore solo tra le parti e per una determinata zona. Deve essere provato per iscritto [Concorrenza].
() di prelazione (d. civ.)
() di prova (d. lav.)
Clausola che consente di subordinare l'assunzione definitiva del lavoratore all'esito positivo di un periodo di prova.
Il (—) è un elemento accidentale del contratto di lavoro che presenta gli aspetti caratteristici sia del termine che della condizione.
Il (—) è posto nell'interesse di entrambe le parti del rapporto di lavoro ed al riguardo l'art. 2096 co. 2 c.c. stabilisce che datore e prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del (—) stesso.
La durata massima del (—) è determinata dal contratto collettivo o individuale.
Scaduto il periodo di prova, se nessuna delle parti recede, il rapporto si trasforma automaticamente a tempo indeterminato (art. 2096 co. 4 c.c.).
() di quota lite (d. civ.)
() di retrovendita (d. civ.)
() di riscatto (d. civ.)
() di riservato dominio (d. civ.)
() leonino (d. comm.)
Si definisce tale l'accordo con il quale si escludono uno o più soci dalla partecipazione agli utili e/o alle perdite.
L'esclusione dagli utili determina la nullità del (—) in quanto in contrasto con l'essenza stessa della società: verrebbe, cioè, meno lo scopo di lucro; al contrario, l'esclusione dalle perdite, secondo alcuni, determina la nullità del (—) per ragioni di natura morale e politica; altri sostengono che si tratterebbe di una pattuizione usuraria.
La nullità è limitata al solo (—) e non si estende all'intero contratto sociale: qualora si accerti la presenza nell'atto costitutivo di particolari regole di ripartizione che configurano, di fatto, una pattuizione in tal senso (ad esempio la priorità nel riparto degli utili a favore di singoli soci in misura eccessiva rispetto alle potenziali capacità della società a produrre reddito) il (—) nullo è sostituito automaticamente dai criteri generali di ripartizione (art. 2263 c.c.). Fanno eccezione:
— l'ipotesi in cui risulta che il socio non avrebbe partecipato senza la stipulazione del (): in tal caso la partecipazione stessa deve considerarsi nulla (art. 1419 c.c.);
— l'ipotesi in cui la partecipazione del socio vincolato dal (—) debba ritenersi essenziale ai fini del contratto: in tal caso la nullità si estende all'intero contratto sociale (art. 1420 c.c.).
() marciano (d. civ.)
[Patto (commissorio)].
() parasociale (d. comm.)
È un accordo, tra tutti o alcuni degli stipulanti di un contratto di società, con il quale i soci regolano il loro successivo comportamento.
Con il (—) i soci si impegnano ad esercitare in modo predeterminato i loro diritti sociali.
Il (—) ha efficacia solo inter partes, pertanto i successivi acquirenti delle azioni non sono tenuti ad osservare il (—) cui si era impegnato l'alienante, né i terzi né la stessa società subiscono influenze dirette dall'esistenza del patto.
I (—) sono validi purché non pregiudichino un interesse primario della società garantito da norme imperative.
Il Testo Unico finanziario (D.Lgs. 58/98) ha introdotto per le società con azioni quotate nei mercati regolamentati e per le società che le controllano una specifica disciplina dei (—), al fine di aumentare il livello di trasparenza sulle operazioni di controllo societario.
L'art. 122 T.U., in particolare, stabilisce che i (—) devono essere comunicati (entro 5 giorni dalla stipulazione) alla C.O.N.S.O.B., pubblicati (entro 10 giorni) sulla stampa quotidiana e depositati (entro 15 giorni) presso il registro delle imprese territorialmente competente.
In caso di inosservanza, i (—) sono considerati nulli e non può essere esercitato il diritto di voto relativo alle azioni appartenenti al patto.
Solo di recente (D.Lgs. 17-1-2003, n. 6) i patti parasociali hanno costituito oggetto di regolamentazione anche per le società non quotate. Il legislatore della riforma ha, infatti, introdotto gli artt. 2341bis e ter che disciplinano la materia, individuando specificamente tre categorie di patti parasociali:
— patti aventi ad oggetto l'esercizio del diritto di voto nella S.p.a. o nelle società che le contrattano (cd. sindacati di voto);
— patti che pongono limiti al trasferimento delle azioni delle S.p.a. (cd. sindacati di blocco);
— patti aventi ad oggetto l'esercizio, anche congiunto, di una influenza dominante su una società per azioni (cd. sindacati di controllo).
Per tali accordi è previsto un particolare regime pubblicitario (art. 2341ter) ed un limite di durata non superiore a cinque anni.
() successorio (d. civ.)
L'art. 458 c.c. sancisce la nullità di ogni convenzione con cui taluno si impegna a disporre della propria successione (patti successori istitutivi), e di qualsiasi altro atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta (patti successori dispositivi) o rinuncia ai medesimi (patti successori rinunciativi). Per un'eccezione a tale divieto si rinvia ai nuovi patti di famiglia.
La ragione del divieto dei patti istitutivi sta nel fatto che il nostro ordinamento non ammette come causa di delazione dell'eredità il contratto; mentre, negli altri casi, tale ragione è stata individuata nell'esigenza di impedire l'incauta cessione di beni dei quali può ignorarsi l'effettiva consistenza e di evitare il cd. votum captandae mortis.
() sui diritti civili e politici (d. internaz.)
Si tratta di una delle due convenzioni con le quali vengono tradotte in una forma giuridicamente vincolante i principi già enunciati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Il (—) contiene un lungo elenco di diritti che vengono garantiti e tutelati dall'accordo: diritto alla vita, diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona, diritto alla libertà di movimento, diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, diritto di riunione pacifica, diritto di associazione etc.
Il (—) prevede anche l'istituzione di un Comitato dei diritti dell'uomo che ha il compito di garantire l'osservanza dei diritti tutelati. In realtà non è previsto alcun meccanismo di tutela realmente efficace, dal momento che in caso di inosservanza delle disposizioni del patto il Comitato può soltanto chiedere allo Stato di inviare un rapporto per illustrare i motivi del suo comportamento. Un protocollo facoltativo riconosce al Comitato la competenza ad esaminare anche comunicazioni provenienti da persone fisiche; un secondo protocollo, siglato nel 1989, prevede l'abolizione della pena di morte.
Adottato: 16-12-1966
Entrato in vigore: 25-3-1976
Ratificato: L. 25-10-1977, n. 881.