Concorrenza

Concorrenza
() come forma di mercato (d. comm.)
È quella particolare forma di mercato in cui, data la pluralità di imprenditori, nessuno di essi è in grado di determinare con le proprie decisioni il contenuto delle contrattazioni.
La disciplina della (—) (cioè della libera competizione tra imprenditori per l'acquisizione e la conservazione della clientela) è basata sulla regola della libertà, espressione del principio della libertà dell'iniziativa economica (art. 41 Cost.).
Lo stesso art. 41 della Costituzione autorizza però l'introduzione di limiti a tale libertà, per fini di utilità sociale.
Nella realtà, la libertà di (—) è però di fatto compromessa dalla presenza di strutture monopolistiche ed oligopolistiche, createsi mediante processi di concentrazione di imprese e intese tra gruppi industriali. A tale scopo il legislatore italiano ha approntato una serie di misure antitrust (L. 287/90) nel rispetto delle direttive comunitarie, sia per allinearsi ai partner europei sia per dare maggiore vigore all'azione di salvaguardia della libera concorrenza.
I limiti alla (—) possono essere generali, negoziali, legali.
Con riferimento ai primi, l'art. 2595 c.c., a tutela dell'interesse generale, stabilisce che la (—) non deve ledere gli interessi dell'economia nazionale e ciò perché ove tali interessi non venissero tutelati, l'attività imprenditoriale si porrebbe in contrasto con l'utilità sociale e quindi con la Costituzione (art. 41 Cost.).
Grande rilievo assumono anche i limiti negoziali introdotti con le clausole di esclusiva [Clausola], i patti di preferenza, i patti di non concorrenza nonché i cd. cartelli.
Questi ultimi operano essenzialmente a tutela di un determinato imprenditore o a tutela di tutti gli altri imprenditori, come avviene nel caso del generico dovere di astensione da determinate forme di (—), produttive di pregiudizi particolarmente qualificati.
Altro limite è previsto, nel caso di cessione di azienda, dall'art. 2557 c.c. a carico dell'alienante che per 5 anni non può svolgere attività concorrenziali con quella esercitata dall'impresa ceduta.
() sleale
La (—) deve attuarsi con il rispetto di quelle norme di costume che costituiscono la correttezza professionale.
In particolare, deve ritenersi sleale la (—) di un imprenditore che, violando le norme di correttezza professionale (denigrando gli altrui prodotti, o valorizzando fuori misura i propri, o ricorrendo ad altri sistemi non consentiti), tenti di sviare a proprio vantaggio la clientela di altre imprese.
Nel nostro ordinamento il codice civile, agli artt. 2598-2601, qualifica gli atti di (—) sleale e ne determina le sanzioni, attribuendo in taluni casi la legittimazione ad agire anche alle associazioni professionali.
Si ricordi, inoltre, che anche il trattato CE tutela, nell'ambito dei Paesi membri, la sana (—) vietando le intese e lo sfruttamento delle posizioni dominanti.
Obbligo del lavoratore di non () (d. civ.)
Nel diritto del lavoro l'art. 2105 c.c., sotto la rubrica obbligo di fedeltà [Fedeltà (Obbligo di)], disciplina alcuni obblighi accessori al contratto di lavoro, tra cui quello di non (—). Il lavoratore ha l'obbligo di non trattare affari, per conto proprio o di terzi, che ponendosi in (—) con l'attività esercitata dall'impresa di cui è dipendente siano idonei, anche solo potenzialmente, ad arrecare danno all'impresa stessa. Tale obbligo vincola il lavoratore solo per la durata del rapporto, distinguendosi pertanto dall'obbligo di analogo contenuto previsto dal patto di non concorrenza.