Ordine

Ordine
() del giorno (d. civ.; d. pubbl.)
Rappresenta l'insieme degli argomenti posti all'attenzione di un organo collegiale.
Tale evidenziazione dei temi oggetto di discussione risponde al duplice scopo di permettere ai membri dell'organo collegiale di approfondire gli argomenti inseriti nell'(—), in modo da giungere preparati alla riunione prevista e di determinare con precisione i limiti del potere deliberativo dello stesso organo collegiale.
L'(—) del giorno delle Camere è l'argomento sul quale è chiamata a discutere ciascuna Camera.
La Camera non può deliberare su materie che non siano all'(—), se non previa e necessaria deliberazione, con votazione palese che si svolge mediante procedimento elettronico con registrazione dei nomi e a maggioranza dei tre quarti dei votanti.
Al Senato il Presidente apre le sedute e le chiude annunciando la data, l'ora e l'(—) della seduta successiva.
Per discutere o votare su argomenti che non siano all'(—) è necessaria una deliberazione del Senato adottata a maggioranza dei due terzi dei presenti.
() delle ipoteche (d. civ.)
() di carcerazione (d. proc. pen.)
Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il P.M. emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato.
Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant'altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione. L'ordine è notificato al difensore del condannato.
La disciplina dettagliata è contenuta negli artt. 656 e 657 c.p.p.
() di esecuzione dei trattati (d. cost.)
Atto legislativo attraverso il quale lo Stato recepisce nel proprio ordinamento interno le norme contenute in un trattato internazionale.
Si tratta di un atto che viene emanato per ogni singolo trattato e che realizza l'adattamento del diritto interno al diritto internazionale convenzionale, mediante un procedimento di rinvio. Infatti, in sede di emanazione dell'(—) le norme contenute nel trattato non vengono riformulate dagli organi competenti dello Stato, ma viene solo espressa la volontà di dare ad esse attuazione nell'ordinamento interno allegando all'(—) il testo dell'accordo.
L'(—), che riveste generalmente la forma di legge ordinaria, è emanato, di solito contestualmente con la legge di autorizzazione alla ratifica del trattato e precede l'entrata in vigore dello stesso.
Nell'ordinamento italiano, l'eventuale mancanza di (—) fa sì che il trattato internazionale non abbia valore nell'ordinamento interno.
() economico internazionale (d. internaz.)
Con l'espressione (—) si suole indicare l'assetto generale delle relazioni economiche internazionali, in un determinato periodo storico.
L'ordine instaurato alla fine della seconda guerra mondiale era imperniato su scelte economiche di matrice neoliberista, e venne codificato nel GATT nonché nello Statuto del FMI.
Tale sistema economico, riflettendo l'ideologia della potenza egemone nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (gli Stati Uniti), avvertì i primi sintomi di cedimento agli inizi degli anni sessanta a causa dell'insorgere di rivalità economicamente più deboli in seguito all'esaurimento del processo di decolonizzazione. Tali Paesi, indicati sinteticamente come Paesi in via di sviluppo, cominciavano a censurare, oramai apertamente, l'eguaglianza formale tra gli Stati, caratterizzante il vecchio ordine economico internazionale, in quanto dissimulava abilmente una sostanziale diseguaglianza tra i medesimi. Il nuovo ordine economico internazionale da essi propugnato avrebbe quindi consentito di superare tali squilibri sostituendo al libero gioco delle forze di mercato una reale programmazione internazionale dell'economia ispirata ad esigenze di cooperazione e solidarietà internazionale.
() pubblico (d. pubbl.)
Di tale concetto non esiste una definizione legislativa, ma solo una costruzione dottrinale sulla base di numerosi richiami legislativi.
L'(—) è costituito dal complesso dei principi fondamentali di natura cogente sui quali si poggia il regime statale. Tali principi rivestono un'importanza fondamentale e, come tali, sono dotati di una speciale efficacia sostanziale, es.: inderogabilità, prevalenza interpretativa etc.
Poiché i principi di (—) rappresentano le norme basilari dell'assetto democratico, costituiscono sia un limite alla facoltà di disposizione dei privati sia un limite etico all'esercizio dei diritti fondamentali.
Tutte le norme di (—) sono di carattere coattivo.
Tale termine, non avendo una definizione precisa, è sempre stato strumentalizzato nel campo del diritto penale a fini repressivi.
Difatti il codice penale prevede l'(—) quale presupposto di numerosi reati essenziali per la convivenza civile e la stabilità dell'ordinamento democratico, concetti tutti abbastanza vaghi che risentono direttamente del periodo storico e del modello di regime politico e sociale preso in considerazione.
L'(—) può comunque intendersi in due modi:
— in senso materiale: quale complesso delle condizioni che assicurano la tranquillità e la sicurezza materiale di tutti i cittadini;
— in senso ideale: quale ordine legale su cui poggia la convivenza civile.
L'(—) materiale è presupposto di molti reati di maggiore o minore gravità quali: l'associazione per delinquere, la devastazione e il saccheggio, divulgare notizie false, esagerate o tendenziose etc.
L'(—) ideale è invece un concetto più politico che giuridico e la sua tutela coincide con la repressione del dissenso politico e ideologico [Reati (di opinione)].
Negli anni settanta, per combattere il fenomeno del terrorismo, si è avuta una trasformazione della nozione di (—), inteso come l'insieme degli strumenti e degli interventi degli apparati statali preposti alla prevenzione e alla repressione della criminalità. Un esempio di questo nuovo indirizzo è la legge del 1975, cd. legge Reale, Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico.
() quale provvedimento della Pubblica Amministrazione (d. amm.)
È un provvedimento restrittivo della sfera giuridica del destinatario, con cui la P.A., a seguito di una scelta discrezionale [Discrezionalità] o di un semplice accertamento, fa sorgere nuovi obblighi giuridici a carico dei destinatari, imponendo loro un determinato comportamento sulla base della propria potestà di supremazia.
L'obbligo del destinatario di osservare gli (—) è, talvolta, ben determinato (ordini legalmente dati per motivi di giustizia, ordine pubblico, sicurezza pubblica o igiene) e penalmente sanzionato (art. 650 c.p.).
La potestà ordinatoria può essere generale o speciale.
La prima si esplica nei confronti di qualsiasi soggetto (arg. ex art. 2 R.D. 18-6-1931, 773); la seconda, invece, presuppone una relazione particolare tra il privato e la P.A. In tal caso gli (—) sono atti interni e prendono il nome di (—) gerarchici.
Quanto alla loro natura giuridica, gli (—) sono restrittivi, costitutivi ed incidono sfavorevolmente su diritti. Sono (—): le sanzioni amministrative, le ordinanze; i calmieri; gli accertamenti tributari; le cd. direttive.
Gli (—) si distinguono, in base al loro contenuto, in comandi, se hanno contenuto positivo (dare, facere, pati) e divieti, se hanno contenuto negativo (non facere).