Fallimento

Fallimento (d. fall.)
Il (—) è una procedura concorsuale rivolta, attraverso la liquidazione delle attività esistenti nel patrimonio del debitore, alla realizzazione coattiva e paritaria dei diritti dei creditori. Tale procedura è applicata quando l'imprenditore si trovi in stato di insolvenza, cioè quando non sia più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Il (—) è frazionato nel suo svolgimento in più procedimenti ed è compreso tra due atti ineliminabili: la sentenza dichiarativa di () e il decreto di chiusura del ().
La procedura fallimentare in particolare riguarda tutti i beni del debitore e tutti i creditori e si basa sul principio paritario [Par condicio (creditorum)] per cui tutti i creditori devono essere ugualmente soddisfatti, salve le cause legittime di prelazione.
Caratteri della procedura fallimentare dunque sono:
— l'universalità: in quanto essa colpisce tutti i beni del debitore;
— la concorsualità: è predisposta nell'interesse di tutti i creditori;
— l'ufficialità: essa, proprio perché tutela un interesse collettivo, può essere iniziata anche di ufficio, senza cioè impulso di parte.
La disciplina è stata recentemente modificata dal D.Lgs. 169/2007, con decorrenza dal 1 gennaio 2008.
Sono soggetti alle disposizioni sul (—) e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Ai sensi dell'art. 1 R.D. 267/1942, come modificato dal D.Lgs. 169/2007, non sono soggetti alle disposizioni sul (—) e sul concordato preventivo gli imprenditori i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di (—) o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300.000 euro;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di (—) o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200.000 euro;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500.000 euro.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della Giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
Le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa non sono soggette al fallimento, salvo che la legge disponga diversamente.
I presupposti del (—) sono di due specie:
— il presupposto soggettivo dato dalla qualità di imprenditore commerciale del debitore; sono esclusi, pertanto, gli imprenditori agricoli, piccoli e medio-grandi;
— il presupposto oggettivo consistente nel suo stato di insolvenza, che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
La procedura di (—) può essere iniziata (art. 6 L.F.):
— su ricorso di uno o più creditori;
— su richiesta dello stesso debitore;
— su istanza del pubblico ministero.
Il fallimento non può essere disposto per iniziativa del giudice, il quale può solamente segnalare al P.M. l'insolvenza eventualmente rilevata nel corso di un procedimento civile nel quale sia parte l'imprenditore, affinché il P.M. possa richiedere il fallimento.
Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge davanti al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio (art. 15 R.D. 267/1942, come modificato dal D.Lgs. 169/2007).
Competente alla dichiarazione di (—) è il Tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa, ossia il centro degli affari ad essa inerenti.
Il tribunale dichiara il fallimento con sentenza, con la quale (art. 16 R.D. 267/1942, modificato dal D.Lgs. 169/2007):
— nomina il giudice delegato per la procedura;
— nomina il curatore;
— ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell'elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito;
— stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre 120 giorni dal deposito della sentenza, ovvero 180 giorni in caso di particolare complessità della procedura;
— assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di 30 giorni prima dell'adunanza fissata per l'esame dello stato passivo, per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione.
La sentenza produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione ai sensi dell'art. 133, co. 1, c.p.c.
Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese.
In seguito alla dichiarazione di (—) sono poste a carico del fallito talune limitazioni di carattere personale, consistenti precisamente:
— nell'obbligo, per il fallito-persona fisica, di consegnare al curatore la propria corrispondenza, limitatamente a quella riguardante i rapporti compresi nel fallimento (art. 48 L.F.). La corrispondenza diretta al fallito-persona giuridica è consegnata al curatore;
— nell'obbligo di comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio (art. 49 L.F.).
Sotto il profilo patrimoniale, il fallito viene spossessato dei suoi beni, i quali vengono sottoposti all'amministrazione del curatore, che li prende in consegna (artt. 31 e 42 L.F.). A seguito di tale spossessamento il fallito è privato dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni che restano vincolati al (—).
Lo spossessamento, tuttavia, non si estende a tutti i beni del fallito, in quanto ne restano esclusi (art. 46 L.F.):
— i beni e i diritti strettamente personali;
— gli assegni aventi carattere alimentare;
— i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi;
— le cose non soggette a pignoramento ai sensi dell'art. 514 c.p.c.;
— la casa di abitazione, nei limiti necessari al fallito ed alla sua famiglia.
Gli artt. 64-71 L.F. regolano gli effetti del () sugli atti pregiudizievoli ai creditori.
Effetto fondamentale della sentenza dichiarativa di (—), nei confronti di tutti i creditori del fallito, è il conferimento ad essi del diritto di partecipare alla distribuzione del ricavato dalla liquidazione del patrimonio del fallito, sulla base dell'importo del credito al momento della dichiarazione di (—).
Nei confronti dei creditori il (—) produce anche i seguenti effetti:
— dalla data della sentenza nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni del fallito (art. 51 L.F.);
— è sospeso il corso degli interessi convenzionali o legali, eccetto che per i crediti garantiti da ipoteca, pegno o privilegio (art. 55 L.F.);
— tutti i debiti pecuniari si considerano scaduti (art. 55 L.F.).
Infine, poiché la legge ritiene facenti parte della massa attiva del (—) anche taluni beni che hanno cessato di appartenere al debitore anteriormente alla dichiarazione di (—), è apprestato un rimedio volto al fine di recuperare nel patrimonio del debitore tali beni: la revocatoria fallimentare.
Organi del (—) sono:
— il tribunale fallimentare;
— il giudice delegato;
— il curatore;
— il comitato dei creditori.
Il curatore predispone, attraverso una apposita procedura [Accertamento (del passivo)], il progetto di stato passivo, sulla base delle domande di ammissione (o di insinuazione) al passivo presentato dai creditori. Il curatore redige l'inventario dei beni appartenenti al fallito e predispone un programma di liquidazione da sottoporre all'approvazione del giudice delegato. Approvato il programma, si dà luogo alla liquidazione dei singoli beni subordinatamente alla accertata impossibilità di procedere alla vendita dell'intero complesso aziendale, di suoi rami o di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco.
Avvenuta la vendita dei beni, il giudice delegato, approva il conto della gestione presentato dal curatore e liquida il compenso a questi spettante; ordina, quindi, il riparto finale, sentite le proposte del curatore, che ne cura anche l'esecuzione [Ripartizione dell'attivo].
() dell'imprenditore cessato o defunto
Entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, l'imprenditore può essere dichiarato fallito se l'insolvenza si è manifestata anterioremente alla medesima o entro l'anno successivo (art. 10 L.F.).
Analogamente, il fallimento può essere dichiarato entro un anno dalla morte se l'insolvenza si è manifestata durante l'esercizio dell'impresa (art. 11 L.F.). Nel termine di un anno il fallimento deve essere dichiarato con sentenza, e non semplicemente richiesto.
() dell'imprenditore con sede all'estero ed ivi già dichiarato fallito
L'imprenditore che ha all'estero la sede principale dell'impresa può essere dichiarato fallito nel territorio della Repubblica anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all'estero (art. 9 L.F.). Tale disposizione, se da un lato può determinare la coesistenza di più procedure fallimentari, si giustifica, dall'altro, con l'esigenza di non lasciare i crediti degli italiani privi di tutela giurisdizionale nei confronti dei debitori stranieri.
() dell'imprenditore già fallito
Se l'imprenditore, mentre era ancora in corso la precedente procedura fallimentare, ha esercitato una nuova attività imprenditoriale, egli non può nuovamente fallire, in quanto il c.d. nuovo (—) non è altro che un ampliamento del precedente. Se, invece, l'imprenditore ha iniziato una nuova attività dopo la chiusura della precedente procedura fallimentare, allora si avrà un nuovo (—).
() dell'imprenditore incapace
Il minore, l'interdetto e l'inabilitato possono acquistare la qualità di imprenditore commerciale soltanto nell'ipotesi di continuazione dell'esercizio dell'impresa commerciale, ricevuta per successione o donazione, e previa autorizzazione del tribunale.
Il minore emancipato (art. 397 c.c.) può anche iniziare ex novo un'attività di impresa, previa autorizzazione del tribunale.
L'incapace che inizia un'impresa ex novo o che la continui senza l'autorizzazione del tribunale, non assume la qualità di imprenditore e non è, quindi, assoggettabile a (—) in caso di esercizio di fatto dell'attività d'impresa.
Se, invece, l'incapace continua l'attività d'impresa con l'autorizzazione del tribunale, la titolarità dell'impresa fa capo all'incapace e l'esercizio della stessa spetta ai genitori, al tutore o al curatore. Ciò comporta che possono fallire indifferentemente l'incapace e colui che agisce in sua rappresentanza; l'incapace, però, subisce solamente gli effetti patrimoniali del fallimento, mentre il suo rappresentante gli effetti personali di esso.
() dell'imprenditore occulto
Si parla di imprenditore occulto quando l'imprenditore organizza la propria attività in modo da mascherare la sua titolarità dell'impresa, occultandosi normalmente dietro un prestanome.
La dottrina dominante esclude il (—) dell'imprenditore occulto, poiché l'immediato responsabile dei debiti dell'azienda è solamente il prestanome (cioè l'imprenditore fittizio) che agisce in nome proprio e per conto dell'imprenditore occulto. Di conseguenza, chi fallisce è il prestanome, perché l'assenza del rapporto di rappresentanza comporta che l'impresa non sia giuridicamente imputabile all'imprenditore occulto.