Equità

Equità [giudizio di] (d. civ.; d. proc. civ.)
L'(—) è il principio di contemperamento di contrapposti interessi rilevanti secondo la coscienza sociale.
Può assumere diverse funzioni:
— criterio di valutazione (es.: nella determinazione del danno, ex art. 1226 c.c.);
— criterio di soluzione delle controversie (artt. 113 e 114 c.p.c.);
— come principio fondamentale ai fini dell'integrazione o dell'interpretazione del contratto, contribuendo a determinare gli effetti giuridici che il contratto produrrà, ed a contemperare gli interessi delle parti relativamente all'affare concluso in concreto.
In ambito processuale, l'(—) è il criterio di giudizio in forza del quale il giudice, nel decidere una controversia, fa ricorso a criteri di convenienza e di comparazione degli interessi delle parti, prescindendo dall'applicazione di una norma giuridica. Si tratta, comunque, sempre di poteri giurisdizionali in quanto basati sulla legge e da questa limitati.
È possibile distinguere due forme di equità:
1) (—) integrativa, che si ha quando il legislatore rinuncia a predisporre la disciplina legale di particolari aspetti di una fattispecie e preferisce affidare al giudice il compito di intervenire caso per caso (es., la liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.);
2) (—) sostitutiva, che comporta l'attribuizione al giudice del potere di sostituire integralmente l'applicazione della norma con una propria decisione equitativa.
Nell'ambito dell'equità sostitutiva rientrano le due ipotesi di giudizio d'equità previste dal codice di procedura civile, ovvero:
— l'art. 113, comma 2, c.p.c., secondo cui il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non supera i 1.100 euro, salvo le controversie derivanti dai contratti conclusi ai sensi dell'art. 1342 c.c. (contratti di massa);
— l'art. 114 c.p.c., per il quale il giudice decide secondo equità quando la causa riguarda diritti disponibili delle parti e queste gliene fanno concorde richiesta.
La differenza tra i due tipi di equità consiste nel fatto che l'equità sostitutiva riguarda l'intero rapporto in contestazione, mentre l'equità integrativa riguarda soltanto un particolare aspetto di esso.
Il giudice che pronuncia una sentenza secondo (—) ne deve dare atto nel dispositivo (art. 119 disp. att. c.p.c.).
Le sentenze pronunciate secondo equità a richiesta di parte (art. 114 c.p.c.) sono inappellabili ma ricorribili in Cassazione in caso di mancanza dei presupposti necessari per la decisione di equità o di mancanza di motivazione.
Invece, le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell'art. 113, 2 comma, c.p.c. (cause di valore non superiore a 1.100 euro) sono appellabili [Appello] per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie e per violazione dei principi regolatori della materia. Invece, non sono immediatamente ricorribili in Cassazione [Corte (di cassazione)], poiché i motivi di ricorso in Cassazione sono oramai assorbiti da quelli per proporre appello previsti dal nuovo comma 2 dell'art. 339 c.p.c.