Illegittimità

Illegittimità
() costituzionale (d. cost.)
Indica la difformità fra la norma costituzionale e la norma ordinaria, contenuto del possibile giudizio di esito del sindacato di costituzionalità. La (—) può derivare dalla violazione di norme che: prevedono determinati procedimenti per la formazione degli atti legislativi (la cui violazione determina vizi formali); impongono o vietano determinati contenuti (la cui violazione determina, invece, vizi sostanziali).
Si determina (—) formale nel caso di violazione di norme sui procedimenti legislativi. Così, ad esempio, una legge erroneamente approvata dalle Commissioni, anziché dall'Assemblea, può essere dichiarata incostituzionale per vizio di forma.
La Corte ha precisato (sent. n. 9/1959) che non tutte le violazioni di norme sul procedimento comportano un vizio apprezzabile in sede di controllo di costituzionalità, ma solo la violazione di norme sul procedimento di formazione della legge contenute nella Costituzione.
La Corte ha, invece, riconosciuto il rispetto dell'insindacabilità del regolamento di ciascuna Camera, e ciò al fine di evitare che si trasferissero innanzi ad essa le numerose, e spesso strumentali, controversie regolamentari, di per sé non legate alla difesa di situazioni sostanziali apprezzabili.
L'(—) sostanziale si determina per incompatibilità dei contenuti o, meglio, per il contrasto obiettivo fra il principio materiale incorporato nella legge ordinaria e un principio contenuto in una legge costituzionale (Virga).
I problemi più difficili nascono a proposito delle clausole generali contenute nella Costituzione, aventi lo scopo di orientare il legislatore ordinario. Si pensi ai fini sociali, alla funzione sociale, all'utilità generale, che sono disposizioni costituzionali in sostanza prive di autonomo contenuto. È chiaro che se la Corte pretendesse di specificare di volta in volta i fini sociali, l'utilità generale etc., compirebbe degli apprezzamenti politici di competenza di altri poteri. Tuttavia, ciò non esclude un controllo di costituzionalità ai margini oltre i quali le scelte legislative risulterebbero insostenibili.
I caratteri di questo controllo sono stati così definiti dalla Corte: Per potere affermare che la legge non corrisponde a fini di utilità generale bisognerebbe che risultasse che l'organo legislativo non abbia compiuto un apprezzamento di tali fini e dei mezzi per raggiungerli o che questo apprezzamento sia stato inficiato da criteri illogici, arbitrari o contraddittori, ovvero che l'apprezzamento stesso si manifesti in palese contrasto con i presupposti di fatto (sent. n. 14/1964). Si tratta insomma di un controllo che non mette in discussione lo scopo in sé, la cui determinazione è riservata al legislatore, ma la conformità dei mezzi rispetto ad esso.
() dell'atto amministrativo (d. amm.)
L'atto amministrativo [Atto (amministrativo)] che presenta un vizio di uno dei suoi elementi essenziali e risulta, pertanto, difforme dalla norma giuridica che lo disciplina, risulta affetto da (—) e, come tale, suscettibile di annullamento.
L'(—) è, dunque, una forma di invalidità dell'atto amministrativo che si concretizza in tre vizi caratteristici: