Difetto di giurisdizione

Difetto di giurisdizione (d. proc. civ.)
Il (—) ricorre nei soli casi previsti dall'art. 37 c.p.c. e consiste nella impossibilità per il giudice ordinario di esplicare la propria funzione giurisdizionale, in quanto devoluta dalla legge ad altri giudici cioè a giudici appartenenti non semplicemente ad altri uffici (altrimenti si configurerebbe difetto di competenza ex art. 38 c.p.c.) bensì ad altri sistemi giudiziali, quale quello dei ricorsi amministrativi o ad altri poteri pubblici (ad es.: Pubblica Amministrazione).
Sussiste difetto di giurisdizione anche nel caso in cui al giudice venga chiesta l'emanazione di uno di quei provvedimenti che gli sono inibiti di fronte all'attività amministrativa, come ad esempio l'annullamento o la revoca di un atto amministrativo (che può essere invece solo disapplicato dal giudice ordinario).
Tale difetto è rilevabile in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio.
Lo strumento che consente alla parte di contestare la giurisdizione del giudice adito, ricorrendo alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è il regolamento di giurisdizione, ma prima che la causa sia stata decisa nel merito in primo grado. Dopo tale momento l'eventuale (—) potrà essere fatto valere con gli ordinari mezzi d'impugnazione (appello, ricorso in Cassazione).
Quando sorge una questione sulla sussistenza del difetto di giurisdizione, essa deve formare subito oggetto di esame e di decisione nei modi normali (cfr. art. 187 c. 3 c.p.c.). La questione di giurisdizione rientra, infatti, tra le questioni pregiudiziali di rito, anzi è la prima, in ordine logico, di tali questioni.
La decisione del giudice sulla questione di giurisdizione può essere oggetto di impugnazione: appello e, poi, ricorso alla Corte di Cassazione.