Sovrappiù
Sovrappiù
Differenza, positiva, tra output e input del processo produttivo, cioè tra quantità di beni prodotti in un dato periodo e quantità di fattori della produzione (v.) necessari allo scopo.
Evidentemente, un'economia che non crei alcun sovrappiù, poiché produce in ogni periodo i medesimi beni, è un'economia stazionaria (v. Stato stazionario). Nel caso contrario si parla di economia progressiva o potenzialmente progressiva, a seconda che le risorse aggiunte siano reinvestite o solo consumate.
In riferimento ad un'economia nazionale, il sovrappiù è dato dalla somma di tutti i prodotti finali, dedotti gli ammortamenti e al netto dei prodotti intermedi; se espresso in termini monetari, il sovrappiù equivale alla somma dei valori aggiunti (v.) e coincide dunque col reddito nazionale (v.).
Il concetto di sovrappiù fu introdotto dai fisiocratici (v.), che ritenevano che l'unico settore in grado di produrlo fosse l'agricoltura, grazie alla fertilità della terra (ad esempio, un chicco di grano produce una spiga), mentre consideravano ogni altra attività un unico settore sterile. Già con gli economisti classici (v.), segnatamente Smith (v.), si ebbe una prima evoluzione di tale visione: per Smith, il sovrappiù non poteva nascere solo dal potere naturale della terra, ma era generato dal sistema economico nel suo complesso.
Per Marx (v.) il sovrappiù rappresenta l'aspetto fisico del plusvalore (v.), dato dall'eccedenza del valore dei prodotti creati dalla forza lavoro sulle retribuzioni erogate a quest'ultima da parte dell'imprenditore. Si può dunque affermare che il plusvalore sia la forma particolare con cui il sovrappiù appare nella società capitalistica.
Nell'analisi di Ricardo, vi è una netta distinzione tra quella parte del reddito nazionale utilizzabile per reintegrare i fattori impiegati nel processo produttivo precedente e ciò che, invece, costituisce un sovrappiù vero e propio: sarà proprio la distribuzione di quest'ultima grandezza a rappresentare uno dei nodi centrali del dibattito economico.
Per gli economisti classici, infatti, alla ripartizione del reddito nazionale concorrono tre diverse classi sociali: i lavoratori, i proprietari terrieri e gli imprenditori che vengono remunerati rispettivamente attraverso il salario (v.), la rendita (v.) ed i profitti (v.).
Poiché il salario è fissato al livello di sussistenza, la parte residua del reddito non distribuito serve a remunerare i proprietari terrieri, in quanto possessori del fattore produttivo terra, e gli imprenditori.
I problemi sollevati dalla teoria classica della distribuzione del reddito furono superati dagli economisti neoclassici (v.) attraverso la teoria della produttività marginale: se infatti ogni fattore produttivo è remunerato secondo il contributo apportato al processo produttivo, saranno soddisfatti due principi:
— dell'efficienza, in quanto il reddito sarà effettivamente distribuito solo a fattori che hanno concorso alla produzione;
— dell'equità, in quanto ad ognuno toccherà una remunerazione pari al contributo apportato.
Differenza, positiva, tra output e input del processo produttivo, cioè tra quantità di beni prodotti in un dato periodo e quantità di fattori della produzione (v.) necessari allo scopo.
Evidentemente, un'economia che non crei alcun sovrappiù, poiché produce in ogni periodo i medesimi beni, è un'economia stazionaria (v. Stato stazionario). Nel caso contrario si parla di economia progressiva o potenzialmente progressiva, a seconda che le risorse aggiunte siano reinvestite o solo consumate.
In riferimento ad un'economia nazionale, il sovrappiù è dato dalla somma di tutti i prodotti finali, dedotti gli ammortamenti e al netto dei prodotti intermedi; se espresso in termini monetari, il sovrappiù equivale alla somma dei valori aggiunti (v.) e coincide dunque col reddito nazionale (v.).
Il concetto di sovrappiù fu introdotto dai fisiocratici (v.), che ritenevano che l'unico settore in grado di produrlo fosse l'agricoltura, grazie alla fertilità della terra (ad esempio, un chicco di grano produce una spiga), mentre consideravano ogni altra attività un unico settore sterile. Già con gli economisti classici (v.), segnatamente Smith (v.), si ebbe una prima evoluzione di tale visione: per Smith, il sovrappiù non poteva nascere solo dal potere naturale della terra, ma era generato dal sistema economico nel suo complesso.
Per Marx (v.) il sovrappiù rappresenta l'aspetto fisico del plusvalore (v.), dato dall'eccedenza del valore dei prodotti creati dalla forza lavoro sulle retribuzioni erogate a quest'ultima da parte dell'imprenditore. Si può dunque affermare che il plusvalore sia la forma particolare con cui il sovrappiù appare nella società capitalistica.
Nell'analisi di Ricardo, vi è una netta distinzione tra quella parte del reddito nazionale utilizzabile per reintegrare i fattori impiegati nel processo produttivo precedente e ciò che, invece, costituisce un sovrappiù vero e propio: sarà proprio la distribuzione di quest'ultima grandezza a rappresentare uno dei nodi centrali del dibattito economico.
Per gli economisti classici, infatti, alla ripartizione del reddito nazionale concorrono tre diverse classi sociali: i lavoratori, i proprietari terrieri e gli imprenditori che vengono remunerati rispettivamente attraverso il salario (v.), la rendita (v.) ed i profitti (v.).
Poiché il salario è fissato al livello di sussistenza, la parte residua del reddito non distribuito serve a remunerare i proprietari terrieri, in quanto possessori del fattore produttivo terra, e gli imprenditori.
I problemi sollevati dalla teoria classica della distribuzione del reddito furono superati dagli economisti neoclassici (v.) attraverso la teoria della produttività marginale: se infatti ogni fattore produttivo è remunerato secondo il contributo apportato al processo produttivo, saranno soddisfatti due principi:
— dell'efficienza, in quanto il reddito sarà effettivamente distribuito solo a fattori che hanno concorso alla produzione;
— dell'equità, in quanto ad ognuno toccherà una remunerazione pari al contributo apportato.