Salario
Salario
Remunerazione del fattore produttivo lavoro. In particolare, secondo una distinzione oggi in gran parte superata, il salario sarebbe la remunerazione spettante agli operai mentre, per gli impiegati, si dovrebbe parlare di stipendio.
Il salario può distinguersi in monetario (o nominale) e reale.
Il primo corrisponde alla quantità di moneta che il lavoratore riceve quale corrispettivo del suo lavoro, mentre il secondo è dato dalla quantità di beni e servizi acquistabili con il salario monetario.
Il salario reale è uguale al rapporto W/p tra il salario monetario W ed il livello dei prezzi p.
Secondo gli economisti classici (v.), il livello del salario era pari al valore delle merci e dei beni necessari a soddisfare i bisogni più urgenti del lavoratore e della sua famiglia (nutrimento, vestiario ecc.). Secondo quanto affermato da questa teoria, il prezzo del lavoro veniva così a dipendere dal livello delle spese di sussistenza in un certo momento; di conseguenza, aumentava o diminuiva se aumentavano o diminuivano i prezzi dei beni di sussistenza di una famiglia lavoratrice.
Anche per Marx (v.) il salario è sostanzialmente quello del minimo di sussistenza, ma inteso in senso sociale poiché dipendente dal contesto storico ed è influenzato dall'opera dei sindacati. Questi ultimi, tuttavia, devono confrontarsi con le innovazioni tecniche che, favorendo l'aumento della composizione organica del capitale (v.), cioè il rapporto fra capitale costante e capitale variabile, riduce la domanda di lavoro e crea le condizioni affinché l'esercito industriale di riserva (v.), i disoccupati, con le sue pressioni faccia cadere i livelli salariali.
Mentre gli autori classici, avevano posto l'accento sull'offerta di lavoro (il salario di sussistenza è, infatti, basato sul costo di riproduzione della forza-lavoro), altri autori, invece, si sono soffermati sull'analisi della domanda di lavoro elaborando la teoria denominata del fondo salari (v. Teoria del fondo salari). In pratica, la remunerazione viene calcolata dividendo il fondo salari (vale a dire il capitale disponibile per assumere i lavoratori) per il numero della popolazione salariata in cerca di lavoro. Si crea, così un tasso naturale di piena occupazione.
Questa teoria venne utilizzata per tentare di dimostrare l'inutilità di ogni azione sindacale volta a modificare il saggio generale dei salari.
Nell'analisi neoclassica (v. Neoclassici) il salario viene considerato come risultato dell'operare congiunto della domanda e dell'offerta. Si parte dall'analisi dei singoli soggetti e, ovviamente, si assume un mercato di concorrenza perfetta (v.) in cui, come in qualsiasi altro mercato, dall'incontro della domanda e dell'offerta si stabilisce un prezzo di equilibrio (il saggio di salario appunto). Più in particolare, la curva di domanda deve la propria inclinazione alla produttività marginale (v.) decrescente, e di conseguenza, l'impresa assumerà (domanderà) lavoratori fino al punto in cui il prezzo del fattore, il salario, eguaglierà il valore del suo prodotto fisico marginale. L'offerta, invece, è considerata crescente, ma si ipotizza che oltre un certo salario aumenti la propensione verso il tempo libero.
Se riportiamo sull'asse orizzontale il numero dei lavoratori e su quello verticale il livello del salario la posizione d'equilibrio (incontro tra domanda ed offerta) risulta trovarsi nel punto A. Nel grafico sono illustrate anche le ipotesi in cui non vi sia equilibrio sul mercato del lavoro (v.).
Se il salario è fissato al punto W1, cioè ad un livello inferiore a quello di equilibrio, la domanda di lavoro (C) è superiore all'offerta (B). Viceversa, se il salario è fissato al livello W2 la domanda di lavoro sarà fissata in un punto (D) dove risulta inferiore all'offerta.
Per la scuola neoclassica, dunque, il mercato del lavoro è sempre in grado di realizzare una posizione di equilibrio.
Keynes (v.) pur accettando, in linea di massima, la funzione della domanda di lavoro delle imprese ipotizzata dagli autori neoclassici, non condivide l'idea della piena flessibilità dei salari. La sua curva dell'offerta di lavoro era, infatti, costruita partendo dall'ipotesi che i salari monetari fossero rigidi verso il basso, determinando così una diversa configurazione della curva di offerta di lavoro.
I motivi che spinsero l'economista inglese ad avanzare questa ipotesi sono essenzialmente due:
— in un'economia capitalistica matura, il salario non è determinato da una contrattazione individuale, ma è il risultato dell'azione dei sindacati che operano affinché non scenda sotto certi livelli;
— sul mercato del lavoro non vi è una grande mobilità di informazioni per cui un lavoratore disoccupato difficilmente accetterà una retribuzione più bassa di quella precedente.
Graficamente, l'ipotesi keynesiana e quella neoclassica sono illustrate in figura. Nel primo caso il salario è fissato al livello W1 per cui la curva dell'offerta di lavoro sarà decrescente fino a tale livello, oltre il quale, per l'ipotesi della rigidità dei salari nominali, non vi saranno più lavoratori disposti a prestare la propria opera ad un livello retributivo inferiore. Il punto A definisce l'equilibrio tra domanda ed offerta di lavoro; a tale punto corrisponde un numero di lavoratori occupati pari a N1.
Nell'ipotesi neoclassica della piena flessibilità dei salari e di una curva dell'offerta decrescente, il punto di equilibrio è rappresentato da B, cui corrisponde un numero di lavoratori occupati pari ad N.
Come si può facilmente notare, la rigidità dei salari provoca un aumento del numero di lavoratori disoccupati (o una diminuzione di quelli occupati) che nel nostro esempio equivale al segmento N1N (v. Equilibrio di sottoccupazione).
Le moderne teorie del salario tendono a porre l'accento sulle dinamiche tipiche di una società avanzata (preferenza per il tempo libero, dimissioni volontarie in presenza di buone prospettive di miglioramento della propria posizione ecc.).
In particolare, si è cercato di analizzare come reagisce l'offerta di lavoro al variare del salario. Secondo alcune analisi, ogni aumento salariale comporta due effetti contrastanti:
— un effetto sostituzione del tempo libero con il lavoro, per cui aumentando il salario aumenta anche l'offerta di lavoro;
— un effetto reddito, per cui pur lavorando meno l'individuo può conseguire un reddito addirittura maggiore.
È dunque possibile che, per livelli salariali abbastanza alti, la curva d'offerta diventi negativa. Proseguendo con questo ragionamento, alcuni ritengono che la curva d'offerta di lavoro abbia un andamento a Z. Più specificamente:
— se il salario è molto basso, l'offerta addizionale di ore-lavoro sarà più alta. Il bisogno spinge, infatti, a lavorare più ore per ottenere un reddito complessivo tale da poter assicurare alla famiglia un tenore di vita migliore;
— se il salario aumenta, l'offerta di lavoro tende a diminuire. Contrariamente all'ipotesi precedente, se aumenta il reddito non sarà necessario aumentare il ritmo del lavoro;
— se il salario aumenta ulteriormente, l'offerta tornerà a crescere. In questo caso la maggior quantità di lavoro prestata rende possibile il conseguimento di un tenore di vita superiore;
— ogni successivo aumento del salario provoca una diminuzione dell'offerta di lavoro. Il tenore di vita acquisito gratifica il lavoratore, il quale non avrà alcuna incentivazione a lavorare ulteriormente godendosi il tempo libero ed il benessere che l'alto salario gli procura.
Remunerazione del fattore produttivo lavoro. In particolare, secondo una distinzione oggi in gran parte superata, il salario sarebbe la remunerazione spettante agli operai mentre, per gli impiegati, si dovrebbe parlare di stipendio.
Il salario può distinguersi in monetario (o nominale) e reale.
Il primo corrisponde alla quantità di moneta che il lavoratore riceve quale corrispettivo del suo lavoro, mentre il secondo è dato dalla quantità di beni e servizi acquistabili con il salario monetario.
Il salario reale è uguale al rapporto W/p tra il salario monetario W ed il livello dei prezzi p.
Secondo gli economisti classici (v.), il livello del salario era pari al valore delle merci e dei beni necessari a soddisfare i bisogni più urgenti del lavoratore e della sua famiglia (nutrimento, vestiario ecc.). Secondo quanto affermato da questa teoria, il prezzo del lavoro veniva così a dipendere dal livello delle spese di sussistenza in un certo momento; di conseguenza, aumentava o diminuiva se aumentavano o diminuivano i prezzi dei beni di sussistenza di una famiglia lavoratrice.
Anche per Marx (v.) il salario è sostanzialmente quello del minimo di sussistenza, ma inteso in senso sociale poiché dipendente dal contesto storico ed è influenzato dall'opera dei sindacati. Questi ultimi, tuttavia, devono confrontarsi con le innovazioni tecniche che, favorendo l'aumento della composizione organica del capitale (v.), cioè il rapporto fra capitale costante e capitale variabile, riduce la domanda di lavoro e crea le condizioni affinché l'esercito industriale di riserva (v.), i disoccupati, con le sue pressioni faccia cadere i livelli salariali.
Mentre gli autori classici, avevano posto l'accento sull'offerta di lavoro (il salario di sussistenza è, infatti, basato sul costo di riproduzione della forza-lavoro), altri autori, invece, si sono soffermati sull'analisi della domanda di lavoro elaborando la teoria denominata del fondo salari (v. Teoria del fondo salari). In pratica, la remunerazione viene calcolata dividendo il fondo salari (vale a dire il capitale disponibile per assumere i lavoratori) per il numero della popolazione salariata in cerca di lavoro. Si crea, così un tasso naturale di piena occupazione.
Questa teoria venne utilizzata per tentare di dimostrare l'inutilità di ogni azione sindacale volta a modificare il saggio generale dei salari.
Nell'analisi neoclassica (v. Neoclassici) il salario viene considerato come risultato dell'operare congiunto della domanda e dell'offerta. Si parte dall'analisi dei singoli soggetti e, ovviamente, si assume un mercato di concorrenza perfetta (v.) in cui, come in qualsiasi altro mercato, dall'incontro della domanda e dell'offerta si stabilisce un prezzo di equilibrio (il saggio di salario appunto). Più in particolare, la curva di domanda deve la propria inclinazione alla produttività marginale (v.) decrescente, e di conseguenza, l'impresa assumerà (domanderà) lavoratori fino al punto in cui il prezzo del fattore, il salario, eguaglierà il valore del suo prodotto fisico marginale. L'offerta, invece, è considerata crescente, ma si ipotizza che oltre un certo salario aumenti la propensione verso il tempo libero.
Se riportiamo sull'asse orizzontale il numero dei lavoratori e su quello verticale il livello del salario la posizione d'equilibrio (incontro tra domanda ed offerta) risulta trovarsi nel punto A. Nel grafico sono illustrate anche le ipotesi in cui non vi sia equilibrio sul mercato del lavoro (v.).
Se il salario è fissato al punto W1, cioè ad un livello inferiore a quello di equilibrio, la domanda di lavoro (C) è superiore all'offerta (B). Viceversa, se il salario è fissato al livello W2 la domanda di lavoro sarà fissata in un punto (D) dove risulta inferiore all'offerta.
Per la scuola neoclassica, dunque, il mercato del lavoro è sempre in grado di realizzare una posizione di equilibrio.
Keynes (v.) pur accettando, in linea di massima, la funzione della domanda di lavoro delle imprese ipotizzata dagli autori neoclassici, non condivide l'idea della piena flessibilità dei salari. La sua curva dell'offerta di lavoro era, infatti, costruita partendo dall'ipotesi che i salari monetari fossero rigidi verso il basso, determinando così una diversa configurazione della curva di offerta di lavoro.
I motivi che spinsero l'economista inglese ad avanzare questa ipotesi sono essenzialmente due:
— in un'economia capitalistica matura, il salario non è determinato da una contrattazione individuale, ma è il risultato dell'azione dei sindacati che operano affinché non scenda sotto certi livelli;
— sul mercato del lavoro non vi è una grande mobilità di informazioni per cui un lavoratore disoccupato difficilmente accetterà una retribuzione più bassa di quella precedente.
Graficamente, l'ipotesi keynesiana e quella neoclassica sono illustrate in figura. Nel primo caso il salario è fissato al livello W1 per cui la curva dell'offerta di lavoro sarà decrescente fino a tale livello, oltre il quale, per l'ipotesi della rigidità dei salari nominali, non vi saranno più lavoratori disposti a prestare la propria opera ad un livello retributivo inferiore. Il punto A definisce l'equilibrio tra domanda ed offerta di lavoro; a tale punto corrisponde un numero di lavoratori occupati pari a N1.
Nell'ipotesi neoclassica della piena flessibilità dei salari e di una curva dell'offerta decrescente, il punto di equilibrio è rappresentato da B, cui corrisponde un numero di lavoratori occupati pari ad N.
Come si può facilmente notare, la rigidità dei salari provoca un aumento del numero di lavoratori disoccupati (o una diminuzione di quelli occupati) che nel nostro esempio equivale al segmento N1N (v. Equilibrio di sottoccupazione).
Le moderne teorie del salario tendono a porre l'accento sulle dinamiche tipiche di una società avanzata (preferenza per il tempo libero, dimissioni volontarie in presenza di buone prospettive di miglioramento della propria posizione ecc.).
In particolare, si è cercato di analizzare come reagisce l'offerta di lavoro al variare del salario. Secondo alcune analisi, ogni aumento salariale comporta due effetti contrastanti:
— un effetto sostituzione del tempo libero con il lavoro, per cui aumentando il salario aumenta anche l'offerta di lavoro;
— un effetto reddito, per cui pur lavorando meno l'individuo può conseguire un reddito addirittura maggiore.
È dunque possibile che, per livelli salariali abbastanza alti, la curva d'offerta diventi negativa. Proseguendo con questo ragionamento, alcuni ritengono che la curva d'offerta di lavoro abbia un andamento a Z. Più specificamente:
— se il salario è molto basso, l'offerta addizionale di ore-lavoro sarà più alta. Il bisogno spinge, infatti, a lavorare più ore per ottenere un reddito complessivo tale da poter assicurare alla famiglia un tenore di vita migliore;
— se il salario aumenta, l'offerta di lavoro tende a diminuire. Contrariamente all'ipotesi precedente, se aumenta il reddito non sarà necessario aumentare il ritmo del lavoro;
— se il salario aumenta ulteriormente, l'offerta tornerà a crescere. In questo caso la maggior quantità di lavoro prestata rende possibile il conseguimento di un tenore di vita superiore;
— ogni successivo aumento del salario provoca una diminuzione dell'offerta di lavoro. Il tenore di vita acquisito gratifica il lavoratore, il quale non avrà alcuna incentivazione a lavorare ulteriormente godendosi il tempo libero ed il benessere che l'alto salario gli procura.