Politica economica
Politica economica
Branca della scienza economica che studia l'intervento dello Stato nel sistema economico e suggerisce gli strumenti da porre in essere affinché siano raggiunti alcuni obiettivi considerati socialmente desiderabili.
La politica economica risulta, quindi, distinta dall'economia politica (v.) anche se è pur sempre quest'ultima a fornire di volta in volta, a seconda delle diverse scuole di pensiero, le indicazioni, gli strumenti ed i modelli esplicativi per la politica pratica.
Così, ad esempio, la teoria economica classica e il laissez-faire del XIX secolo insegnano che lo Stato migliore è quello che governa meno, poiché i processi automatici del mercato assicurano da soli l'efficiente impiego e l'ottimale distribuzione delle risorse. Questa impostazione è nota con la denominazione di finanza neutrale o puramente fiscale.
La teoria presuppone che i privati siano in grado di assicurare la piena occupazione dei fattori produttivi e quindi il massimo livello possibile del reddito nazionale. Pertanto il fisco non deve turbare le condizioni di equilibrio determinatesi spontaneamente, cioè deve essere neutrale. Lo Stato non deve modificare né il preesistente rapporto tra i redditi dei membri della collettività, né la distribuzione del reddito di ognuno fra consumo e risparmio, né i rapporti di produzione fra i vari impieghi.
La politica economica, dunque, stabilisce essenzialmente ciò che lo Stato non deve fare affinché l'economia, come sistema economico autoregolantesi, possa funzionare nell'interesse generale.
Colui che, per primo, ha dato una valida giustificazione teorica dell'azione statale in campo economico è stato J. M. Keynes (v.). L'economista inglese, infatti, dimostrò che il sistema economico capitalistico, abbandonato a se stesso, non è in grado di assicurare la piena occupazione delle forze lavoro.
A partire da quel momento vi è stato un radicale mutamento della visione del ruolo dello Stato nella vita economica di un paese.
La scuola keynesiana ha analizzato, in particolare, i problemi legati all'instabilità propria di un'economia di mercato (v. Crisi economica) ed alla insufficiente domanda di lavoro (v. Equilibrio di sottoccupazione) ed ha costituito la base teorica degli interventi di politica fiscale (v.) e politica monetaria (v.) adottati fino agli anni Settanta. Questa impostazione macroeconomica (poiché sia gli obiettivi perseguiti sia gli strumenti utilizzati consistono in grandezze aggregate) ha ricevuto un decisivo impulso ad opera di J. Tinbergen (v.), cui si deve in particolare la formalizzazione dell'impiego di un modello economico (v.), di Frisch (v.), di Meade (v.) e di Mundell, cui va il merito di aver analizzato il rapporto fra strumenti ed obiettivi di politica economica (v.).
L'approccio di questi autori, a lungo dominante, presenta però problemi non sempre di facile risoluzione; in particolare:
— si assume che i comportamenti degli operatori privati non siano influenzati dalle scelte di politica economica; in realtà è molto probabile che le decisioni delle autorità politiche siano in qualche modo anticipate dai privati, che modificheranno di conseguenza il proprio comportamento (v. Critica di Lucas);
— si dà per scontato che l'operatore pubblico (il policy maker) persegua un generico interesse pubblico; teorie come quella sul ciclo elettorale (v.) o sulla burocrazia (v.), costituiscono altrettanti tentativi alla ricerca di un maggior realismo.
Accanto a questo approccio macroeconomico vanno menzionate le politiche d'intervento di tipo microeconomico, dirette principalmente:
— a modificare l'allocazione delle risorse, la distribuzione personale del reddito e la sua equità;
— a sopperire ai cosiddetti fallimenti del mercato (v.).
Gli strumenti di tali interventi microeconomici possono essere diretti, come nel caso della fissazione di una tariffa o di un prezzo amministrato (v.), oppure indiretti, come nel caso della regolamentazione (v.) di un determinato settore dell'economia.
L'eccessivo intervento pubblico e la relativa inefficienza delle imprese statali (v. Efficienza X) hanno spinto a parlare di fallimento dello Stato (v.), cosicché a partire dagli anni Ottanta si è assistito, in tutti i paesi dell'OCSE (v.), ad un ampio processo di deregulation (v.) e di privatizzazione (v.) delle attività pubbliche.
Approfondimento: L'azione dello Stato ed i suoi obiettivi.
Branca della scienza economica che studia l'intervento dello Stato nel sistema economico e suggerisce gli strumenti da porre in essere affinché siano raggiunti alcuni obiettivi considerati socialmente desiderabili.
La politica economica risulta, quindi, distinta dall'economia politica (v.) anche se è pur sempre quest'ultima a fornire di volta in volta, a seconda delle diverse scuole di pensiero, le indicazioni, gli strumenti ed i modelli esplicativi per la politica pratica.
Così, ad esempio, la teoria economica classica e il laissez-faire del XIX secolo insegnano che lo Stato migliore è quello che governa meno, poiché i processi automatici del mercato assicurano da soli l'efficiente impiego e l'ottimale distribuzione delle risorse. Questa impostazione è nota con la denominazione di finanza neutrale o puramente fiscale.
La teoria presuppone che i privati siano in grado di assicurare la piena occupazione dei fattori produttivi e quindi il massimo livello possibile del reddito nazionale. Pertanto il fisco non deve turbare le condizioni di equilibrio determinatesi spontaneamente, cioè deve essere neutrale. Lo Stato non deve modificare né il preesistente rapporto tra i redditi dei membri della collettività, né la distribuzione del reddito di ognuno fra consumo e risparmio, né i rapporti di produzione fra i vari impieghi.
La politica economica, dunque, stabilisce essenzialmente ciò che lo Stato non deve fare affinché l'economia, come sistema economico autoregolantesi, possa funzionare nell'interesse generale.
Colui che, per primo, ha dato una valida giustificazione teorica dell'azione statale in campo economico è stato J. M. Keynes (v.). L'economista inglese, infatti, dimostrò che il sistema economico capitalistico, abbandonato a se stesso, non è in grado di assicurare la piena occupazione delle forze lavoro.
A partire da quel momento vi è stato un radicale mutamento della visione del ruolo dello Stato nella vita economica di un paese.
La scuola keynesiana ha analizzato, in particolare, i problemi legati all'instabilità propria di un'economia di mercato (v. Crisi economica) ed alla insufficiente domanda di lavoro (v. Equilibrio di sottoccupazione) ed ha costituito la base teorica degli interventi di politica fiscale (v.) e politica monetaria (v.) adottati fino agli anni Settanta. Questa impostazione macroeconomica (poiché sia gli obiettivi perseguiti sia gli strumenti utilizzati consistono in grandezze aggregate) ha ricevuto un decisivo impulso ad opera di J. Tinbergen (v.), cui si deve in particolare la formalizzazione dell'impiego di un modello economico (v.), di Frisch (v.), di Meade (v.) e di Mundell, cui va il merito di aver analizzato il rapporto fra strumenti ed obiettivi di politica economica (v.).
L'approccio di questi autori, a lungo dominante, presenta però problemi non sempre di facile risoluzione; in particolare:
— si assume che i comportamenti degli operatori privati non siano influenzati dalle scelte di politica economica; in realtà è molto probabile che le decisioni delle autorità politiche siano in qualche modo anticipate dai privati, che modificheranno di conseguenza il proprio comportamento (v. Critica di Lucas);
— si dà per scontato che l'operatore pubblico (il policy maker) persegua un generico interesse pubblico; teorie come quella sul ciclo elettorale (v.) o sulla burocrazia (v.), costituiscono altrettanti tentativi alla ricerca di un maggior realismo.
Accanto a questo approccio macroeconomico vanno menzionate le politiche d'intervento di tipo microeconomico, dirette principalmente:
— a modificare l'allocazione delle risorse, la distribuzione personale del reddito e la sua equità;
— a sopperire ai cosiddetti fallimenti del mercato (v.).
Gli strumenti di tali interventi microeconomici possono essere diretti, come nel caso della fissazione di una tariffa o di un prezzo amministrato (v.), oppure indiretti, come nel caso della regolamentazione (v.) di un determinato settore dell'economia.
L'eccessivo intervento pubblico e la relativa inefficienza delle imprese statali (v. Efficienza X) hanno spinto a parlare di fallimento dello Stato (v.), cosicché a partire dagli anni Ottanta si è assistito, in tutti i paesi dell'OCSE (v.), ad un ampio processo di deregulation (v.) e di privatizzazione (v.) delle attività pubbliche.
Approfondimento: L'azione dello Stato ed i suoi obiettivi.