Politica antinflazionistica
Politica antinflazionistica
Insieme di misure economiche volte al rallentamento del fenomeno inflazionistico.
In particolare, per combattere l'inflazione (v.) si è soliti adottare una politica economica (v.) che tende a rallentare i consumi interni utilizzando due strumenti fondamentali: la politica fiscale (v.) e la politica monetaria (v.).
Nel primo caso si aumenta la pressione fiscale, provocando una contrazione della domanda globale (più imposte vengono pagate, meno soldi per consumi si hanno a disposizione); nel secondo caso, si ricorre ad una politica monetaria restrittiva attraverso una contrazione della spesa pubblica e, di conseguenza, degli investimenti e del reddito disponibile.
Riguardo al tipo di politica antinflazionistica più efficace, diverse sono le posizioni delle scuole del pensiero economico.
Secondo i monetaristi (v.), ad esempio, l'inflazione è un fenomeno da attribuire all'aumento della quantità di moneta in circolazione causato dall'eccessiva offerta da parte delle autorità monetarie. Nell'ottica monetarista un aumento dell'offerta di moneta non ha alcuna incidenza sulle grandezze reali dell'economia, ma provoca soltanto un aumento delle grandezze monetarie (essenzialmente salari e prezzi).
Un semplice rimedio, dunque, all'inflazione consiste nell'aumentare la quantità di moneta in circolazione ad un tasso equivalente a quello dell'aumento del reddito reale del sistema economico (v. K%); se si suppone che il ritmo di crescita del prodotto nazionale sia del 3%, anche l'aumento dell'offerta di moneta dovrà essere del 3%.
I monetaristi affermano, inoltre, che ogni aumento dell'offerta di moneta deve essere comunicato agli operatori evitando, in tal modo, che questi ultimi formulino aspettative infondate sul futuro dell'economia.
Il controllo dell'inflazione attraverso l'applicazione di questa regola semplice (aumento dell'offerta di moneta equivalente all'aumento del prodotto nazionale) presuppone che il sistema economico, lasciato a se stesso, possa raggiungere il suo equilibrio naturale. In tale ipotesi, le politiche keynesiane (aumento della pressione fiscale o aumento della spesa pubblica) possono avere effetti soltanto nel breve periodo, ma provocheranno un aumento dell'inflazione senza alcun beneficio per il sistema economico nel lungo periodo.
I keynesiani (v.), invece, partono dalla constatazione che un'inflazione da costi può innescare una rincorsa tra salari e prezzi, per cui ad un aumento dei salari corrisponde un aumento dei costi e quindi dei prezzi. Al fine di poter arrestare tale fenomeno essi suggeriscono di adottare una politica dei redditi (v.) che si attua sostanzialmente attraverso il:
— blocco dei prezzi e dei salari. In questo caso il governo decide di bloccare ogni ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti e dei salari dei lavoratori spezzando così il circolo che si era prima innescato. Chiaramente, questa politica è perseguibile soltanto nel breve periodo;
— patto sociale (v.) o altre forme di concertazione (v.) fra le parti sociali. In tale ipotesi il freno all'aumento dei salari e dei prezzi è il risultato di un accordo tra le varie categorie sociali raggiunto con l'intermediazione delle autorità governative. I lavoratori e gli imprenditori decidono di contenere le rivendicazioni salariali e gli aumenti dei prezzi entro limiti circoscritti (in genere commisurato all'aumento di produttività dei lavoratori);
— politiche basate su incentivi fiscali (v. TIP) volti a ridurre le rivendicazioni salariali e gli aumenti dei prezzi. In sostanza si applicano aliquote d'imposta (v.) a quelle imprese che concedono aumenti salariali superiori ad una certa soglia.
Insieme di misure economiche volte al rallentamento del fenomeno inflazionistico.
In particolare, per combattere l'inflazione (v.) si è soliti adottare una politica economica (v.) che tende a rallentare i consumi interni utilizzando due strumenti fondamentali: la politica fiscale (v.) e la politica monetaria (v.).
Nel primo caso si aumenta la pressione fiscale, provocando una contrazione della domanda globale (più imposte vengono pagate, meno soldi per consumi si hanno a disposizione); nel secondo caso, si ricorre ad una politica monetaria restrittiva attraverso una contrazione della spesa pubblica e, di conseguenza, degli investimenti e del reddito disponibile.
Riguardo al tipo di politica antinflazionistica più efficace, diverse sono le posizioni delle scuole del pensiero economico.
Secondo i monetaristi (v.), ad esempio, l'inflazione è un fenomeno da attribuire all'aumento della quantità di moneta in circolazione causato dall'eccessiva offerta da parte delle autorità monetarie. Nell'ottica monetarista un aumento dell'offerta di moneta non ha alcuna incidenza sulle grandezze reali dell'economia, ma provoca soltanto un aumento delle grandezze monetarie (essenzialmente salari e prezzi).
Un semplice rimedio, dunque, all'inflazione consiste nell'aumentare la quantità di moneta in circolazione ad un tasso equivalente a quello dell'aumento del reddito reale del sistema economico (v. K%); se si suppone che il ritmo di crescita del prodotto nazionale sia del 3%, anche l'aumento dell'offerta di moneta dovrà essere del 3%.
I monetaristi affermano, inoltre, che ogni aumento dell'offerta di moneta deve essere comunicato agli operatori evitando, in tal modo, che questi ultimi formulino aspettative infondate sul futuro dell'economia.
Il controllo dell'inflazione attraverso l'applicazione di questa regola semplice (aumento dell'offerta di moneta equivalente all'aumento del prodotto nazionale) presuppone che il sistema economico, lasciato a se stesso, possa raggiungere il suo equilibrio naturale. In tale ipotesi, le politiche keynesiane (aumento della pressione fiscale o aumento della spesa pubblica) possono avere effetti soltanto nel breve periodo, ma provocheranno un aumento dell'inflazione senza alcun beneficio per il sistema economico nel lungo periodo.
I keynesiani (v.), invece, partono dalla constatazione che un'inflazione da costi può innescare una rincorsa tra salari e prezzi, per cui ad un aumento dei salari corrisponde un aumento dei costi e quindi dei prezzi. Al fine di poter arrestare tale fenomeno essi suggeriscono di adottare una politica dei redditi (v.) che si attua sostanzialmente attraverso il:
— blocco dei prezzi e dei salari. In questo caso il governo decide di bloccare ogni ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti e dei salari dei lavoratori spezzando così il circolo che si era prima innescato. Chiaramente, questa politica è perseguibile soltanto nel breve periodo;
— patto sociale (v.) o altre forme di concertazione (v.) fra le parti sociali. In tale ipotesi il freno all'aumento dei salari e dei prezzi è il risultato di un accordo tra le varie categorie sociali raggiunto con l'intermediazione delle autorità governative. I lavoratori e gli imprenditori decidono di contenere le rivendicazioni salariali e gli aumenti dei prezzi entro limiti circoscritti (in genere commisurato all'aumento di produttività dei lavoratori);
— politiche basate su incentivi fiscali (v. TIP) volti a ridurre le rivendicazioni salariali e gli aumenti dei prezzi. In sostanza si applicano aliquote d'imposta (v.) a quelle imprese che concedono aumenti salariali superiori ad una certa soglia.