Plusvalore

Plusvalore

Nel pensiero marxista (v. Marx) è la differenza tra il valore (v.) dei prodotti creati dalla forza-lavoro (v.) ed il valore delle retribuzioni erogate a quest'ultima dall'imprenditore.
L'idea centrale dell'analisi marxiana è l'accettazione della teoria del valore-lavoro in base alla quale il valore di ciascun bene è pari alla quantità di lavoro necessario per produrlo; d'altra parte in un sistema capitalistico, incentrato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione (v.), il lavoro è anche una merce che i lavoratori offrono sul mercato e che i capitalisti acquistano con il salario.
Tale salario, però, costituisce solo una parte del valore totale del prodotto, in quanto esso è fissato, per ragioni storiche ed economiche, al livello di sussistenza (v.).
Della quota del valore del prodotto eccedente il salario percepito dai lavoratori si appropriano gli imprenditori, sotto forma di profitto; dunque esso non si forma nella fase dello scambio della merce ma nella fase della produzione.
Se, dunque, il valore della merce è determinato dal lavoro, la differenza tra il salario e il prezzo della merce, che Marx chiama appunto plusvalore, è lucrata dall'imprenditore a detrimento dei lavoratori. Il sistema economico capitalistico può quindi dirsi fondato sullo sfruttamento dei lavoratori che avviene in virtù della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il rapporto che si instaura tra salario e plusvalore (che in questo caso è sinonimo di profitto) è inversamente proporzionale: all'aumentare della prima grandezza diminuisce la seconda e viceversa; infatti, se ipotizziamo che un lavoratore abbia prodotto merci per un valore di 10 ore di lavoro e che egli venga retribuito per un valore pari a 6 ore di lavoro, è evidente che il capitalista si approprierà della differenza (4 ore) esistente tra il valore del salario percepito dall'operaio ed il valore di mercato dei beni.