Patto di stabilità e di crescita
Patto di stabilità e di crescita
Accordo con il quale sono stati stabiliti i vincoli e determinate le sanzioni da applicare a quegli Stati che nel corso della terza fase dell’unione economica e monetaria (v. UEM) si discosteranno dei criteri di convergenza (v.) stabilite dal Trattato di Maastricht.
Dal 1° gennaio 1999 le economie dei paesi ammessi alla terza fase condividono una politica monetaria unica e un tasso di cambio (v.) unico è quindi inevitabile che eventuali “errori” di finanza pubblica di uno Stato si riflettano sugli altri paesi aderenti all’euro (v.).
Proprio al fine di garantire che, dopo aver raggiunto i parametri indicati da Maastricht, i singoli Stati non pongano nuovamente in atto politiche che li portino ad allontanarsi dai criteri fissati, in particolare a non superare il tetto del deficit superiore al 3% del PIL, nel corso del vertice di Dublino del dicembre 1996 è stato approvato il cd. patto di stabilità.
Le disposizioni del patto sono confluite ufficialmente in due regolamenti adottati il 7 luglio 1997: si tratta del “Regolamento per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche” e del “Regolamento per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi”.
Tale accordo prevede sia misure preventive (mirate a mettere in allarme lo Stato che si sta allontanando dai criteri di convergenza) che dissuasive (tese cioè a sanzionare con multe lo Stato che ha superato i parametri fissati).
L’aspetto più importante del patto di stabilità è proprio il secondo. Secondo quanto stabilito a Dublino, infatti, gli Stati aderenti alla terza fase che supereranno la soglia del 3% nel rapporto debito pubblico/PIL si vedranno applicare delle sanzioni. La sanzione prenderà la forma di un deposito infruttifero da versare all’Unione europea, ed è costituita da due parti: una fissa, pari allo 0,2% del PIL in caso di sfondamento; l’altra variabile, pari allo 0,1% del PIL per ogni punto (o frazione di punto) di sfondamento del 3% (ad esempio: se il deficit è del 5,2%, il deposito da effettuare è dello 0,5% del PIL). Il deposito si trasforma in multa, e non sarà quindi più restituito, se nell’arco di due anni lo Stato non si riallinea.
Sono previste eccezioni di due tipi a questa regola generale, che operano in modo:
— automatico. Se lo Stato che ha deragliato nel rapporto deficit/PIL è in grave stato di recessione con una caduta del PIL reale superiore al 2%, non verrà applicata alcuna sanzione;
— discrezionale. Se la caduta del PIL reale è inferiore a tale soglia (tra lo 0,75 ed il 2%) il Consiglio dell’Unione può, a maggioranza, comunque sospendere le sanzioni quando lo Stato interessato dimostri il carattere eccezionale del suo deficit (ad esempio secca caduta della produzione o flessione improvvisa del ciclo economico).
Approfondimento: Il piano Waigel.
Accordo con il quale sono stati stabiliti i vincoli e determinate le sanzioni da applicare a quegli Stati che nel corso della terza fase dell’unione economica e monetaria (v. UEM) si discosteranno dei criteri di convergenza (v.) stabilite dal Trattato di Maastricht.
Dal 1° gennaio 1999 le economie dei paesi ammessi alla terza fase condividono una politica monetaria unica e un tasso di cambio (v.) unico è quindi inevitabile che eventuali “errori” di finanza pubblica di uno Stato si riflettano sugli altri paesi aderenti all’euro (v.).
Proprio al fine di garantire che, dopo aver raggiunto i parametri indicati da Maastricht, i singoli Stati non pongano nuovamente in atto politiche che li portino ad allontanarsi dai criteri fissati, in particolare a non superare il tetto del deficit superiore al 3% del PIL, nel corso del vertice di Dublino del dicembre 1996 è stato approvato il cd. patto di stabilità.
Le disposizioni del patto sono confluite ufficialmente in due regolamenti adottati il 7 luglio 1997: si tratta del “Regolamento per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche” e del “Regolamento per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi”.
Tale accordo prevede sia misure preventive (mirate a mettere in allarme lo Stato che si sta allontanando dai criteri di convergenza) che dissuasive (tese cioè a sanzionare con multe lo Stato che ha superato i parametri fissati).
L’aspetto più importante del patto di stabilità è proprio il secondo. Secondo quanto stabilito a Dublino, infatti, gli Stati aderenti alla terza fase che supereranno la soglia del 3% nel rapporto debito pubblico/PIL si vedranno applicare delle sanzioni. La sanzione prenderà la forma di un deposito infruttifero da versare all’Unione europea, ed è costituita da due parti: una fissa, pari allo 0,2% del PIL in caso di sfondamento; l’altra variabile, pari allo 0,1% del PIL per ogni punto (o frazione di punto) di sfondamento del 3% (ad esempio: se il deficit è del 5,2%, il deposito da effettuare è dello 0,5% del PIL). Il deposito si trasforma in multa, e non sarà quindi più restituito, se nell’arco di due anni lo Stato non si riallinea.
Sono previste eccezioni di due tipi a questa regola generale, che operano in modo:
— automatico. Se lo Stato che ha deragliato nel rapporto deficit/PIL è in grave stato di recessione con una caduta del PIL reale superiore al 2%, non verrà applicata alcuna sanzione;
— discrezionale. Se la caduta del PIL reale è inferiore a tale soglia (tra lo 0,75 ed il 2%) il Consiglio dell’Unione può, a maggioranza, comunque sospendere le sanzioni quando lo Stato interessato dimostri il carattere eccezionale del suo deficit (ad esempio secca caduta della produzione o flessione improvvisa del ciclo economico).
Approfondimento: Il piano Waigel.