Monetaristi

Monetaristi

Economisti di ispirazione liberista e fautori di una reinterpretazione della teoria quantitativa della moneta (v.). Affermatisi nel corso degli anni Sessanta a partire dalle tesi della cosiddetta scuola di Chicago (v.), i monetaristi hanno in M. Friedman (v.) il loro esponente più rappresentativo.
Le tesi fondamentali della scuola monetarista possono essere così individuate:
— l'inflazione (v.) è considerata un fenomeno esclusivamente monetario;
— l'offerta di moneta (v.) è considerata esogena mentre la domanda di moneta (v.) è sostanzialmente stabile;
— la politica monetaria può indurre variazioni nella domanda aggregata ma solo nel breve periodo; nel lungo termine il reddito rimarrà al livello compatibile con il tasso naturale di disoccupazione.
Secondo i monetaristi l'inflazione è un fenomeno da attribuire all'aumento della quantità di moneta in circolazione. Nell'ottica monetarista un aumento dell'offerta di moneta, però, non ha alcuna incidenza sulle grandezze reali dell'economia, ma provoca soltanto un aumento delle grandezze monetarie (essenzialmente salari e prezzi).
Un semplice rimedio a questo tipo di inflazione consiste nell'aumentare la quantità di moneta in circolazione ad un tasso equivalente a quello dell'aumento del reddito reale del sistema economico (v. K%); se si suppone che il ritmo di crescita del prodotto nazionale (v. PIL) sia del 3%, anche l'aumento dell'offerta di moneta dovrà essere del 3%.
I monetaristi affermano, inoltre, che ogni aumento dell'offerta di moneta deve essere comunicato agli operatori evitando, in tal modo, che questi ultimi formulino aspettative negative sul futuro dell'economia.
Il controllo dell'inflazione attraverso l'applicazione di questa regola semplice (aumento dell'offerta di moneta equivalente all'aumento del prodotto nazionale) presuppone che il sistema economico, lasciato a se stesso, possa raggiungere il suo equilibrio naturale. In tale ipotesi, le politiche keynesiane (aumento della pressione fiscale o aumento della spesa pubblica) possono avere effetti soltanto nel breve periodo, ma provocheranno un aumento dell'inflazione, senza alcun beneficio per il sistema economico, nel lungo periodo.
I monetaristi ritengono, inoltre, che la politica monetaria (v.) non sia in grado di controllare il tasso di interesse (v.), nel senso di mantenerlo durevolmente ad un livello prefissato, mediante la variazione dei mezzi monetari. L'artificioso mantenimento dei tassi di interesse nominali in linea con quello naturale sarebbe realizzabile soltanto mediante manovre espansive dei mezzi monetari sempre più intense; tuttavia, questo porterebbe a sviluppi crescenti di carattere inflazionistico. La politica monetaria non è altresì in grado di mantenere l'occupazione delle forze di lavoro ad un livello prefissato. Il tasso naturale di disoccupazione (v. NRU) è, infatti, quello compatibile con le forze reali del sistema economico e con l'accuratezza delle previsioni dei soggetti economici. La disoccupazione può essere mantenuta al di sotto o al di sopra di questo livello accelerando, rispettivamente, l'inflazione o la deflazione.
L'unico obiettivo raggiungibile con la politica monetaria è quello del controllo dell'inflazione attraverso il controllo del tasso di incremento annuo della quantità di moneta. Anziché ampliare o restringere la creazione di mezzi monetari, in relazione agli andamenti congiunturali e con l'intento di ottenere determinati effetti sulla domanda globale, le autorità monetarie dovrebbero dare un ritmo costante all'incremento annuo dei mezzi monetari per adeguarlo nel tempo alle esigenze connesse con la crescita del reddito nazionale.
Riguardo alla politica fiscale (v.), i monetaristi, partendo dal presupposto secondo cui la spesa pubblica (v.) dovrebbe aumentare allo stesso ritmo del gettito tributario, sono favorevoli a tagli fiscali come mezzo di riduzione della spesa pubblica, pur affermando che la manovra fiscale non ha alcuna incidenza sull'andamento del prodotto interno lordo.
Il pensiero monetarista ha largamente influenzato numerosi interventi di politica economica (v.). In particolare, il controllo dell'offerta di moneta è diventato uno degli strumenti più importanti di politica monetaria di vari Stati, tra cui gli USA che nel 1979 adottarono una nuova strategia volta a controllare la quantità di moneta in circolazione. Già nel periodo 1969-71 l'amministrazione statunitense si era posta l'obiettivo di ridurre, attraverso un rallentamento del tasso di crescita dell'offerta di moneta, il tasso d'inflazione riconducendolo al di sotto del 5%; le politiche monetariste trovarono poi una sistematica applicazione anche in Inghilterra durante il periodo dei diversi governi Thatcher, sempre con l'obiettivo di ridurre il tasso di inflazione.
Le ricette monetariste sono state accolte anche dal Fondo Monetario Internazionale (v. FMI) che ha spesso imposto a vari paesi, attraverso lo strumento degli accordi di stand-by (v.), un maggiore controllo della propria politica monetaria e fiscale, volto a ridurre l'indebitamento estero ed il tasso di inflazione (v.) interno.