Marginalismo
Marginalismo
Termine con cui viene generalmente indicata sia la scuola di pensiero affermatasi nella seconda metà del XIX secolo che il metodo di analisi estesamente utilizzato da vari esponenti di tale scuola (Menger, Jevons, Walras ecc.).
Il nucleo centrale dell'analisi marginalista è da individuare nel rifiuto dell'idea classica (v. Classici) secondo cui il valore (v.) di un bene coincide con il lavoro richiesto per la sua produzione.
Al contrario, generalizzando il concetto ricardiano di rendita differenziale (v.), i marginalisti individuano il valore di un bene nell'utilità marginale (v.) che il consumatore trae dal godimento dello stesso; alla concezione oggettiva del valore della scuola classica viene così a sostituirsi una concezione soggettiva che supera le profonde contraddizioni in cui erano caduti sia Smith (v.) che Ricardo (v.). La determinazione del valore sulla base dell'utilità costituisce il punto di maggior differenziazione dei marginalisti rispetto a quello dei neoclassici (v.) propriamente detti. Questi ultimi, infatti, sulla scorta delle teorie di Marshall (v.) ritengono che il valore di un bene sia determinato congiuntamente dall'utilità e dal costo di produzione.
Poiché il valore di un bene è il risultato di decisioni soggettive del consumatore, è facile desumere che i rapporti di scambio tra i beni saranno, in ultima analisi, determinati dalla preferenza del consumatore e dalla maggiore o minore quantità disponibile di tali beni.
I soggetti economici opereranno scelte razionali attraverso il confronto tra il beneficio che il godimento di un bene può dare ed il costo marginale (v.) sostenuto per ottenere tale bene: solo se il beneficio ottenuto dalla dose marginale (cioè dall'ultima dose consumata) eguaglia il sacrificio aggiuntivo sostenuto si avrà una scelta ottima.
Il metodo marginalista presenta tuttavia un limite, dato dal fatto che l'uguaglianza tra certe grandezze marginali è condizione necessaria e sufficiente per una scelta ottima solo in casi limitati, non sempre riscontrabili nella reale contrattazione di mercato. Fu proprio la consapevolezza dell'esistenza di tale limite ad indurre, negli anni '50, autori come Arrow (v.) e Debreu (v.) ad abbandonare il metodo marginalista in favore di metodi capaci di definire le scelte ottime dei soggetti economici e le configurazioni ottimali della produzione e del consumo in situazioni molto più generali rispetto a quelle che potevano essere trattate con il metodo marginalista.
Termine con cui viene generalmente indicata sia la scuola di pensiero affermatasi nella seconda metà del XIX secolo che il metodo di analisi estesamente utilizzato da vari esponenti di tale scuola (Menger, Jevons, Walras ecc.).
Il nucleo centrale dell'analisi marginalista è da individuare nel rifiuto dell'idea classica (v. Classici) secondo cui il valore (v.) di un bene coincide con il lavoro richiesto per la sua produzione.
Al contrario, generalizzando il concetto ricardiano di rendita differenziale (v.), i marginalisti individuano il valore di un bene nell'utilità marginale (v.) che il consumatore trae dal godimento dello stesso; alla concezione oggettiva del valore della scuola classica viene così a sostituirsi una concezione soggettiva che supera le profonde contraddizioni in cui erano caduti sia Smith (v.) che Ricardo (v.). La determinazione del valore sulla base dell'utilità costituisce il punto di maggior differenziazione dei marginalisti rispetto a quello dei neoclassici (v.) propriamente detti. Questi ultimi, infatti, sulla scorta delle teorie di Marshall (v.) ritengono che il valore di un bene sia determinato congiuntamente dall'utilità e dal costo di produzione.
Poiché il valore di un bene è il risultato di decisioni soggettive del consumatore, è facile desumere che i rapporti di scambio tra i beni saranno, in ultima analisi, determinati dalla preferenza del consumatore e dalla maggiore o minore quantità disponibile di tali beni.
I soggetti economici opereranno scelte razionali attraverso il confronto tra il beneficio che il godimento di un bene può dare ed il costo marginale (v.) sostenuto per ottenere tale bene: solo se il beneficio ottenuto dalla dose marginale (cioè dall'ultima dose consumata) eguaglia il sacrificio aggiuntivo sostenuto si avrà una scelta ottima.
Il metodo marginalista presenta tuttavia un limite, dato dal fatto che l'uguaglianza tra certe grandezze marginali è condizione necessaria e sufficiente per una scelta ottima solo in casi limitati, non sempre riscontrabili nella reale contrattazione di mercato. Fu proprio la consapevolezza dell'esistenza di tale limite ad indurre, negli anni '50, autori come Arrow (v.) e Debreu (v.) ad abbandonare il metodo marginalista in favore di metodi capaci di definire le scelte ottime dei soggetti economici e le configurazioni ottimali della produzione e del consumo in situazioni molto più generali rispetto a quelle che potevano essere trattate con il metodo marginalista.