Internalizzazione delle esternalità
Internalizzazione delle esternalità
Procedimento attraverso il quale è possibile correggere l'inefficienza allocativa derivante dall'esistenza di esternalità (v.).
L'esigenza del ricorso a tale procedimento nasce soprattutto nel caso di diseconomie esterne il cui esempio tipico è rappresentato dall'inquinamento ambientale prodotto da talune attività industriali. In questo campo, già Pigou (v.), rifacendosi all'analisi marshalliana, aveva rilevato come fossero possibili divergenze fra costo privato e costo sociale: l'aumento del prodotto nazionale apportato da una produzione inquinante non considera, infatti, il danno arrecato alla collettività, e dunque all'intero sistema economico sociale. In tal caso, il beneficio privato è maggiore di quello sociale, ed i costi privati risultano inferiori a quelli sopportati dalla collettività. Il problema, teoricamente, è di facile soluzione: basta aumentare il costo marginale privato, così che questo comprenda anche l'esternalità ed induca gli operatori economici ad adeguare il proprio comportamento a tale nuova curva.
Tale soluzione teorica ha trovato sul piano operativo applicazioni diverse. Un primo rimedio, già indicato da Pigou, è quello di imporre un'imposta specifica (v.) sul prodotto inquinante: si costringono così le imprese a produrre una quantità di prodotto efficiente (ovvero compatibile con le esigenze della collettività) e, nello stesso tempo, si ottiene un gettito di imposta che potrebbe essere utilizzato per ulteriori azioni a tutela dell'ambiente. Il problema, però, consiste nell'esatta quantificazione dell'esternalità e quindi dell'imposta. Quest'ultima, nel caso fossero disponibili tecnologie di produzione alternative a quelle inquinanti, potrebbe assumere la forma del sussidio così da incentivarne l'utilizzo.
Altro strumento cui si fa ricorso, introdotto nel corso degli anni Ottanta negli Stati Uniti, è il cosiddetto diritto ad inquinare: esso consiste nel calcolo, effettuato dall'operatore pubblico, della diseconomia ottimale. Tramite vendita all'asta, quindi, si assegna il diritto ad inquinare fino al limite indicato. Rispetto alla soluzione dell'imposta specifica, cui per molti versi assomiglia, questo metodo presenta il vantaggio di un effetto più affidabile sul livello della diseconomia, poiché questa viene predeterminata.
La soluzione più adottata nella pratica, però, è quella del controllo giuridico, attraverso cioè la regolamentazione delle attività nocive. In genere, però, essa è anche la più inefficace poiché richiede un apparato amministrativo estremamente attento ed efficiente e perché non permette di discriminare fra soggetti operanti in contesti diversi.
Procedimento attraverso il quale è possibile correggere l'inefficienza allocativa derivante dall'esistenza di esternalità (v.).
L'esigenza del ricorso a tale procedimento nasce soprattutto nel caso di diseconomie esterne il cui esempio tipico è rappresentato dall'inquinamento ambientale prodotto da talune attività industriali. In questo campo, già Pigou (v.), rifacendosi all'analisi marshalliana, aveva rilevato come fossero possibili divergenze fra costo privato e costo sociale: l'aumento del prodotto nazionale apportato da una produzione inquinante non considera, infatti, il danno arrecato alla collettività, e dunque all'intero sistema economico sociale. In tal caso, il beneficio privato è maggiore di quello sociale, ed i costi privati risultano inferiori a quelli sopportati dalla collettività. Il problema, teoricamente, è di facile soluzione: basta aumentare il costo marginale privato, così che questo comprenda anche l'esternalità ed induca gli operatori economici ad adeguare il proprio comportamento a tale nuova curva.
Tale soluzione teorica ha trovato sul piano operativo applicazioni diverse. Un primo rimedio, già indicato da Pigou, è quello di imporre un'imposta specifica (v.) sul prodotto inquinante: si costringono così le imprese a produrre una quantità di prodotto efficiente (ovvero compatibile con le esigenze della collettività) e, nello stesso tempo, si ottiene un gettito di imposta che potrebbe essere utilizzato per ulteriori azioni a tutela dell'ambiente. Il problema, però, consiste nell'esatta quantificazione dell'esternalità e quindi dell'imposta. Quest'ultima, nel caso fossero disponibili tecnologie di produzione alternative a quelle inquinanti, potrebbe assumere la forma del sussidio così da incentivarne l'utilizzo.
Altro strumento cui si fa ricorso, introdotto nel corso degli anni Ottanta negli Stati Uniti, è il cosiddetto diritto ad inquinare: esso consiste nel calcolo, effettuato dall'operatore pubblico, della diseconomia ottimale. Tramite vendita all'asta, quindi, si assegna il diritto ad inquinare fino al limite indicato. Rispetto alla soluzione dell'imposta specifica, cui per molti versi assomiglia, questo metodo presenta il vantaggio di un effetto più affidabile sul livello della diseconomia, poiché questa viene predeterminata.
La soluzione più adottata nella pratica, però, è quella del controllo giuridico, attraverso cioè la regolamentazione delle attività nocive. In genere, però, essa è anche la più inefficace poiché richiede un apparato amministrativo estremamente attento ed efficiente e perché non permette di discriminare fra soggetti operanti in contesti diversi.