Economia socialista

Economia socialista

Sistema economico basato essenzialmente sull'abolizione della proprietà privata e della libera concorrenza, sostituita dalla proprietà statale o collettiva dei mezzi di produzione e dalla pianificazione economica (v.).
Il principale riferimento teorico dell'economia socialista è costituito dai principi politici ed economici elaborati da Karl Marx (v.) basati sulla affermazione che l'economia capitalistica è fondata sullo sfruttamento della classe lavoratrice da parte dei proprietari dei mezzi di produzione.
La prima e più importante realizzazione concreta dei principi marxiani si verificò con la rivoluzione sovietica del 1917, in cui il partito bolscevico, guidato da Lenin, conquistò il potere in Russia, per costruire uno Stato socialista.
Le prime fasi della rivoluzione furono contrassegnate da una forte confusione economica e sociale, ma già dal 1918 Lenin impose al Paese il comunismo di guerra, una politica economica e sociale fondata sulle requisizioni e sulle imposizioni, allo scopo di superare il caos rivoluzionario. Nel 1921 Lenin inaugurò, quindi, la Nuova Politica Economica (v. NEP) in cui le nazionalizzazioni e le requisizioni lasciavano il posto ad una parziale liberalizzazione economica. La NEP ebbe termine definitivamente tra il 1927 e il 1928 quando, morto Lenin, il suo successore, Stalin, impose una svolta politica ed economica allo Stato sovietico. Con il governo stalinista fu attuata la collettivizzazione coercitiva delle campagne, mentre tutte le energie del paese venivano concentrate nel processo di industrializzazione.
L'industrializzazione a tappe forzate dell'Unione sovietica fu realizzata attraverso una rigorosa pianificazione economica che, in seguito, divenne il carattere dominante dell'economia socialista in URSS come in altri Stati socialisti.
Dopo la seconda Guerra Mondiale, la Russia impose ai Paesi satelliti dell'Europa Orientale l'adozione del suo sistema politico ed economico. Attraverso la creazione del Comecon (v.), nel 1949, il modello sovietico fu esportato in Germania Est, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, e Cecoslovacchia. Ma, come accadeva in URSS, anche in questi Paesi l'economia socialista rivelò che lo stretto dirigismo si traduceva in un'eccessiva burocratizzazione e che i costi sociali del sistema erano comunque altissimi.
Una strada completamente diversa fu seguita dalla Jugoslavia, paese in cui il comunismo non era stato imposto dall'esterno ma si era affermato durante la Resistenza, ad opera del maresciallo Tito. Uscita nel 1948 dal blocco sovietico, a causa dei forti contrasti con Stalin, la Jugoslavia costruì un sistema economico basato sull'autogestione (v.) delle imprese da parte dei consigli di fabbrica, in un regime di libera concorrenza. Il modello jugoslavo, dunque, fu per molti anni una alternativa al modello sovietico, per tutti i paesi attratti dal sistema socialista.
Nell'epoca delle decolonizzazione, molti Stati che ottennero l'indipendenza adottarono le strutture socialiste, facendo riferimento al modello sovietico o a quello jugoslavo. Anche la Cina (in cui, fin dal 1949, Mao aveva imposto il comunismo) si pose, negli anni '60, come modello alternativo rispetto a quello sovietico, realizzando un sistema economico in cui, contrariamente a quanto era accaduto in URSS e negli Stati satelliti, il settore agricolo aveva la preminenza rispetto al settore industriale.
A seguito del crollo dei regimi comunisti in Unione Sovietica e nell'Europa orientale, gli unici paesi in cui sia ancora attuata una pianificazione socialista dell'economia sono la Cina e Cuba. Soprattutto nel primo, però, sono sempre più evidenti le aperture alla libera imprenditoria ed al sistema di mercato.