Disoccupazione
Disoccupazione
Situazione in cui si trovano le persone che, pur essendo disposte a lavorare, non hanno occupazione.
Nelle rilevazioni sulle forze di lavoro (v.) condotte tradizionalmente dall'ISTAT (v.), si considerano disoccupate le persone in cerca di lavoro ma precedentemente occupate (disoccupati in senso stretto), le persone in cerca di prima occupazione e quelle in condizione non professionale che dichiarano di cercare lavoro.
La disoccupazione e le cause che la originano costituiscono, probabilmente, il punto centrale della controversia fra neoclassici (v.) e keynesiani (v.).
Per la teoria neoclassica, che si fonda sull'ipotesi di un mercato di concorrenza perfetta e quindi sul perfetto funzionamento del meccanismo di aggiustamento dei prezzi, anche il mercato del lavoro se lasciato libero di agire (e cioè se i salari sono perfettamente flessibili) troverà il suo equilibrio. In particolare in corrispondenza del saggio di salario d'equilibrio, le imprese occuperanno esattamente il numero di persone che desidera lavorare per quel dato salario; eventuali lavoratori rimasti fuori dal mercato potrebbero però essere disposti ad offrire il loro lavoro ad un salario più basso rispetto a quello di equilibrio; salari più bassi incentivano le imprese ad aumentare la loro domanda di lavoro e pertanto la disoccupazione diminuisce.
Poiché in teoria questo meccanismo può proseguire fino a quando esiste un eccesso di offerta di lavoro, la disoccupazione può raggiungere un livello pari a zero: se ciò non accade, significa che vi sono dei lavoratori che non sono disposti a lavorare perché ritengono che il salario sia troppo basso. L'eventuale disoccupazione non può che essere, allora, di tipo volontario (v. Disoccupazione volontaria).
La teoria keynesiana assume al contrario che i salari non siano perfettamente flessibili, con la conseguenza che il meccanismo di aggiustamento dei prezzi che garantisce l'equilibrio non può funzionare: poiché i salari non possono scendere al di sotto di un determinato livello, inevitabilmente si creano squilibri sul mercato del lavoro, nel senso che vi sono lavoratori disposti a lavorare ma, data l'insufficiente domanda effettiva, le imprese non sono disposte ad occuparli.
Le imprese, d'altra parte non basano la loro domanda di lavoro sul livello del salario, quanto piuttosto sulle loro previsione di vendita: se queste previsioni sono ottimistiche, perché si ipotizza una crescita della domanda effettiva, allora le imprese domandano lavoro e la disoccupazione si riduce, mentre aumenta se le previsione future sull'andamento della domanda sono pessimistiche. Ecco perché nell'analisi keynesiana la disoccupazione è di tipo involontario (v. Disoccupazione involontaria).
La nuova microeconomia cerca di dare una spiegazione del fenomeno basandosi sulla disoccupazione di ricerca (v. Job search theory), intesa come conseguenza di un comportamento razionale dei lavoratori e assimilata a un investimento in informazione. Più precisamente, la ricerca di lavoro sarebbe una sorta di auto-impiego volto a raccogliere informazioni sulle opportunità offerte dal mercato in termini di occupazione e, naturalmente, di salario. Il tempo necessario a far sì che domanda e offerta di lavoro si incontrino, infatti, determina la c.d. disoccupazione parziale. I soggetti impegnati nella attività di ricerca, per i teorici della nuova microeconomia, vanno, in tal modo, esclusi dal novero dei disoccupati che, per converso, comprende quanti, attribuendo al tempo libero un'utilità marginale (v.) superiore a quella del salario reale, vivono una disoccupazione volontaria (v.).
Queste postulazioni sono in netto contrasto con quelle di A.W. Phillips (v. Curva di Phillips) circa i nessi esistenti tra salari, saggio di disoccupazione e fasi congiunturali.
Situazione in cui si trovano le persone che, pur essendo disposte a lavorare, non hanno occupazione.
Nelle rilevazioni sulle forze di lavoro (v.) condotte tradizionalmente dall'ISTAT (v.), si considerano disoccupate le persone in cerca di lavoro ma precedentemente occupate (disoccupati in senso stretto), le persone in cerca di prima occupazione e quelle in condizione non professionale che dichiarano di cercare lavoro.
La disoccupazione e le cause che la originano costituiscono, probabilmente, il punto centrale della controversia fra neoclassici (v.) e keynesiani (v.).
Per la teoria neoclassica, che si fonda sull'ipotesi di un mercato di concorrenza perfetta e quindi sul perfetto funzionamento del meccanismo di aggiustamento dei prezzi, anche il mercato del lavoro se lasciato libero di agire (e cioè se i salari sono perfettamente flessibili) troverà il suo equilibrio. In particolare in corrispondenza del saggio di salario d'equilibrio, le imprese occuperanno esattamente il numero di persone che desidera lavorare per quel dato salario; eventuali lavoratori rimasti fuori dal mercato potrebbero però essere disposti ad offrire il loro lavoro ad un salario più basso rispetto a quello di equilibrio; salari più bassi incentivano le imprese ad aumentare la loro domanda di lavoro e pertanto la disoccupazione diminuisce.
Poiché in teoria questo meccanismo può proseguire fino a quando esiste un eccesso di offerta di lavoro, la disoccupazione può raggiungere un livello pari a zero: se ciò non accade, significa che vi sono dei lavoratori che non sono disposti a lavorare perché ritengono che il salario sia troppo basso. L'eventuale disoccupazione non può che essere, allora, di tipo volontario (v. Disoccupazione volontaria).
La teoria keynesiana assume al contrario che i salari non siano perfettamente flessibili, con la conseguenza che il meccanismo di aggiustamento dei prezzi che garantisce l'equilibrio non può funzionare: poiché i salari non possono scendere al di sotto di un determinato livello, inevitabilmente si creano squilibri sul mercato del lavoro, nel senso che vi sono lavoratori disposti a lavorare ma, data l'insufficiente domanda effettiva, le imprese non sono disposte ad occuparli.
Le imprese, d'altra parte non basano la loro domanda di lavoro sul livello del salario, quanto piuttosto sulle loro previsione di vendita: se queste previsioni sono ottimistiche, perché si ipotizza una crescita della domanda effettiva, allora le imprese domandano lavoro e la disoccupazione si riduce, mentre aumenta se le previsione future sull'andamento della domanda sono pessimistiche. Ecco perché nell'analisi keynesiana la disoccupazione è di tipo involontario (v. Disoccupazione involontaria).
La nuova microeconomia cerca di dare una spiegazione del fenomeno basandosi sulla disoccupazione di ricerca (v. Job search theory), intesa come conseguenza di un comportamento razionale dei lavoratori e assimilata a un investimento in informazione. Più precisamente, la ricerca di lavoro sarebbe una sorta di auto-impiego volto a raccogliere informazioni sulle opportunità offerte dal mercato in termini di occupazione e, naturalmente, di salario. Il tempo necessario a far sì che domanda e offerta di lavoro si incontrino, infatti, determina la c.d. disoccupazione parziale. I soggetti impegnati nella attività di ricerca, per i teorici della nuova microeconomia, vanno, in tal modo, esclusi dal novero dei disoccupati che, per converso, comprende quanti, attribuendo al tempo libero un'utilità marginale (v.) superiore a quella del salario reale, vivono una disoccupazione volontaria (v.).
Queste postulazioni sono in netto contrasto con quelle di A.W. Phillips (v. Curva di Phillips) circa i nessi esistenti tra salari, saggio di disoccupazione e fasi congiunturali.