Deficit spending

Deficit spending

Manovra economica con la quale un paese decide di finanziare la spesa pubblica (v.) in disavanzo.
Il finanziamento in deficit può avvenire in due modi:
— con la creazione di base monetaria;
— con l'emissione di titoli di Stato (v.).
Il ricorso all'uno o all'altro strumento trova numerose giustificazioni di carattere pratico e teorico.
La creazione di base monetaria presenta indubbi vantaggi:
— un costo praticamente nullo; i semplici costi di stampa della carta (quando vigeva l'obbligo della Banca d'Italia (v.) di finanziare lo scoperto del Tesoro sul conto corrente di Tesoreria obbligo che dal 1981 non sussiste più, il costo era comunque molto modesto poiché il tasso di interesse era pari all'1%;
— un effetto espansivo massimo sul reddito, dovuto al fatto che oltre all'operare del moltiplicatore (v.) occorre considerare l'aumento degli investimenti dovuto al ribasso del tasso d'interesse, infatti, un aumento della base monetaria comporta una riduzione del saggio di interesse.
Nel lungo periodo, però, il finanziamento con base monetaria provoca inflazione.
Per ciò che concerne, invece, l'emissione di titoli di Stato per finanziare la spesa pubblica, essa è stata da sempre oggetto di animate discussioni tra i fautori del debito e i sostenitori delle imposte.
Già Ricardo (v.) aveva affrontato il problema della scelta fra debito e imposta finendo con il concludere che il ricorso ad essi era sostanzialmente equivalente per il sistema economico (v. Equivalenza ricardiana): se la spesa pubblica è finanziata con l'emissione di titoli, ogni anno sarà necessario pagare imposte aggiuntive per la copertura degli interessi. Per un cittadino razionale, dunque, non dovrebbe esservi alcuna differenza fra le due forme di finanziamento della spesa. Lo stesso Ricardo, però, finiva col dubitare che gli operatori fossero tanto razionali da cogliere correttamente la sostanza del problema e suggeriva, da un punto di vista più politico che economico, di ricorrere comunque al pareggio del bilancio.
Per Keynes (v.), invece, il finanziamento della spesa pubblica con il debito accresce il livello di attività e perciò il reddito nazionale.
I monetaristi (v.) ribattono, dal canto loro, che il debito pubblico ha effetti distorsivi (v. Crowding out), in quanto dirotta risorse dal settore privato a quello pubblico.
Nel caso di finanziamento della spesa pubblica mediante ricorso al debito pubblico, infatti, lo Stato dovrà offrire tassi d'interesse competitivi per poter collocare i propri titoli presso gli operatori privati. Ciò comporterà un aumento generalizzato della struttura dei tassi d'interesse e, di conseguenza, una riduzione negli investimenti privati. Inoltre, gli elevati tassi interni attrarranno capitali esteri, rivalutando il cambio e riducendo le esportazioni. Il tutto si tradurrà in una contrazione della domanda aggregata (v.) e, dunque, del reddito.
Il sistematico ricorso al deficit spending, poi, può comportare, nel lungo periodo, problemi di sostenibilità del debito pubblico (v.).
La possibilità di un effetto di spiazzamento è riconosciuta anche dai keynesiani (v.). Essi sostengono, però, che gli investimenti sono poco sensibili alle variazioni del saggio d'interesse, cosicché il crowding out ha una portata relativamente limitata.