Debito estero

Debito estero

Complesso dei debiti contratti da una nazione in un determinato periodo di tempo verso l'estero.
La sua formazione è dovuta al maggiore consumo, nel paese considerato, di beni e servizi stranieri rispetto ai consumi esteri di beni e servizi nazionali. La sua entità dipende in larga misura, oltre che dal tasso d'interesse, anche dai movimenti del cambio. Così, se la moneta interna si apprezza l'entità del debito diminuisce, in quanto a parità di quantità di moneta il suo potere di acquisto cresce. Il contrario accade se la moneta interna si deprezza.
Per lungo tempo il debito pubblico italiano è stato prevalentemente collocato all'estero: l'insufficienza del mercato nazionale, infatti, rendeva consigliabile appoggiarsi ad istituzioni altamente specializzate, francesi o inglesi. Poiché, però, anche investitori nazionali acquistavano questi titoli emessi sulle piazze di Parigi o di Londra, non è possibile calcolare con precisione quanta parte del debito del Regno d'Italia fosse posseduta da soggetti residenti all'estero.
Problemi analoghi si pongono per la stima della percentuale attuale di debito estero: a partire della metà degli anni Ottanta, infatti, il Tesoro ha dimostrato una maggiore attenzione verso il mercato estero aumentando il numero delle emissioni in valuta. Soprattutto, è aumentato il differenziale dei rendimenti fra tassi interni e tassi esteri: di conseguenza, un numero sempre maggiore di investitori esteri, in particolare i c.d. investitori istituzionali (v.), hanno sottoscritto titoli del debito pubblico italiano sul mercato domestico. La liberalizzazione dei movimenti di capitale ha, ovviamente, contribuito a rendere meno netta la distinzione fra mercato domestico ed estero così che, nel 1995, circa un terzo delle emissioni di titoli di Stato italiani è stato acquistato o venduto da non residenti.
A prescindere dalla specificità del caso italiano, una politica di indebitamento con l'estero deve necessariamente tener conto dei vantaggi e degli svantaggi che ne possono derivare:
— l'afflusso di capitali dall'estero può sicuramente compensare eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti (v.) corrente;
— l'afflusso di capitali, però, comporta necessariamente un apprezzamento del cambio: è quanto si è verificato in Italia alla fine degli anni Ottanta, quando il differenziale fra i nostri tassi di interessi e quelli esteri ha attratto gli investitori stranieri; l'apprezzamento del cambio della lira ha finito con l'incidere sulla compettività delle esportazioni italiane;
— i capitali esteri presentano una mobilità molto più accentuata rispetto ai capitali interni; in situazioni di crisi finanziaria, quando più necessario sarebbe per lo Stato reperire capitali, gli investitori stranieri sono i primi a disinvestire: se la percentuale del debito estero sul totale è molto elevata, alla crisi di liquidità si accompagna necessariamente una crisi valutaria.
Problemi connessi ad un eccesso di indebitamento (debt overhang) hanno caratterizzato la situazione finanziaria di molti PVS (v.) nel corso degli anni Ottanta (v. Piano Baker; Piano Brady).