Crescita economica
Crescita economica
Dinamica evolutiva di lungo periodo (v.) dell'economia dei paesi più avanzati. Nell'accezione comune, il termine è riferito alle sole variabili economiche, ad es. PIL (v.), reddito pro capite (v.) ecc., diversamente dalla locuzione sviluppo (v.), cui, invece, si attribuisce un significato più ampio poiché sottintende un progresso sociale, oltreché economico, e che è in genere usata in riferimento ai paesi economicamente arretrati (v. PVS).
Oggetto di studio degli economisti classici (v.) e di Marx (v.), la teoria della crescita economica ha riacceso nuovi interessi negli anni più vicini a noi. Le analisi degli studiosi possono essere distinte per filoni.
Teoria classica. Secondo gli economisti classici, segnatamente Ricardo (v.), l'aumento di ricchezza generato dall'economia di un paese in un determinato periodo di tempo è funzione diretta del reimpiego dei profitti (v.): quindi, della loro ampiezza e dei fattori capaci di influenzarla. Ne deriva che lo studio della crescita economica non può prescindere dalla definizione delle leggi che governano la distribuzione del reddito (salari, rendite, profitti) tra le classi che partecipano al processo produttivo. I lavoratori percepiscono un reddito (v. Salario) appena sufficiente a garantire il livello di sussistenza e, con esso, il perpetuarsi, nel tempo della forza lavoro, secondo quella che F. Lassalle definirà legge bronzea dei salari (v.).
I proprietari terrieri godono della rendita (v.). I capitalisti, invece, beneficiano di profitti, configurabili come sovrappiù (v.), che vengono, in buona parte, reinvestiti nella produzione.
Questo reimpiego determina, come già segnalato, un'espansione che, tuttavia, ha un limite esterno: tende ad arrestarsi quando la crescente ricchezza provoca un aumento della popolazione che, a sua volta, determina una pressione dei mezzi di sussistenza.
A quel punto, infatti, si impone il massimo sfruttamento delle terre già utilizzate e la messa a coltura di nuove, ancorché meno fertili.
Nondimeno, la produttività decrescente del suolo genera l'impoverimento di chi lo lavora (caduta dei salari), e l'arricchimento di chi possiede le terre migliori o incolte, in misura direttamente proporzionali alla pressione demografica sulla disponibilità globale di terra.
Effetti immediati dell'aumento della rendita (viste le modalità che la cagionano) sono la contrazione della domanda e l'aumento dei prezzi dei beni legati al fattore terra (risorse naturali in genere); in altre parole: abbassamento del saggio di profitto, quindi, degli investimenti.
Teoria marxiana. L'approccio di Marx, che, a differenza degi economisti classici, considera l'economia capitalistica quale causa dei suoi stessi limiti, si fonda sull'instabilità del processo di accumulazione e sulle ragioni che la producono.
Queste possono essere sintetizzate come segue:
— individualismo, legato alle diverse attese di profitto, che caratterizza le decisioni degli imprenditori e che determina un'allocazione delle risorse, tra produzione di beni strumentali e di consumo, non idonea a far crescere l'economia in modo regolare e continuo nel tempo;
— subordinazione del processo di accumulazione al fattore che lo alimenta: vale a dire al plusvalore (v.) e alla sua incerta realizzazione (vendita dei beni prodotti);
— progresso tecnologico, che, se da un lato, con l'introduzione di nuovi macchinari provoca una riduzione dei costi, inducendo gli imprenditori a privilegiare il capitale costante (impianti e macchinari), suscita, per converso, una caduta tendenziale del saggio di profitto e, in estrema analisi, degli investimenti.
Il modello Harrod-Domar. Precursori delle moderne teorie sulla crescita economica, gli economisti R. Harrod (v.) e E. Domar (v.) partendo da considerazioni diverse pervengono agli stessi risultati.
Le loro proposizioni, infatti, seppur elaborate autonomamente, vengono accomunate in un unico modello (v. Modello di sviluppo di sviluppo di Harrod).
Harrod dinamizza la teoria keynesiana (v. Keynes) del reddito nazionale (v.); Domar, invece, focalizza la sua attenzione sulle condizioni che favoriscono la crescita quando l'economia è in condizioni di piena occupazione (v.) e di massimo utilizzo della capacità produttiva. Per ambedue il tasso di crescita è determinato dalla propensione al risparmio (v.), considerata costante.
Teoria neoclassica. Il modello di crescita neoclassico (v. Neoclassici) è riferito alla sostituibilità dei fattori (capitale e lavoro) che compongono la funzione di produzione (v.). Vi è, quindi, una implicita critica al modello di Harrod-Domar che a quella funzione attribuirebbe, eccessiva rigidità.
Secondo tale scuola di pensiero, oltre certe condizioni, è possibile fissare un mix capitale-lavoro idoneo a garantire un tasso di crescita pari a quello indotto dall'aumento dell'offerta di lavoro. A differenza di quanto postulato dal modello Harrod-Domar, che lo assume come costante, il saggio garantito di crescita è funzione del grado di sostituibilità tra capitale e lavoro. In particolare, si presuppone una sostituibilità dal lato della produzione.
Il modello neokeynesiano. Critiche al modello Harrod-Domar vengono anche dal versante neokeynesiano e concernono la scarsa influenza attribuita alla distribuzione del reddito. Più precisamente, i neokeynesiani (v.), soffermando la loro attenzione sulla propensione al risparmio, asseriscono che essa è correlata alla suddivisione del reddito tra salari e profitti e alle caratteristiche della spesa di capitalisti e lavoratori. Ne consegue che, data per scontata una propensione al consumo (v.) decrescente e, dunque, una propensione al risparmio dei lavoratori minore di quella dei capitalisti, il saggio di crescita è funzione dell'incidenza salariale sul reddito nazionale.
Teoria della crescita endogena. I contributi più importanti alla teoria della crescita economica da parte dalla dottrina contemporanea riguardano i c.d. cambiamenti strutturali; più precisamente, le influenze del progresso tecnico sui meccanismi di accumulazione. Correlando le innovazioni tecnologiche a due variabili primarie come l'attività di ricerca e l'investimento in capitale umano (v.), le teorie sul progresso tecnico muovono dalla critica alle argomentazioni dell'economista statunitense R. Solow (v.). Questi, assunta l'innovazione tecnologica come variabile esogena (v.), la inserisce nalla funzione di produzione e la considera come l'unico elemento capace di mitigare il rendimento decrescente dei fattori produttivi.
La nuova corrente di pensiero che fa capo ad Arrow (v.), invece, introduce il concetto di crescita endogena. Partendo dalla nozione learning by doing (v.) Arrow sottolinea come un atto produttivo, se ripetuto, generi economie di scala (v.) e determini una crescita nella produttività del lavoro che diventa funzione del capitale disponibile e, quindi, indipendente da cause esterne.
Per l'economista Romer, invece, la quantità di lavoro più che funzione dello stock di capitale è un aggregato di conoscenze a disposizione degli operatori economici. Il fattore in oggetto è assimilabile ad un bene pubblico fruibile, una volta sul mercato, da tutti; l'innovazione tecnologica un patrimonio a disposizione dell'economia (v. Esternalità).
Nondimeno, laddove esistono forme di tutela (ad es. brevetti) che impediscano un utilizzo generalizzato dei risultati dell'attività di ricerca, possono configurarsi ipotesi monopolistiche attenuabili solo in presenza di meccanismi imitativi.
Secondo le teorizzazioni di Lucas (v.) che analizza, invece, il filone relativo al capitale umano, l'accumulazione di questo fattore dipende dalla gestione del tempo ascrivibile al singolo soggetto: vale a dire, alla suddivisione tra lavoro, tempo libero e apprendimento di nuove tecniche operative. Le conclusioni cui giunge lo studioso dimostrano che l'aumento di produttività è direttamente proporzionale al grado di preparazione raggiunto sia a livello di singola azienda che dell'economia nel suo complesso. Proprio quest'effetto esterno, alla stregua di quanto postulato da Romer, genera economie di scala e influenza la crescita. In particolare, il tasso di crescita sarà tanto più alto quanto maggiore è il capitale umano a disposizione e migliore il grado di preparazione di questo.
Dinamica evolutiva di lungo periodo (v.) dell'economia dei paesi più avanzati. Nell'accezione comune, il termine è riferito alle sole variabili economiche, ad es. PIL (v.), reddito pro capite (v.) ecc., diversamente dalla locuzione sviluppo (v.), cui, invece, si attribuisce un significato più ampio poiché sottintende un progresso sociale, oltreché economico, e che è in genere usata in riferimento ai paesi economicamente arretrati (v. PVS).
Oggetto di studio degli economisti classici (v.) e di Marx (v.), la teoria della crescita economica ha riacceso nuovi interessi negli anni più vicini a noi. Le analisi degli studiosi possono essere distinte per filoni.
Teoria classica. Secondo gli economisti classici, segnatamente Ricardo (v.), l'aumento di ricchezza generato dall'economia di un paese in un determinato periodo di tempo è funzione diretta del reimpiego dei profitti (v.): quindi, della loro ampiezza e dei fattori capaci di influenzarla. Ne deriva che lo studio della crescita economica non può prescindere dalla definizione delle leggi che governano la distribuzione del reddito (salari, rendite, profitti) tra le classi che partecipano al processo produttivo. I lavoratori percepiscono un reddito (v. Salario) appena sufficiente a garantire il livello di sussistenza e, con esso, il perpetuarsi, nel tempo della forza lavoro, secondo quella che F. Lassalle definirà legge bronzea dei salari (v.).
I proprietari terrieri godono della rendita (v.). I capitalisti, invece, beneficiano di profitti, configurabili come sovrappiù (v.), che vengono, in buona parte, reinvestiti nella produzione.
Questo reimpiego determina, come già segnalato, un'espansione che, tuttavia, ha un limite esterno: tende ad arrestarsi quando la crescente ricchezza provoca un aumento della popolazione che, a sua volta, determina una pressione dei mezzi di sussistenza.
A quel punto, infatti, si impone il massimo sfruttamento delle terre già utilizzate e la messa a coltura di nuove, ancorché meno fertili.
Nondimeno, la produttività decrescente del suolo genera l'impoverimento di chi lo lavora (caduta dei salari), e l'arricchimento di chi possiede le terre migliori o incolte, in misura direttamente proporzionali alla pressione demografica sulla disponibilità globale di terra.
Effetti immediati dell'aumento della rendita (viste le modalità che la cagionano) sono la contrazione della domanda e l'aumento dei prezzi dei beni legati al fattore terra (risorse naturali in genere); in altre parole: abbassamento del saggio di profitto, quindi, degli investimenti.
Teoria marxiana. L'approccio di Marx, che, a differenza degi economisti classici, considera l'economia capitalistica quale causa dei suoi stessi limiti, si fonda sull'instabilità del processo di accumulazione e sulle ragioni che la producono.
Queste possono essere sintetizzate come segue:
— individualismo, legato alle diverse attese di profitto, che caratterizza le decisioni degli imprenditori e che determina un'allocazione delle risorse, tra produzione di beni strumentali e di consumo, non idonea a far crescere l'economia in modo regolare e continuo nel tempo;
— subordinazione del processo di accumulazione al fattore che lo alimenta: vale a dire al plusvalore (v.) e alla sua incerta realizzazione (vendita dei beni prodotti);
— progresso tecnologico, che, se da un lato, con l'introduzione di nuovi macchinari provoca una riduzione dei costi, inducendo gli imprenditori a privilegiare il capitale costante (impianti e macchinari), suscita, per converso, una caduta tendenziale del saggio di profitto e, in estrema analisi, degli investimenti.
Il modello Harrod-Domar. Precursori delle moderne teorie sulla crescita economica, gli economisti R. Harrod (v.) e E. Domar (v.) partendo da considerazioni diverse pervengono agli stessi risultati.
Le loro proposizioni, infatti, seppur elaborate autonomamente, vengono accomunate in un unico modello (v. Modello di sviluppo di sviluppo di Harrod).
Harrod dinamizza la teoria keynesiana (v. Keynes) del reddito nazionale (v.); Domar, invece, focalizza la sua attenzione sulle condizioni che favoriscono la crescita quando l'economia è in condizioni di piena occupazione (v.) e di massimo utilizzo della capacità produttiva. Per ambedue il tasso di crescita è determinato dalla propensione al risparmio (v.), considerata costante.
Teoria neoclassica. Il modello di crescita neoclassico (v. Neoclassici) è riferito alla sostituibilità dei fattori (capitale e lavoro) che compongono la funzione di produzione (v.). Vi è, quindi, una implicita critica al modello di Harrod-Domar che a quella funzione attribuirebbe, eccessiva rigidità.
Secondo tale scuola di pensiero, oltre certe condizioni, è possibile fissare un mix capitale-lavoro idoneo a garantire un tasso di crescita pari a quello indotto dall'aumento dell'offerta di lavoro. A differenza di quanto postulato dal modello Harrod-Domar, che lo assume come costante, il saggio garantito di crescita è funzione del grado di sostituibilità tra capitale e lavoro. In particolare, si presuppone una sostituibilità dal lato della produzione.
Il modello neokeynesiano. Critiche al modello Harrod-Domar vengono anche dal versante neokeynesiano e concernono la scarsa influenza attribuita alla distribuzione del reddito. Più precisamente, i neokeynesiani (v.), soffermando la loro attenzione sulla propensione al risparmio, asseriscono che essa è correlata alla suddivisione del reddito tra salari e profitti e alle caratteristiche della spesa di capitalisti e lavoratori. Ne consegue che, data per scontata una propensione al consumo (v.) decrescente e, dunque, una propensione al risparmio dei lavoratori minore di quella dei capitalisti, il saggio di crescita è funzione dell'incidenza salariale sul reddito nazionale.
Teoria della crescita endogena. I contributi più importanti alla teoria della crescita economica da parte dalla dottrina contemporanea riguardano i c.d. cambiamenti strutturali; più precisamente, le influenze del progresso tecnico sui meccanismi di accumulazione. Correlando le innovazioni tecnologiche a due variabili primarie come l'attività di ricerca e l'investimento in capitale umano (v.), le teorie sul progresso tecnico muovono dalla critica alle argomentazioni dell'economista statunitense R. Solow (v.). Questi, assunta l'innovazione tecnologica come variabile esogena (v.), la inserisce nalla funzione di produzione e la considera come l'unico elemento capace di mitigare il rendimento decrescente dei fattori produttivi.
La nuova corrente di pensiero che fa capo ad Arrow (v.), invece, introduce il concetto di crescita endogena. Partendo dalla nozione learning by doing (v.) Arrow sottolinea come un atto produttivo, se ripetuto, generi economie di scala (v.) e determini una crescita nella produttività del lavoro che diventa funzione del capitale disponibile e, quindi, indipendente da cause esterne.
Per l'economista Romer, invece, la quantità di lavoro più che funzione dello stock di capitale è un aggregato di conoscenze a disposizione degli operatori economici. Il fattore in oggetto è assimilabile ad un bene pubblico fruibile, una volta sul mercato, da tutti; l'innovazione tecnologica un patrimonio a disposizione dell'economia (v. Esternalità).
Nondimeno, laddove esistono forme di tutela (ad es. brevetti) che impediscano un utilizzo generalizzato dei risultati dell'attività di ricerca, possono configurarsi ipotesi monopolistiche attenuabili solo in presenza di meccanismi imitativi.
Secondo le teorizzazioni di Lucas (v.) che analizza, invece, il filone relativo al capitale umano, l'accumulazione di questo fattore dipende dalla gestione del tempo ascrivibile al singolo soggetto: vale a dire, alla suddivisione tra lavoro, tempo libero e apprendimento di nuove tecniche operative. Le conclusioni cui giunge lo studioso dimostrano che l'aumento di produttività è direttamente proporzionale al grado di preparazione raggiunto sia a livello di singola azienda che dell'economia nel suo complesso. Proprio quest'effetto esterno, alla stregua di quanto postulato da Romer, genera economie di scala e influenza la crescita. In particolare, il tasso di crescita sarà tanto più alto quanto maggiore è il capitale umano a disposizione e migliore il grado di preparazione di questo.