Capitalismo anglosassone

Capitalismo anglosassone

Concetto assunto a notorietà, nei primi anni Novanta, in seguito alla pubblicazione di uno studio di Michel Albert sulle caratteristiche istituzionali ed economiche del capitalismo negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni in genere.
In tali paesi l'assetto delle imprese è caratterizzato dalla netta divisione fra proprietari (azionisti privati, fondi di investimento, fondi pensione, imprese di assicurazione) e managers. Il ruolo degli azionisti nella gestione dell'impresa è sostanzialmente anonimo e marginale, poiché essi sono interessati solo al flusso di profitti che l'impresa è in grado di produrre.
Al contrario, ai managers è affidata l'effettiva gestione delle imprese; i loro obiettivi, però, possono essere profondamente diversi (a volte, addirittura in contrasto) da quelli dei proprietari: massimizzazione dei propri stipendi, semplice sopravvivenza dell'impresa ecc.
I conflitti fra azionisti e managers sorgono, vista la divisione dei compiti e i diversi obiettivi, nel momento in cui i primi vedono minacciati i loro diritti di proprietari. Da qui nasce la paura di acquisizione ostili, l'ossessione del breve periodo che conducono a stretegie aziendali spesso distruttive.
L'esistenza, poi, di un mercato finanziario molto dinamico e soprattutto molto informato sugli andamenti delle imprese, spinge i proprietari a pretendere delle strategie aziendali capaci di contenere eventuali take over ostili.
L'organizzazione e la gestione delle imprese nell'ambito del modello di capitalismo anglosassone sono diametralmente opposte a quelle riscontrabili nel modello di capitalismo renano (v.).