Autogestione
Autogestione
Forma di organizzazione e di direzione dell'impresa caratterizzata dalla proprietà dei mezzi di produzione e dalla piena partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali.
L'autogestione non è da confondere con la cogestione (v.), in cui la gestione dell'impresa è affidata congiuntamente ai lavoratori e ai rappresentanti del capitale.
Le esperienze di autogestione più significative sono state condotte in Algeria, in Israele (v. Kibbutz) e, soprattutto, in Jugoslavia. Qui il sistema dell'autogestione fu introdotto e regolato dalla legge in tutte le fabbriche di proprietà collettiva nel 1950. Inteso come forma nuova di socialismo anti-stalinista, negli anni Settanta venne esteso a tutti i settori produttivi, ivi compresi quelli dei servizi sociali e delle banche. Nel modello jugoslavo, l'Assemblea di tutti i lavoratori dell'unità economica eleggeva un Consiglio (15-120 membri, in carica per due anni), che determinava gli obiettivi di carattere generale nell'ambito di piani economici nazionali e locali. Il Consiglio, a sua volta, eleggeva un Comitato di gestione, competente per le decisioni ordinarie, e il Direttore dell'impresa, con funzinoi esecutive. I lavoratori, insomma, partecipavano direttamente alla gestione, fruivano dei risultati positivi e sopportavano i rischi, fermo restando uno stipendio minimo garantito dallo Stato. Poiché la proprietà dell'impresa era collettiva, quindi indivisibile, con la pensione o con il passaggio ad altre attività cessava ogni diritto sui frutti del lavoro svolto. Le critiche più severe al modello Jugoslavo vennero dal mondo comunista, per il quale esso oscurava la funzione dello Stato come unico datore di lavoro e rischiava di aumentare la disuguaglianza tra lavoratori secondo la fortuna o meno dell'impresa e la zona in cui era collocata. Per altri, invece, quella condotta emarginava l'individualismo, faceva strada alla solidarietà umana, e portava ad eliminare gli odi sociali provocati dalla divisione tra il lavoro ideativo, e quello di mera esecuzione, avviando così la democrazia industriale. Il modello jugoslavo venne sostanzialmente abbandonato con le elezioni politiche del 1990 e le successive riforme dell'economia.
Forma di organizzazione e di direzione dell'impresa caratterizzata dalla proprietà dei mezzi di produzione e dalla piena partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali.
L'autogestione non è da confondere con la cogestione (v.), in cui la gestione dell'impresa è affidata congiuntamente ai lavoratori e ai rappresentanti del capitale.
Le esperienze di autogestione più significative sono state condotte in Algeria, in Israele (v. Kibbutz) e, soprattutto, in Jugoslavia. Qui il sistema dell'autogestione fu introdotto e regolato dalla legge in tutte le fabbriche di proprietà collettiva nel 1950. Inteso come forma nuova di socialismo anti-stalinista, negli anni Settanta venne esteso a tutti i settori produttivi, ivi compresi quelli dei servizi sociali e delle banche. Nel modello jugoslavo, l'Assemblea di tutti i lavoratori dell'unità economica eleggeva un Consiglio (15-120 membri, in carica per due anni), che determinava gli obiettivi di carattere generale nell'ambito di piani economici nazionali e locali. Il Consiglio, a sua volta, eleggeva un Comitato di gestione, competente per le decisioni ordinarie, e il Direttore dell'impresa, con funzinoi esecutive. I lavoratori, insomma, partecipavano direttamente alla gestione, fruivano dei risultati positivi e sopportavano i rischi, fermo restando uno stipendio minimo garantito dallo Stato. Poiché la proprietà dell'impresa era collettiva, quindi indivisibile, con la pensione o con il passaggio ad altre attività cessava ogni diritto sui frutti del lavoro svolto. Le critiche più severe al modello Jugoslavo vennero dal mondo comunista, per il quale esso oscurava la funzione dello Stato come unico datore di lavoro e rischiava di aumentare la disuguaglianza tra lavoratori secondo la fortuna o meno dell'impresa e la zona in cui era collocata. Per altri, invece, quella condotta emarginava l'individualismo, faceva strada alla solidarietà umana, e portava ad eliminare gli odi sociali provocati dalla divisione tra il lavoro ideativo, e quello di mera esecuzione, avviando così la democrazia industriale. Il modello jugoslavo venne sostanzialmente abbandonato con le elezioni politiche del 1990 e le successive riforme dell'economia.