Servitù

L’art. 1027 c.c. definisce la servitù prediale come un peso imposto sopra un fondo (proedium = fondo) per l’utilità di un altro fondo appartenente ad un diverso proprietario. Il contenuto della servitù «si concreta sempre nel vantaggio per un fondo (c.d. fondo dominante) e nella restrizione del godimento di un altro fondo (c.d. fondo servente). Vantaggio e restrizione formano due aspetti correlati, che ineriscono talmente ai fondi da costituire una qualità dei medesimi, rispettivamente vantaggiosa e dannosa» (CUSANO).
In passato parte della dottrina era incline a ricondurre i rapporti di condominio nell’ambito della servitù, sulla scorta della considerazione che alcune parti dell’edificio (quelle comuni) «servono» le proprietà esclusive. Tale ormai antica dottrina è stata abbandonata, in quanto il rapporto di condominio si fonda da un lato sulla proprietà esclusiva di talune parti dell’edificio e dall’altro sulla comproprietà di tutti i condòmini per quanto concerne le parti, impianti e servizi comuni (TAMBORRINO). Il principio in base al quale non è possibile costituire una servitù a proprio vantaggio su di una cosa di cui si è proprietari o comproprietari (nemini res sua servit), esclude che i rapporti condominiali, o più correttamente i rapporti tra proprietà comune e proprietà esclusive, possano essere fatti rientrare nello schema delle servitù.
D’altro canto, parte della giurisprudenza, anche in tempi recenti, si è pronunciata a favore della legittimità della costituzione di una servitù a favore dell’unità immobiliare di proprietà di un singolo condòmino e a carico dei beni comuni, argomentando che il principio nemini res sua servit trova applicazione soltanto quando un’unica persona sia titolare del fondo servente e del fondo dominante, e non anche quando il proprietario di uno solo di questi sia comproprietario dell’altro, giacché, in tal caso, l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune (Trib. Milano 5-4-1990).
La disciplina delle servitù è applicabile al condominio nei rapporti tra quest’ultimo ed i terzi. Così può darsi il caso di una servitù non apparente (cioè non visibile mediante opere che stiano ad indicarne l’esercizio) di passaggio che venga a crearsi, a favore di un vicino, a carico del cortile condominiale non recintato, qualora vi sia l’esercizio ininterrotto ed indisturbato per almeno venti anni (in tale ipotesi, infatti, vi è la costituzione della servitù per usucapione). In una simile ipotesi, l’amministratore di condominio deve impedire che i vicini attraversino abusivamente il cortile condominiale, al fine di evitare che possano costituirsi dei pesi a carico della proprietà condominiale (TAMBORRINO).
Per la costituzione consensuale di servitù a carico della proprietà condominiale, in favore di terzi, è necessario il consenso dell’unanimità dei condòmini, in virtù del disposto di cui all’art. 1108, 3° co., c.c., applicabile anche al condominio negli edifici per il rinvio contenuto nell’art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione (Cass. 30-3-1993, n. 3865).
Nel caso in cui si versi, invece, nell’ipotesi di costituzione di servitù a favore del condominio, ed a carico del fondo di un terzo, la giurisprudenza ha precisato che va ravvisata non una pluralità di autonome servitù a favore delle unità immobiliari in cui è diviso l’edificio, ma un’unica servitù comune a tutti i partecipanti del condominio, in quanto tale servitù, oltre ad accedere all’intero stabile nel suo complesso, comprensivo dei singoli appartamenti e delle parti comuni, viene esercitata indistintamente da tutti i condòmini nel loro interesse collettivo del quale è espressione il condominio come organizzazione di gruppo (Cass. 1-10-1997, n. 9573).