Rendiconto dell’amministratore

L’amministratore, alla fine di ogni anno, deve rendere il conto della sua gestione (art. 1130, ult. co., c.c.). Può essere revocato dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condòmino, se per due anni non ha reso il conto, ovvero se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità (art. 1129, ult. co., c.c.).
L’obbligo di rendiconto mira a soddisfare la fondamentale esigenza di trasparenza della gestione condominiale e in generale deriva dalla natura del rapporto che, per effetto della nomina e della relativa accettazione, si instaura tra l’amministratore ed il condominio. Tale rapporto, infatti, è da ricondurre, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, alla figura del mandato, con la conseguenza che, pur non essendo l’art. 1130, ult. co., c.c. ricompreso tra le norme espressamente dichiarate inderogabili dall’art. 1138, ult. co., c.c., la resa del conto costituisce un atto dovuto ai sensi dell’art. 1713 c.c. ed è come tale insuscettibile di deroghe.
L’obbligo sussiste nei confronti dell’assemblea (quale tipica espressione della collettività condominiale mandante) e non dei singoli condòmini, i quali, individualmente e al di fuori della sede assembleare, non possono esercitare alcun controllo sull’operato dell’amministratore (contra Cass. 26-8-1998, n. 8460), ma solo adire l’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 1130, ult. co., c.c., per ottenerne la revoca qualora il mancato rendimento del conto si sia protratto per due anni o vi sia il fondato sospetto di gravi irregolarità di gestione, evidenziate, ad esempio, dal mancato versamento dei contributi previdenziali al personale dipendente, dalla presentazione di rendiconti incompleti o palesemente falsati, dalla stipulazione di contratti (per conto del condominio) in situazioni di conflitto.
Il rendiconto deve riguardare tutti gli aspetti dell’attività svolta dall’amministratore, affinché l’assemblea possa valutare il corretto adempimento dei suoi obblighi e la diligenza da lui osservata nell’espletamento dell’incarico conferitogli, sì da poter procedere alla sua conferma o revoca. Non è necessario che esso sia redatto con forme rigorose analoghe quelle prescritte per i bilanci delle società commerciali, ma è sufficiente che i criteri contabili osservati dall’amministratore siano idonei a rendere intelligibile ai condòmini le voci di entrata e di spesa, con le relative quote di ripartizione (Cass. 6-2-1984, n. 896; 20-4-1994, n. 3747). Il conto, inoltre, deve essere strutturato secondo il principio di cassa, e non di competenza, sicché le singole voci di spesa vanno contabilizzate in base alla data dell’effettivo pagamento (Trib. Milano 20-6-1991, n. 5036). Non si richiede che le voci siano trascritte nel verbale assembleare, né che siano oggetto di analitico dibattito in seno all’assemblea, rientrando nella facoltà di quest’ultima procedere ad un’approvazione sintetica del rendiconto, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore (Cass. 25-5-1984, n. 3231).
La delibera assembleare di approvazione del rendiconto può essere oggetto di impugnativa per annullamento ex art. 1137 c.c., mentre deve ritenersi addirittura nulla la delibera che approvi un rendiconto non veritiero per omissione o alterazione dei dati (SFORZA). In sede di impugnazione potrà essere proposta dal singolo condòmino in via incidentale l’azione di rendiconto ex art. 263 e ss. c.p.c.
Ai sensi dell’art. 1135, 1° co., n. 2), c.c., l’assemblea provvede anche in ordine «all’impiego dei residui attivi di gestione»: la relativa delibera può disporre la restituzione di tali residui ai condòmini, il loro immediato impiego o la costituzione di un fondo comune, mentre in mancanza di espressa deliberazione assembleare, anche quando i residui possano desumersi solo implicitamente dal rendiconto, si intende che essi debbano essere accreditati nei conti individuali dei condòmini, e conseguentemente ridotte, per compensazione, le quote di anticipazione dovute dagli stessi condòmini per l’anno successivo.