Opere nelle proprietà esclusive
Ai sensi dell’art. 1122 c.c., il condòmino non può eseguire, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, opere che rechino danni alle parti comuni dell’edificio.
Ciascun partecipante al condominio, perciò, nell’ambito della sua proprietà esclusiva, può effettuare tutte le opere di riparazione, miglioria o trasformazione, anche finalizzate al mutamento di destinazione, che ritiene opportune, purché tali opere non rechino danno alle parti comuni dell’edificio e non siano oltrepassati i limiti eventualmente previsti dal regolamento di condominio.
Affinché il condòmino possa effettuare opere nell’ambito della sua proprietà esclusiva, entro i limiti suddetti, non vi è necessità di alcuna autorizzazione da parte dell’assemblea. D’altro canto, nel caso di opere che arrechino danni a parti comuni o a beni di proprietà esclusiva, o ledano diritti di altri condòmini, un’eventuale delibera assembleare di autorizzazione sarebbe illegittima.
Va osservato che qualora l’opera vada a danneggiare un’altra proprietà esclusiva, non si versa nell’ambito di operatività dell’art. 1122, sicché è necessario operare una distinzione, al fine di individuare quali siano le norme applicabili caso per caso:
a) danni materiali: valgono i principi generali in materia di responsabilità;
b) immissioni nocive: questa fattispecie viene regolata dall’art. 844 c.c., con la precisazione che la tollerabilità, nell’ambito dei rapporti di vicinato, è un limite che varia in relazione a circostanze soggettive ed oggettive (es. la condizione dei luoghi), sicché ciò che in un determinato ambito potrebbe ritenersi non tollerabile dovrà invece essere sopportato in una situazione peculiare quale quella degli edifici in condominio;
c) diminuito godimento: spetta al giudice, in tale ipotesi, verificare in concreto, volta per volta, la legittimità o meno della nuova destinazione impressa dal condòmino alla propria unità immobiliare.
Il concetto di danno richiamato dall’art. 1122 non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modifica della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma va esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (Cass. 27-4-1989, n. 1947).
Ciascun partecipante al condominio, perciò, nell’ambito della sua proprietà esclusiva, può effettuare tutte le opere di riparazione, miglioria o trasformazione, anche finalizzate al mutamento di destinazione, che ritiene opportune, purché tali opere non rechino danno alle parti comuni dell’edificio e non siano oltrepassati i limiti eventualmente previsti dal regolamento di condominio.
Affinché il condòmino possa effettuare opere nell’ambito della sua proprietà esclusiva, entro i limiti suddetti, non vi è necessità di alcuna autorizzazione da parte dell’assemblea. D’altro canto, nel caso di opere che arrechino danni a parti comuni o a beni di proprietà esclusiva, o ledano diritti di altri condòmini, un’eventuale delibera assembleare di autorizzazione sarebbe illegittima.
Va osservato che qualora l’opera vada a danneggiare un’altra proprietà esclusiva, non si versa nell’ambito di operatività dell’art. 1122, sicché è necessario operare una distinzione, al fine di individuare quali siano le norme applicabili caso per caso:
a) danni materiali: valgono i principi generali in materia di responsabilità;
b) immissioni nocive: questa fattispecie viene regolata dall’art. 844 c.c., con la precisazione che la tollerabilità, nell’ambito dei rapporti di vicinato, è un limite che varia in relazione a circostanze soggettive ed oggettive (es. la condizione dei luoghi), sicché ciò che in un determinato ambito potrebbe ritenersi non tollerabile dovrà invece essere sopportato in una situazione peculiare quale quella degli edifici in condominio;
c) diminuito godimento: spetta al giudice, in tale ipotesi, verificare in concreto, volta per volta, la legittimità o meno della nuova destinazione impressa dal condòmino alla propria unità immobiliare.
Il concetto di danno richiamato dall’art. 1122 non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modifica della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma va esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (Cass. 27-4-1989, n. 1947).