Muro maestro

I muri maestri (fig. 25), ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c., sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piano dell’edificio, se il contrario non risulta dal titolo.
Per muri maestri devono intendersi quelli preposti a reggere o racchiudere l’edificio, integrando la struttura portante dello stesso, al fine di garantirne stabilità e sicurezza. Rientrano pertanto nell’ambito dei muri maestri i c.d. muri portanti, senza che rilevi il fatto che essi siano collocati all’esterno o all’interno del fabbricato. Nella categoria vanno altresì ricompresi i muri perimetrali in cemento armato (c.d. pannelli di rivestimento o di riempimento), giacché, pur non avendo funzione portante, costituiscono parte organica ed essenziale dell’intero immobile il quale, senza la delimitazione da essi operata, sarebbe uno «scheletro vuoto» privo di qualsiasi utilità (Cass. 7-3-1992, n. 2773).
I pannelli di riempimento o di rivestimento, inoltre, svolgono la fondamentale funzione di difesa dagli agenti atmosferici e fanno parte integrante della struttura e della linea architettonica dell’edificio, per cui si giustifica la «condominialità» degli stessi, la quale non viene meno anche qualora sia addossato ad essi il muro di un altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilità che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condòmini, senza alcuna ingerenza dell’uno sul muro dell’altro (Cass. 9-2-1982, n. 776).
Il muro maestro va tenuto distinto dalla facciata. Mentre il primo, come affermato in precedenza, ha una funzione strutturale dell’immobile, la facciata, lungi dall’assolvere a tale finalità, rileva esclusivamente ai fini dell’aspetto esteriore dello stesso.
Stante la funzione portante del muro maestro, non è consentito ai condòmini compiere, sullo stesso o su altre parti comuni del fabbricato, opere che ne comportino un indebolimento, perché ciò potrebbe causare pericoli alla stabilità dell’intero edificio (Cass. 17-10-1969, n. 3385). Al di fuori di tali limitazioni, deve ritenersi valida la regola generale secondo la quale ciascun condòmino può servirsi delle cose comuni, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condòmini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (art. 1102, 1° co., c.c.).