Innovazioni
Generalità - Ai sensi dell’art. 1120 c.c., i condòmini, con la maggioranza indicata dall’art. 1136, 5° co., c.c. (cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio), possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.
Sono vietate le innovazioni che possano arrecare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino.
La norma, secondo quanto disposto dall’art. 1138, ult. co., c.c., non è derogabile, e dunque il regolamento di condominio, sia esso contrattuale o assembleare, non può disporre diversamente.
Devono intendersi innovazioni quelle opere nuove che implicano una modificazione notevole della cosa comune, alterandone l’entità sostanziale o la destinazione originaria, con esclusione delle modificazioni che mirano puramente e semplicemente a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune.
Le innovazioni, dunque, presentano i seguenti due caratteri:
— oggettivo, e cioè il mutamento della destinazione o la modificazione sostanziale della cosa comune;
— soggettivo, e cioè l’interesse della maggioranza dei condòmini all’esecuzione dei lavori innovativi.
Le innovazioni possono essere:
— materiali, laddove comportino un mutamento fisico di una parte comune (si pensi, ad esempio, all’allargamento del portone di ingresso);
— immateriali, allorché si risolvano, sotto il profilo funzionale, in un mutamento di destinazione di una parte comune (ad esempio, trasformazione del lastrico solare in terrazza o del cortile in parcheggio).
Sotto un diverso profilo, esse possono essere così distinte:
— lecite, se dirette al miglior godimento della cosa comune;
— vietate, se pregiudicano la statica dell’edificio o il suo decoro architettonico o i diritti anche di un solo condòmino. Tale divieto, posto dall’art. 1120, ult. co., c.c., può essere superato, salvo che si tratti di innovazioni pericolose per la stabilità o la sicurezza dell’edificio, dalla volontà unanime dei condòmini, mancando la quale le relative deliberazioni assembleari sono nulle. Il consenso, che può essere espresso dai condòmini singolarmente ed autonomamente anche al di fuori dell’assemblea, deve risultare da atto scritto ad substantiam, poiché comporta l’imposizione di un peso di natura reale sul bene comune.
Innovazioni gravose e voluttuarie - Dalle innovazioni previste dall’art. 1120 vanno tenute distinte quelle di cui all’art. 1121 c.c., il quale disciplina le innovazioni c.d. gravoo voluttuarie. Le prime sono quelle innovazioni che comportano una spesa onerosa rispetto alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio (quale, ad esempio, l’installazione di un impianto di aria condizionata centralizzata in un edificio fatiscente). Sono da considerarsi, invece, innovazioni voluttuarie quelle non strettamente indispensabili o comunque prive di utilità pratica (ad esempio, l’installazione di statue di marmo nell’atrio dell’ingresso). Il carattere gravoso o voluttuario dell’innovazione va determinato con riguardo alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio, e non in considerazione di elementi personali attinenti alla situazione patrimoniale dei singoli condòmini.
L’onere di provare la gravosità di una innovazione è a carico di chi eccepisce la gravosità stessa. La valutazione concernente l’onerosità o la voluttuarietà di una innovazione costituisce un accertamento di fatto devoluto al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata.
Differenze tra innovazioni e modificazioni - Le innovazioni si differenziano dalle semplici modificazioni del bene comune. Al fine di comprendere correttamente la distinzione tra i due concetti è utile richiamare il corrente orientamento della giurisprudenza, la quale afferma che deve considerarsi innovazione non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene, operandone la trasformazione, ovvero determini la modificazione della sua destinazione. Ove la modificazione non assuma un tale rilievo, ma risponda solo allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo [vedi Miglioramenti; Uso della cosa comune], si versa nell’ambito dell’art. 1102 c.c. che, pur dettato in tema di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. (Cass. 11-1-1997, n. 240). In altri termini «la modificazione lascia la cosa come è, seppure essa risulti alla fine gravata di maggior utilizzo da parte del singolo, o migliorata per il godimento collettivo, mentre, a seguito della innovazione, la cosa comune appare diversa nella struttura e/o capace di soddisfare fini diversi, così che l’equilibrio originariamente esistente nella collettività circa l’uso della cosa comune si sposta globalmente ad un diverso livello» (SFORZA).
Sono vietate le innovazioni che possano arrecare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino.
La norma, secondo quanto disposto dall’art. 1138, ult. co., c.c., non è derogabile, e dunque il regolamento di condominio, sia esso contrattuale o assembleare, non può disporre diversamente.
Devono intendersi innovazioni quelle opere nuove che implicano una modificazione notevole della cosa comune, alterandone l’entità sostanziale o la destinazione originaria, con esclusione delle modificazioni che mirano puramente e semplicemente a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune.
Le innovazioni, dunque, presentano i seguenti due caratteri:
— oggettivo, e cioè il mutamento della destinazione o la modificazione sostanziale della cosa comune;
— soggettivo, e cioè l’interesse della maggioranza dei condòmini all’esecuzione dei lavori innovativi.
Le innovazioni possono essere:
— materiali, laddove comportino un mutamento fisico di una parte comune (si pensi, ad esempio, all’allargamento del portone di ingresso);
— immateriali, allorché si risolvano, sotto il profilo funzionale, in un mutamento di destinazione di una parte comune (ad esempio, trasformazione del lastrico solare in terrazza o del cortile in parcheggio).
Sotto un diverso profilo, esse possono essere così distinte:
— lecite, se dirette al miglior godimento della cosa comune;
— vietate, se pregiudicano la statica dell’edificio o il suo decoro architettonico o i diritti anche di un solo condòmino. Tale divieto, posto dall’art. 1120, ult. co., c.c., può essere superato, salvo che si tratti di innovazioni pericolose per la stabilità o la sicurezza dell’edificio, dalla volontà unanime dei condòmini, mancando la quale le relative deliberazioni assembleari sono nulle. Il consenso, che può essere espresso dai condòmini singolarmente ed autonomamente anche al di fuori dell’assemblea, deve risultare da atto scritto ad substantiam, poiché comporta l’imposizione di un peso di natura reale sul bene comune.
Innovazioni gravose e voluttuarie - Dalle innovazioni previste dall’art. 1120 vanno tenute distinte quelle di cui all’art. 1121 c.c., il quale disciplina le innovazioni c.d. gravoo voluttuarie. Le prime sono quelle innovazioni che comportano una spesa onerosa rispetto alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio (quale, ad esempio, l’installazione di un impianto di aria condizionata centralizzata in un edificio fatiscente). Sono da considerarsi, invece, innovazioni voluttuarie quelle non strettamente indispensabili o comunque prive di utilità pratica (ad esempio, l’installazione di statue di marmo nell’atrio dell’ingresso). Il carattere gravoso o voluttuario dell’innovazione va determinato con riguardo alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio, e non in considerazione di elementi personali attinenti alla situazione patrimoniale dei singoli condòmini.
L’onere di provare la gravosità di una innovazione è a carico di chi eccepisce la gravosità stessa. La valutazione concernente l’onerosità o la voluttuarietà di una innovazione costituisce un accertamento di fatto devoluto al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata.
Differenze tra innovazioni e modificazioni - Le innovazioni si differenziano dalle semplici modificazioni del bene comune. Al fine di comprendere correttamente la distinzione tra i due concetti è utile richiamare il corrente orientamento della giurisprudenza, la quale afferma che deve considerarsi innovazione non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene, operandone la trasformazione, ovvero determini la modificazione della sua destinazione. Ove la modificazione non assuma un tale rilievo, ma risponda solo allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo [vedi Miglioramenti; Uso della cosa comune], si versa nell’ambito dell’art. 1102 c.c. che, pur dettato in tema di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. (Cass. 11-1-1997, n. 240). In altri termini «la modificazione lascia la cosa come è, seppure essa risulti alla fine gravata di maggior utilizzo da parte del singolo, o migliorata per il godimento collettivo, mentre, a seguito della innovazione, la cosa comune appare diversa nella struttura e/o capace di soddisfare fini diversi, così che l’equilibrio originariamente esistente nella collettività circa l’uso della cosa comune si sposta globalmente ad un diverso livello» (SFORZA).