Giardino
Il giardino è costituito da un’area, di norma adiacente all’edificio condominiale, coltivata a prato e variamente piantumata ed organizzata (SFORZA).
Non essendo il giardino ricompreso tra quelle che l’art. 1117 c.c. definisce parti comuni dell’edificio, non vi è rispetto ad esso una presunzione legale di comunione, sicché il regime relativo alla sua proprietà deve essere concretamente individuato caso per caso. In dottrina, per la verità, non vi è uniformità di vedute sui criteri alla cui stregua il relativo accertamento deve procedere. Secondo alcuni Autori, infatti, il giardino non si distingue concettualmente dal cortile, avendosi riguardo esclusivamente alla particolare destinazione ed utilizzazione che di questo si faccia, mediante la coltivazione a verde e/o a piante da fiore. Sulla scorta di tale impostazione, dunque, deve desumersi che anche il giardino, al pari del cortile, si presume di proprietà comune.
Secondo altra opinione (LOVATI, MONEGAT), il giardino va considerato come entità autonoma e distinta rispetto al cortile con la conseguenza che, al fine di stabilirne la proprietà, qualora manchi una specifica disposizione nel regolamento di condominio ovvero nei singoli atti di acquisto, occorre far riferimento al criterio della disponibilità o a quello dell’uso esclusivo. Il giardino, dunque, «nel silenzio del titolo, apparterrà a chi ne ha l’uso o la disponibilità esclusiva, ovvero al condominio di cui costituisce una pertinenza».
Dello stesso avviso è quella dottrina (TERZAGO) secondo la quale il giardino, oltre a fornire aria e luce alle finestre che affacciano su di esso, ha una caratteristica peculiare che lo differenzia funzionalmente dal cortile, e cioè quella di concorrere al decoro architettonico dell’edificio condominiale. I giardini, dunque, «rivalutano i singoli appartamenti, offrendo ai proprietari una zona verde per le loro ore di riposo. Ne consegue che non rientrando la dizione in questione nell’art. 1117 c.c. non si può parlare di presunzione di comunione qualora manchi il titolo».
Secondo altri ancora (TAMBORRINO), i giardini sono da considerarsi di proprietà comune se ad essi possono accedere tutti i condòmini, compresi i giardini pensili installati sulla copertura di box o di piani sotterranei o sul lastrico solare, sempreché, però, ad essi possano accedere tutti i condòmini. Diversamente essi sono da considerarsi di proprietà esclusiva in quanto pertinenze delle unità immobiliari a cui servono.
La particolare funzione svolta dal giardino che, come si è detto, è quella di rivalutare il decoro architettonico dell’edificio e di fornire dunque una ulteriore utilità a tutti i condòmini (anche se non possono usufruirne direttamente) non è priva di conseguenze sul piano giuridico. Si configura, infatti, con riguardo al giardino, un vincolo di destinazione più intenso rispetto a quello del cortile, con la conseguenza che se, ad esempio, per la realizzazione, in quest’ultimo, di aree destinate al parcheggio sono sufficienti le maggioranze ordinarie, nel caso in cui la realizzazione di tali opere interessi un giardino vi è la necessità dell’unanimità dei consensi, e dunque di un atto di natura negoziale (Cass. 14-11-1977, n. 4922). Non sono inoltre ammesse opere di trasformazione che comportino un pregiudizio alle utilità che il giardino apporti ad altre parti dell’edificio, quali ad esempio la eliminazione di aiuole o la copertura con una veranda (Cass. 27-7-1984, n. 4451).
Diverso il caso in cui si intenda recintare aree verdi al fine di evitarne il calpestio. In tale ipotesi, infatti, lungi dal configurarsi una innovazione, si versa in un caso di mutamento delle modalità di utilizzazione del bene, che può essere deliberato con la maggioranza prevista dall’art. 1136, 2° co., c.c., e cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea ed almeno la metà del valore dell’edificio (Cass. 21-9-1977, n. 4035).
Con riguardo al giardino di proprietà esclusiva di uno dei condòmini, controverso in giurisprudenza è se questo vada calcolato o meno ai fini della determinazione dei millesimi di proprietà. Secondo una prima impostazione, infatti, nella determinazione del valore della proprietà di ciascun condòmino non va tenuto conto del giardino di sua proprietà esclusiva, in quanto questo costituisce una parte ben distinta dal fabbricato a cui è adiacente (Cass. 18-9-1948, n. 1615). Una diversa pronuncia ha invece stabilito che il giardino deve essere valutato ai fini della determinazione dei millesimi di proprietà (Trib. Roma 11-7-1977). La soluzione potrebbe essere di compromesso: se il giardino è di rilevanti dimensioni, esso non va calcolato ai fini della determinazione dei millesimi di proprietà; viceversa va calcolato il giardino di modeste dimensioni. Tuttavia, come è stato osservato (SANTORO), «non è affatto semplice stabilire con certezza quando il giardino sia di rilevanti dimensioni e quando no».
Non essendo il giardino ricompreso tra quelle che l’art. 1117 c.c. definisce parti comuni dell’edificio, non vi è rispetto ad esso una presunzione legale di comunione, sicché il regime relativo alla sua proprietà deve essere concretamente individuato caso per caso. In dottrina, per la verità, non vi è uniformità di vedute sui criteri alla cui stregua il relativo accertamento deve procedere. Secondo alcuni Autori, infatti, il giardino non si distingue concettualmente dal cortile, avendosi riguardo esclusivamente alla particolare destinazione ed utilizzazione che di questo si faccia, mediante la coltivazione a verde e/o a piante da fiore. Sulla scorta di tale impostazione, dunque, deve desumersi che anche il giardino, al pari del cortile, si presume di proprietà comune.
Secondo altra opinione (LOVATI, MONEGAT), il giardino va considerato come entità autonoma e distinta rispetto al cortile con la conseguenza che, al fine di stabilirne la proprietà, qualora manchi una specifica disposizione nel regolamento di condominio ovvero nei singoli atti di acquisto, occorre far riferimento al criterio della disponibilità o a quello dell’uso esclusivo. Il giardino, dunque, «nel silenzio del titolo, apparterrà a chi ne ha l’uso o la disponibilità esclusiva, ovvero al condominio di cui costituisce una pertinenza».
Dello stesso avviso è quella dottrina (TERZAGO) secondo la quale il giardino, oltre a fornire aria e luce alle finestre che affacciano su di esso, ha una caratteristica peculiare che lo differenzia funzionalmente dal cortile, e cioè quella di concorrere al decoro architettonico dell’edificio condominiale. I giardini, dunque, «rivalutano i singoli appartamenti, offrendo ai proprietari una zona verde per le loro ore di riposo. Ne consegue che non rientrando la dizione in questione nell’art. 1117 c.c. non si può parlare di presunzione di comunione qualora manchi il titolo».
Secondo altri ancora (TAMBORRINO), i giardini sono da considerarsi di proprietà comune se ad essi possono accedere tutti i condòmini, compresi i giardini pensili installati sulla copertura di box o di piani sotterranei o sul lastrico solare, sempreché, però, ad essi possano accedere tutti i condòmini. Diversamente essi sono da considerarsi di proprietà esclusiva in quanto pertinenze delle unità immobiliari a cui servono.
La particolare funzione svolta dal giardino che, come si è detto, è quella di rivalutare il decoro architettonico dell’edificio e di fornire dunque una ulteriore utilità a tutti i condòmini (anche se non possono usufruirne direttamente) non è priva di conseguenze sul piano giuridico. Si configura, infatti, con riguardo al giardino, un vincolo di destinazione più intenso rispetto a quello del cortile, con la conseguenza che se, ad esempio, per la realizzazione, in quest’ultimo, di aree destinate al parcheggio sono sufficienti le maggioranze ordinarie, nel caso in cui la realizzazione di tali opere interessi un giardino vi è la necessità dell’unanimità dei consensi, e dunque di un atto di natura negoziale (Cass. 14-11-1977, n. 4922). Non sono inoltre ammesse opere di trasformazione che comportino un pregiudizio alle utilità che il giardino apporti ad altre parti dell’edificio, quali ad esempio la eliminazione di aiuole o la copertura con una veranda (Cass. 27-7-1984, n. 4451).
Diverso il caso in cui si intenda recintare aree verdi al fine di evitarne il calpestio. In tale ipotesi, infatti, lungi dal configurarsi una innovazione, si versa in un caso di mutamento delle modalità di utilizzazione del bene, che può essere deliberato con la maggioranza prevista dall’art. 1136, 2° co., c.c., e cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea ed almeno la metà del valore dell’edificio (Cass. 21-9-1977, n. 4035).
Con riguardo al giardino di proprietà esclusiva di uno dei condòmini, controverso in giurisprudenza è se questo vada calcolato o meno ai fini della determinazione dei millesimi di proprietà. Secondo una prima impostazione, infatti, nella determinazione del valore della proprietà di ciascun condòmino non va tenuto conto del giardino di sua proprietà esclusiva, in quanto questo costituisce una parte ben distinta dal fabbricato a cui è adiacente (Cass. 18-9-1948, n. 1615). Una diversa pronuncia ha invece stabilito che il giardino deve essere valutato ai fini della determinazione dei millesimi di proprietà (Trib. Roma 11-7-1977). La soluzione potrebbe essere di compromesso: se il giardino è di rilevanti dimensioni, esso non va calcolato ai fini della determinazione dei millesimi di proprietà; viceversa va calcolato il giardino di modeste dimensioni. Tuttavia, come è stato osservato (SANTORO), «non è affatto semplice stabilire con certezza quando il giardino sia di rilevanti dimensioni e quando no».