Decoro architettonico
Per decoro architettonico deve intendersi l’estetica conferita allo stabile dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante, atta ad imprimere alle varie parti dell’edificio, nonché all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia (Cass. 8-6-1995, n. 6496).
Dal decoro architettonico deve essere tenuto distinto l’aspetto architettonico: mentre, infatti, il primo è una qualità positiva dell’edificio derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, con il secondo termine si vuole intendere la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio stesso, percepibile con immediatezza dall’osservatore esterno (Cass. 28-11-1987, n. 8861). La distinzione non è priva di rilievo pratico: la modifica strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell’edificio, infatti, pur non incidendo normalmente sull’aspetto architettonico, può comportare il venir meno di altre caratteristiche influenti sull’estetica dell’edificio, e dunque sul decoro architettonico del medesimo.
Ai sensi dell’art. 1120, 2° co., c.c., sono vietate le innovazioni che alterino il decoro architettonico dello stabile. Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano effettivamente pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest’ultimo si trovava prima dell’esecuzione delle opere, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole se apportata ad un edificio la cui estetica era già stata menomata a seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico (Cass. 29-7-1989, n. 3549). Va tuttavia sottolineato che del dovere del singolo condòmino di rispettare il decoro architettonico dello stabile non può «solo parlarsi nei casi in cui l’edificio sia stato costruito su progetto curato da tecnici specializzati od elaborato da artisti, ma anche nei casi in cui la costruzione, pur avendo carattere popolare, abbia una sua linea, risponda ad un disegno idoneo a dare all’edificio caratteristiche strutturali tali da attribuirgli una sua particolare fisionomia suscettibile, quindi, di essere danneggiata da opere che la modifichino» (TERZAGO).
Il decoro architettonico è un bene suscettibile di valutazione economica, in quanto concorre a determinare sia il valore della proprietà individuale sia quello della proprietà collettiva delle parti comuni. La sua tutela è stata apprestata dal legislatore proprio in considerazione della diminuzione di valore che la sua alterazione provoca all’intero edificio ed alle singole unità immobiliari che lo compongono. Il giudice, di conseguenza, oltre ad accertare se il decoro architettonico dell’edificio risulti leso o turbato, dovrà anche valutare se la lesione o la turbativa determini un deprezzamento dell’intero fabbricato: così, ad esempio, è stato ritenuto lecito il mutamento estetico che non determini un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni ad una utilità che compensi l’alterazione architettonica che non sia di grave ed appariscente entità (Cass. 15-5-1987, n. 4474).
Quanto alle opere non visibili, non vi è uniformità di vedute in giurisprudenza. Alcune pronunce, infatti, affermano che i manufatti i quali, posti in essere da singoli condòmini nelle rispettive proprietà esclusive, non siano visibili dall’esterno, non possono essere considerati lesivi del decoro architettonico dell’edificio, essendo determinante, in fatto di estetica dell’edificio, il criterio della visibilità dell’opera (Trib. Roma 13-11-1990, n. 3556). Altre, per converso, sostengono che anche la realizzazione di un soppalco in un appartamento integri, pur quando non sia visibile dall’esterno, gli estremi del pregiudizio al decoro ed all’aspetto architettonico dello stabile, essendo essa idonea a modificare l’originaria distribuzione interna degli spazi (Trib. Napoli 26-1-1994).
Nell’ipotesi in cui un complesso immobiliare sia costituito da più edifici adiacenti ma strutturalmente autonomi, e uno dei proprietari abbia apportato innovazioni all’edificio di sua esclusiva proprietà, si deve escludere il diritto al risarcimento del danno in capo ai proprietari degli edifici vicini, in quanto il divieto di innovazioni che alterino il decoro estetico ed architettonico dell’edificio opera esclusivamente nei rapporti tra i condòmini e presuppone, perciò, che l’edificio stesso sia in condominio (Cass. 27-4-1989, n. 1954).
Dal decoro architettonico deve essere tenuto distinto l’aspetto architettonico: mentre, infatti, il primo è una qualità positiva dell’edificio derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, con il secondo termine si vuole intendere la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio stesso, percepibile con immediatezza dall’osservatore esterno (Cass. 28-11-1987, n. 8861). La distinzione non è priva di rilievo pratico: la modifica strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell’edificio, infatti, pur non incidendo normalmente sull’aspetto architettonico, può comportare il venir meno di altre caratteristiche influenti sull’estetica dell’edificio, e dunque sul decoro architettonico del medesimo.
Ai sensi dell’art. 1120, 2° co., c.c., sono vietate le innovazioni che alterino il decoro architettonico dello stabile. Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano effettivamente pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest’ultimo si trovava prima dell’esecuzione delle opere, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole se apportata ad un edificio la cui estetica era già stata menomata a seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico (Cass. 29-7-1989, n. 3549). Va tuttavia sottolineato che del dovere del singolo condòmino di rispettare il decoro architettonico dello stabile non può «solo parlarsi nei casi in cui l’edificio sia stato costruito su progetto curato da tecnici specializzati od elaborato da artisti, ma anche nei casi in cui la costruzione, pur avendo carattere popolare, abbia una sua linea, risponda ad un disegno idoneo a dare all’edificio caratteristiche strutturali tali da attribuirgli una sua particolare fisionomia suscettibile, quindi, di essere danneggiata da opere che la modifichino» (TERZAGO).
Il decoro architettonico è un bene suscettibile di valutazione economica, in quanto concorre a determinare sia il valore della proprietà individuale sia quello della proprietà collettiva delle parti comuni. La sua tutela è stata apprestata dal legislatore proprio in considerazione della diminuzione di valore che la sua alterazione provoca all’intero edificio ed alle singole unità immobiliari che lo compongono. Il giudice, di conseguenza, oltre ad accertare se il decoro architettonico dell’edificio risulti leso o turbato, dovrà anche valutare se la lesione o la turbativa determini un deprezzamento dell’intero fabbricato: così, ad esempio, è stato ritenuto lecito il mutamento estetico che non determini un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni ad una utilità che compensi l’alterazione architettonica che non sia di grave ed appariscente entità (Cass. 15-5-1987, n. 4474).
Quanto alle opere non visibili, non vi è uniformità di vedute in giurisprudenza. Alcune pronunce, infatti, affermano che i manufatti i quali, posti in essere da singoli condòmini nelle rispettive proprietà esclusive, non siano visibili dall’esterno, non possono essere considerati lesivi del decoro architettonico dell’edificio, essendo determinante, in fatto di estetica dell’edificio, il criterio della visibilità dell’opera (Trib. Roma 13-11-1990, n. 3556). Altre, per converso, sostengono che anche la realizzazione di un soppalco in un appartamento integri, pur quando non sia visibile dall’esterno, gli estremi del pregiudizio al decoro ed all’aspetto architettonico dello stabile, essendo essa idonea a modificare l’originaria distribuzione interna degli spazi (Trib. Napoli 26-1-1994).
Nell’ipotesi in cui un complesso immobiliare sia costituito da più edifici adiacenti ma strutturalmente autonomi, e uno dei proprietari abbia apportato innovazioni all’edificio di sua esclusiva proprietà, si deve escludere il diritto al risarcimento del danno in capo ai proprietari degli edifici vicini, in quanto il divieto di innovazioni che alterino il decoro estetico ed architettonico dell’edificio opera esclusivamente nei rapporti tra i condòmini e presuppone, perciò, che l’edificio stesso sia in condominio (Cass. 27-4-1989, n. 1954).