Condominio
Quella del condominio negli edifici è la figura più importante, ed anche la più complessa, di comunione. La singolarità di questa figura sta nella coesistenza di proprietà solitarie situate su piani orizzontali (generalmente sovrapposti) e di parti comuni indivise, di guisa che ciascun partecipante alla comunione ha la proprietà esclusiva di uno o più piani (o porzioni di piano) e un diritto di comproprietà sulle parti comuni. Queste ultime sono individuate dall’art. 1117 c.c., anche se con elencazione non tassativa (il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, il tetto, il cortile, le scale e così via).
La comproprietà delle parti comuni dell’edificio è strumentale al godimento delle proprietà solitarie, sì che la destinazione delle prime al servizio delle seconde deve considerarsi necessaria e stabile. Conseguenze del predetto vincolo di destinazione funzionale sono la normale indivisibilità delle parti comuni dell’edificio, salvo che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso delle stesse a ciascun condòmino (art. 1119 c.c.), e l’impossibilità di sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione attraverso la rinunzia al diritto di comproprietà (art. 1118, 2° co., c.c.).
Possiamo affermare, perciò, che la quota di comproprietà spettante a ciascun condòmino sulle parti comuni costituisce un accessorio inseparabile della proprietà esclusiva sulla porzione di piano, al cui valore millesimale è commisurata, salvo che il titolo disponga diversamente.
Naturalmente questa necessaria e stabile coesistenza tra proprietà esclusive e parti comuni indivise non impedisce ai condòmini di godere e di disporre delle rispettive proprietà solitarie in modo pieno ed esclusivo. Gli unici due limiti che essi incontrano nell’esercizio di tali prerogative sono rappresentati rispettivamente dall’obbligo di non invadere le sfere private degli altri partecipanti, secondo le regole generali sui rapporti di vicinato (in quanto compatibili con la disciplina dei rapporti condominiali) e dal divieto di eseguire nel piano o porzione di piano di proprietà esclusiva opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio (art. 1122 c.c.).
Il condominio viene così a configurarsi come una struttura complessa nella quale coesistono beni soggetti ad un regime giuridico differenziato e in cui l’interesse collettivo tende a prevalere sugli interessi individuali dei condòmini. Le regole tipiche della proprietà individuale (insistente sulle porzioni di piano di cui i singoli sono titolari) convivono, infatti, con quelle proprie della comunione (che ha ad oggetto parti di cui l’intera collettività condominiale usufruisce), dando vita a reciproche interferenze.
Quando il numero dei condòmini è superiore a dieci è obbligatoria la formazione di un regolamento di condominio, il quale contenga le norme relative all’uso delle cose comuni e (eventualmente anche) alla ripartizione delle spese fra i condòmini, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascuno di essi, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle concernenti l’amministrazione (art. 1138, 1° co., c.c.).
La soluzione dei problemi di interesse comune è demandata all’assemblea dei condòmini che è l’organo deliberativo del condominio. L’assemblea può adottare qualsiasi provvedimento, anche non previsto dalla legge e dal regolamento, purché oggetto della delibera non sia una questione che riguardi le proprietà esclusive. Essa deve nominare un amministratore se i condòmini sono più di quattro (art. 1129 c.c.).
Resta da dire soltanto come nasce il condominio. I modi in cui esso può costituirsi sono molteplici, ma il caso più ricorrente è quello in cui l’originario unico proprietario o il costruttore del fabbricato trasferisca con successivi atti di alienazione le proprietà delle singole unità immobiliari che compongono l’immobile, convertendo l’intera proprietà in una pluralità di proprietà esclusive e di parti comuni indivise.
La comproprietà delle parti comuni dell’edificio è strumentale al godimento delle proprietà solitarie, sì che la destinazione delle prime al servizio delle seconde deve considerarsi necessaria e stabile. Conseguenze del predetto vincolo di destinazione funzionale sono la normale indivisibilità delle parti comuni dell’edificio, salvo che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso delle stesse a ciascun condòmino (art. 1119 c.c.), e l’impossibilità di sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione attraverso la rinunzia al diritto di comproprietà (art. 1118, 2° co., c.c.).
Possiamo affermare, perciò, che la quota di comproprietà spettante a ciascun condòmino sulle parti comuni costituisce un accessorio inseparabile della proprietà esclusiva sulla porzione di piano, al cui valore millesimale è commisurata, salvo che il titolo disponga diversamente.
Naturalmente questa necessaria e stabile coesistenza tra proprietà esclusive e parti comuni indivise non impedisce ai condòmini di godere e di disporre delle rispettive proprietà solitarie in modo pieno ed esclusivo. Gli unici due limiti che essi incontrano nell’esercizio di tali prerogative sono rappresentati rispettivamente dall’obbligo di non invadere le sfere private degli altri partecipanti, secondo le regole generali sui rapporti di vicinato (in quanto compatibili con la disciplina dei rapporti condominiali) e dal divieto di eseguire nel piano o porzione di piano di proprietà esclusiva opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio (art. 1122 c.c.).
Il condominio viene così a configurarsi come una struttura complessa nella quale coesistono beni soggetti ad un regime giuridico differenziato e in cui l’interesse collettivo tende a prevalere sugli interessi individuali dei condòmini. Le regole tipiche della proprietà individuale (insistente sulle porzioni di piano di cui i singoli sono titolari) convivono, infatti, con quelle proprie della comunione (che ha ad oggetto parti di cui l’intera collettività condominiale usufruisce), dando vita a reciproche interferenze.
Quando il numero dei condòmini è superiore a dieci è obbligatoria la formazione di un regolamento di condominio, il quale contenga le norme relative all’uso delle cose comuni e (eventualmente anche) alla ripartizione delle spese fra i condòmini, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascuno di essi, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle concernenti l’amministrazione (art. 1138, 1° co., c.c.).
La soluzione dei problemi di interesse comune è demandata all’assemblea dei condòmini che è l’organo deliberativo del condominio. L’assemblea può adottare qualsiasi provvedimento, anche non previsto dalla legge e dal regolamento, purché oggetto della delibera non sia una questione che riguardi le proprietà esclusive. Essa deve nominare un amministratore se i condòmini sono più di quattro (art. 1129 c.c.).
Resta da dire soltanto come nasce il condominio. I modi in cui esso può costituirsi sono molteplici, ma il caso più ricorrente è quello in cui l’originario unico proprietario o il costruttore del fabbricato trasferisca con successivi atti di alienazione le proprietà delle singole unità immobiliari che compongono l’immobile, convertendo l’intera proprietà in una pluralità di proprietà esclusive e di parti comuni indivise.