Ususfrùctus
Ususfrùctus [Usufrutto; cfr. artt. 978 ss. c.c.]
Diritto reale di godimento su cosa altrui [vedi iùra in re alièna], in virtù del quale il suo titolare poteva percepire dalla cosa i frutti [vedi fructus] ed, in genere, tutto ciò che ne rappresentava reddito normale.
Il diritto aveva ad oggetto una res fruttifera e inconsumabile. L’(—) in origine (III sec. a.C.) svolgeva una funzione alimentare: il testatore imponeva all’erede, mediante un legàtum sinendi modo [vedi], di lasciar percepire periodicamente i frutti di una cosa fruttifera alla vedova a cui era stato legato da matrimonium sine manu [vedi matrimonium] e che non poteva succedere ab intestato al marito.
In seguito si ammise che l’(—) potesse essere costituito mortis causa mediante legatum per vindicationem [vedi].
Per la sua originaria funzione alimentare, l’(—) in un primo momento si poteva costituire solo a favore di persone fisiche. In epoca classica si ammise che beneficiario potesse essere anche una persona giuridica.
Il giurista Paolo [vedi] definì l’istituto come il diritto di usare e fruire della cosa altrui, facendone salva la sostanza (iùs alienis rèbus utèndi fruèndi, salva rerum substàntia).
Caratteri fondamentali dell’istituto erano:
— la correlazione con la destinazione economica della cosa: l’usufruttuario non poteva mutare la destinazione del bene, né compiere atti di disposizione dello stesso (salva rerum substantia);
— la connessione inscindibile con la persona dell’usufruttuario:il diritto si estingueva con la morte o con la càpitis deminùtio [vedi] dello stesso;
— la temporaneità: l’usufrutto si estingueva a causa della morte dell’usufruttuario.
A tutela dell’istituto era concessa una vindicàtio ususfructus, chiamata in seguito da Giustiniano àctio confessoria servitùtis [vedi].
Oltre che con la morte o la capitis deminutio dell’usufruttuario, l’(—) si estingueva per consolidatio [vedi], per remissio [vedi] e per non usus [vedi], modi di estinzione sostanzialmente corrispondenti a quelli previsti per la servitus [vedi].
Diritto reale di godimento su cosa altrui [vedi iùra in re alièna], in virtù del quale il suo titolare poteva percepire dalla cosa i frutti [vedi fructus] ed, in genere, tutto ciò che ne rappresentava reddito normale.
Il diritto aveva ad oggetto una res fruttifera e inconsumabile. L’(—) in origine (III sec. a.C.) svolgeva una funzione alimentare: il testatore imponeva all’erede, mediante un legàtum sinendi modo [vedi], di lasciar percepire periodicamente i frutti di una cosa fruttifera alla vedova a cui era stato legato da matrimonium sine manu [vedi matrimonium] e che non poteva succedere ab intestato al marito.
In seguito si ammise che l’(—) potesse essere costituito mortis causa mediante legatum per vindicationem [vedi].
Per la sua originaria funzione alimentare, l’(—) in un primo momento si poteva costituire solo a favore di persone fisiche. In epoca classica si ammise che beneficiario potesse essere anche una persona giuridica.
Il giurista Paolo [vedi] definì l’istituto come il diritto di usare e fruire della cosa altrui, facendone salva la sostanza (iùs alienis rèbus utèndi fruèndi, salva rerum substàntia).
Caratteri fondamentali dell’istituto erano:
— la correlazione con la destinazione economica della cosa: l’usufruttuario non poteva mutare la destinazione del bene, né compiere atti di disposizione dello stesso (salva rerum substantia);
— la connessione inscindibile con la persona dell’usufruttuario:il diritto si estingueva con la morte o con la càpitis deminùtio [vedi] dello stesso;
— la temporaneità: l’usufrutto si estingueva a causa della morte dell’usufruttuario.
A tutela dell’istituto era concessa una vindicàtio ususfructus, chiamata in seguito da Giustiniano àctio confessoria servitùtis [vedi].
Oltre che con la morte o la capitis deminutio dell’usufruttuario, l’(—) si estingueva per consolidatio [vedi], per remissio [vedi] e per non usus [vedi], modi di estinzione sostanzialmente corrispondenti a quelli previsti per la servitus [vedi].