Tutela impùberum
Tutela impùberum [Tutela degli impuberi]
Forma di tutela (—) regolata già dall’antico costume e dalla legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum] cui erano sottoposti gli impuberes [vedi pùbertas] il cui pater fosse morto o càpite deminùtus [vedi capitis deminutio].
Nell’ambito della tutela impuberum, si distingueva:
— la tutela legitima, che trovava il suo fondamento nella legge: tùtor legitimus era necessariamente l’adgnàtus proximus [vedi];
— la tutela testamentaria, che trovava il suo fondamento in un testamento: il tutor testamentàrius o testamento datus era designato dal de cùius [vedi].
A partire dal III sec. a.C., essendo la (—) ormai considerata un’imprescindibile esigenza morale e sociale, una lex Atilia [vedi] impose al pretore di nominare un tutore (tutor Atiliànus o dativus o decretàlis) a coloro che ne fossero sprovvisti.
Successivamente una lex Iulia et Titia conferì la stessa competenza ai governatori per le rispettive province nonché, in concorrenza con il pretore romano, ai duoviri e quattuorviri iure dicundo dei municipi e delle colonie.
In origine, si riteneva che il tutore testamentario potesse rinunziare alla tutela (c.d. abdicàtio tutelæ [vedi]) ed il tutore legittimo potesse cedere la tutela ad altri (c.d. in iùre cèssio tutelæ [vedi]); in seguito, essendosi diffusa una nuova concezione della tutela, ormai intesa come istituto avente funzione protettiva di un soggetto incapace di gestire adeguatamente le sue attività, l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale mutò. La tutela fu considerata (anche a seguito della lex Atilia) come mùnus publicum (ufficio socialmente rilevante); si riconobbe al tutore designato dal magistrato la facoltà di rifiutare la tutela, soltanto previa indicazione di persona più idonea a ricoprire l’ufficio (c.d. potiòris nominàtio [vedi]).
In seguito, si stabilì che il tutor dativus (e successivamente ogni tutore) potesse essere dispensato dall’incarico soltanto in particolari casi tassativamente indicati dalla legge (c.d. excusàtio).
Non poteva rivestire la carica di tutore legittimo chi non fosse stato civis, sui iùris e pubere.
Il tutore aveva l’administràtio del patrimonio dell’impubere. I suoi poteri si concretavano nella gestio (cioè nella gestione degli affari dell’impubere) e nell’auctòritatis interposìtio (cioè nella integrazione della capacità del pupillo attraverso l’autorizzazione).
È da notare, inoltre, che mentre in epoca classica il tutor poteva compiere ogni atto di amministrazione, a partire dall’epoca postclassica divenne sempre più frequente l’uso di richiedere, da parte del tutore, l’autorizzazione al magistrato per porre in essere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione in ordine al patrimonio del pupillo.
Se il pupillo era “pubertàti pròximus”, poteva compiere personalmente i singoli atti giuridici, con l’assistenza e l’approvazione del tutore (auctoritatis interpositio).
Il tutore, al termine del periodo di tutela, era tenuto al rendimento dei conti. Avverso il tutore che aveva commesso malversazioni in danno del minore, era prevista un’àctio ratiònibus distrahèndis [vedi] (in duplum), infamante.
Contro il tutor testamentarius, che avesse compiuto malversazioni o frodi, con dolo o per colpa grave, era prevista una specifica actio populàris [vedi], accusàtio suspècti tutòris [vedi], infamante. Molto probabilmente quest’azione fu estesa in seguito anche agli altri tutori.
Verso la fine dell’età repubblicana fu poi introdotta una azione generale, l’actio tutelæ [vedi] che, indipendentemente dal carattere delittuoso dei singoli atti del tutore, poteva essere esperita ogni qualvolta il tutore si fosse sottratto ai doveri collegati al suo officium.
Allo scopo di assicurare una maggiore protezione dei diritti del pupillus, in epoca imperiale fu, altresì, concesso un nuovo mezzo di difesa, maggiormente efficace. La satisdàtio rem pupilli sàlvam fòre [vedi], dotata di portata generale, consisteva in una càutio che il tutor prestava, promettendo di salvaguardare il patrimonio pupillare.
Costantino accordò al pupillo una ipoteca legale sui beni del tutore, il quale era tenuto inoltre a redigere un inventario dei beni del pupillo.
La responsabilità del tutor fu variamente determinata col procedere dei secoli: in età classica il tutore era responsabile per le anomalie di gestione dipese da dolus malus [vedi]; in età postclassica egli fu ritenuto responsabile per dolus e per culpa [vedi]; nel diritto giustinianeo la sua responsabilità si estese alla culpa in concreto, cioè al mancato impiego nella gestione tutoria della diligèntia quam in sùis.
Le eventuali pretese vantate dal tutore in relazione alla sua gestione potevano essere tutelate mediante l’actio negotiòrum gestòrum [vedi].
Tra le cause di estinzione della (—), proprie del diritto romano, ricordiamo:
— la càpitis deminùtio [vedi] maxima o media del tutore;
— la rimozione del tutore sospetto (remòtio tutòris);
— la pazzia del tutore;
— la capitis deminutio (maxima, media o minima) del pupillo;
— il raggiungimento della pubertas da parte del pupillo;
— l’abdicàtio tutelæ da parte del tutor testamentarius;
— l’in iùre cèssio tutelæ operata dal tutor legitimus.
Forma di tutela (—) regolata già dall’antico costume e dalla legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum] cui erano sottoposti gli impuberes [vedi pùbertas] il cui pater fosse morto o càpite deminùtus [vedi capitis deminutio].
Nell’ambito della tutela impuberum, si distingueva:
— la tutela legitima, che trovava il suo fondamento nella legge: tùtor legitimus era necessariamente l’adgnàtus proximus [vedi];
— la tutela testamentaria, che trovava il suo fondamento in un testamento: il tutor testamentàrius o testamento datus era designato dal de cùius [vedi].
A partire dal III sec. a.C., essendo la (—) ormai considerata un’imprescindibile esigenza morale e sociale, una lex Atilia [vedi] impose al pretore di nominare un tutore (tutor Atiliànus o dativus o decretàlis) a coloro che ne fossero sprovvisti.
Successivamente una lex Iulia et Titia conferì la stessa competenza ai governatori per le rispettive province nonché, in concorrenza con il pretore romano, ai duoviri e quattuorviri iure dicundo dei municipi e delle colonie.
In origine, si riteneva che il tutore testamentario potesse rinunziare alla tutela (c.d. abdicàtio tutelæ [vedi]) ed il tutore legittimo potesse cedere la tutela ad altri (c.d. in iùre cèssio tutelæ [vedi]); in seguito, essendosi diffusa una nuova concezione della tutela, ormai intesa come istituto avente funzione protettiva di un soggetto incapace di gestire adeguatamente le sue attività, l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale mutò. La tutela fu considerata (anche a seguito della lex Atilia) come mùnus publicum (ufficio socialmente rilevante); si riconobbe al tutore designato dal magistrato la facoltà di rifiutare la tutela, soltanto previa indicazione di persona più idonea a ricoprire l’ufficio (c.d. potiòris nominàtio [vedi]).
In seguito, si stabilì che il tutor dativus (e successivamente ogni tutore) potesse essere dispensato dall’incarico soltanto in particolari casi tassativamente indicati dalla legge (c.d. excusàtio).
Non poteva rivestire la carica di tutore legittimo chi non fosse stato civis, sui iùris e pubere.
Il tutore aveva l’administràtio del patrimonio dell’impubere. I suoi poteri si concretavano nella gestio (cioè nella gestione degli affari dell’impubere) e nell’auctòritatis interposìtio (cioè nella integrazione della capacità del pupillo attraverso l’autorizzazione).
È da notare, inoltre, che mentre in epoca classica il tutor poteva compiere ogni atto di amministrazione, a partire dall’epoca postclassica divenne sempre più frequente l’uso di richiedere, da parte del tutore, l’autorizzazione al magistrato per porre in essere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione in ordine al patrimonio del pupillo.
Se il pupillo era “pubertàti pròximus”, poteva compiere personalmente i singoli atti giuridici, con l’assistenza e l’approvazione del tutore (auctoritatis interpositio).
Il tutore, al termine del periodo di tutela, era tenuto al rendimento dei conti. Avverso il tutore che aveva commesso malversazioni in danno del minore, era prevista un’àctio ratiònibus distrahèndis [vedi] (in duplum), infamante.
Contro il tutor testamentarius, che avesse compiuto malversazioni o frodi, con dolo o per colpa grave, era prevista una specifica actio populàris [vedi], accusàtio suspècti tutòris [vedi], infamante. Molto probabilmente quest’azione fu estesa in seguito anche agli altri tutori.
Verso la fine dell’età repubblicana fu poi introdotta una azione generale, l’actio tutelæ [vedi] che, indipendentemente dal carattere delittuoso dei singoli atti del tutore, poteva essere esperita ogni qualvolta il tutore si fosse sottratto ai doveri collegati al suo officium.
Allo scopo di assicurare una maggiore protezione dei diritti del pupillus, in epoca imperiale fu, altresì, concesso un nuovo mezzo di difesa, maggiormente efficace. La satisdàtio rem pupilli sàlvam fòre [vedi], dotata di portata generale, consisteva in una càutio che il tutor prestava, promettendo di salvaguardare il patrimonio pupillare.
Costantino accordò al pupillo una ipoteca legale sui beni del tutore, il quale era tenuto inoltre a redigere un inventario dei beni del pupillo.
La responsabilità del tutor fu variamente determinata col procedere dei secoli: in età classica il tutore era responsabile per le anomalie di gestione dipese da dolus malus [vedi]; in età postclassica egli fu ritenuto responsabile per dolus e per culpa [vedi]; nel diritto giustinianeo la sua responsabilità si estese alla culpa in concreto, cioè al mancato impiego nella gestione tutoria della diligèntia quam in sùis.
Le eventuali pretese vantate dal tutore in relazione alla sua gestione potevano essere tutelate mediante l’actio negotiòrum gestòrum [vedi].
Tra le cause di estinzione della (—), proprie del diritto romano, ricordiamo:
— la càpitis deminùtio [vedi] maxima o media del tutore;
— la rimozione del tutore sospetto (remòtio tutòris);
— la pazzia del tutore;
— la capitis deminutio (maxima, media o minima) del pupillo;
— il raggiungimento della pubertas da parte del pupillo;
— l’abdicàtio tutelæ da parte del tutor testamentarius;
— l’in iùre cèssio tutelæ operata dal tutor legitimus.