Tribùni plèbis
Tribùni plèbis [Tribuni della plebe]
I (—) erano i principali magistrati della plebe [vedi plebs]. Secondo la dottrina prevalente, l’origine del tribunato della plebe è da rinvenire in un atto rivoluzionario della plebe, che dopo aver creato i suoi magistrati si impegnò solennemente a difendere l’inviolabilità.
Controversa è la datazione in ordine all’istituzione di tale magistratura:
— alcuni autori ritengono che i (—) vennero istituiti in numero di quattro, intorno al 471 a.C.;
— secondo altra dottrina, la loro creazione in numero di due, va collocata nel 494 a.C., mentre nel 471 a.C. sarebbe stato solo elevato il numero di tribuni da due a quattro.
È, peraltro, pacifico che il loro numero crebbe progressivamente, al punto che, nel 449 a.C., i tribuni erano addirittura 10.
La nascita di tale magistratura, espressione del grado di organizzazione e della forza raggiunta dagli esponenti del ceto plebeo, fu motivata dalla necessità, profondamente avvertita dalla comunità di istituire dei capi in grado di guidarla nella lotta di classe e di far sentire il loro peso all’interno dell’ordinamento romano.
I (—) (in origine nominati senza particolari formalità), furono eletti dai comìtia tribùta [vedi], a partire dal 471 a.C. anno a cui si fa risalire l’istituzione di tale assemblea.
In seguito, la competenza a provvedere alla loro elezione fu attribuita ai concìlia plèbis [vedi].
I (—), privi di imperium [vedi], furono, pertanto, un organo a carattere prettamente rivoluzionario; i loro poteri (di natura squisitamente difensiva), si estrinsecavano essenzialmente nell’auxìlium plèbis, ossia nella protezione della plebe e della sua organizzazione assembleare dagli arbitrii del patriziato.
Strumento ed espressione di detto potere divenne l’intercèssio tribunìcia [vedi], ossia il potere di veto, opponibile contro qualsiasi atto degli organi cittadini.
Tra i poteri attribuiti ai (—) vanno annoverati anche:
— il iùs agèndi cum plebe, ossia il potere di convocare e presiedere i concilia plebis [vedi];
— il ius coercitiònis, esercitabile nei confronti di tutti i cittadini consistente nel potere di irrogare multe, di arrestare i riottosi, di condurre coattivamente gli imputati di reati di carattere politico dinanzi ai tribunali popolari e, persino, di uccidere senza processo i nemici del popolo.
Venuta meno la differenziazione tra patrizi e plebei, i (—) divennero organo di protezione degli interessi popolari (cioè delle classi economicamente più deboli) contro gli abusi perpetrati dai magistrati repubblicani.
In età imperiale il tribunàtus plebis, congiuntamente a tutte le istituzioni repubblicane, perse importanza; la tribunicia potestas [vedi] finì col rientrare tra le prorogative imperiali.
I (—) erano i principali magistrati della plebe [vedi plebs]. Secondo la dottrina prevalente, l’origine del tribunato della plebe è da rinvenire in un atto rivoluzionario della plebe, che dopo aver creato i suoi magistrati si impegnò solennemente a difendere l’inviolabilità.
Controversa è la datazione in ordine all’istituzione di tale magistratura:
— alcuni autori ritengono che i (—) vennero istituiti in numero di quattro, intorno al 471 a.C.;
— secondo altra dottrina, la loro creazione in numero di due, va collocata nel 494 a.C., mentre nel 471 a.C. sarebbe stato solo elevato il numero di tribuni da due a quattro.
È, peraltro, pacifico che il loro numero crebbe progressivamente, al punto che, nel 449 a.C., i tribuni erano addirittura 10.
La nascita di tale magistratura, espressione del grado di organizzazione e della forza raggiunta dagli esponenti del ceto plebeo, fu motivata dalla necessità, profondamente avvertita dalla comunità di istituire dei capi in grado di guidarla nella lotta di classe e di far sentire il loro peso all’interno dell’ordinamento romano.
I (—) (in origine nominati senza particolari formalità), furono eletti dai comìtia tribùta [vedi], a partire dal 471 a.C. anno a cui si fa risalire l’istituzione di tale assemblea.
In seguito, la competenza a provvedere alla loro elezione fu attribuita ai concìlia plèbis [vedi].
I (—), privi di imperium [vedi], furono, pertanto, un organo a carattere prettamente rivoluzionario; i loro poteri (di natura squisitamente difensiva), si estrinsecavano essenzialmente nell’auxìlium plèbis, ossia nella protezione della plebe e della sua organizzazione assembleare dagli arbitrii del patriziato.
Strumento ed espressione di detto potere divenne l’intercèssio tribunìcia [vedi], ossia il potere di veto, opponibile contro qualsiasi atto degli organi cittadini.
Tra i poteri attribuiti ai (—) vanno annoverati anche:
— il iùs agèndi cum plebe, ossia il potere di convocare e presiedere i concilia plebis [vedi];
— il ius coercitiònis, esercitabile nei confronti di tutti i cittadini consistente nel potere di irrogare multe, di arrestare i riottosi, di condurre coattivamente gli imputati di reati di carattere politico dinanzi ai tribunali popolari e, persino, di uccidere senza processo i nemici del popolo.
Venuta meno la differenziazione tra patrizi e plebei, i (—) divennero organo di protezione degli interessi popolari (cioè delle classi economicamente più deboli) contro gli abusi perpetrati dai magistrati repubblicani.
In età imperiale il tribunàtus plebis, congiuntamente a tutte le istituzioni repubblicane, perse importanza; la tribunicia potestas [vedi] finì col rientrare tra le prorogative imperiali.