Succèssio ab intestàto

Succèssio ab intestàto [Successione legittima; cfr. artt. 565 ss. c.c.]

Era una delle forme di successione a titolo universale per causa di morte [vedi successio mòrtis causa]: aveva luogo nei casi in cui il defunto [vedi de cùius] non avesse lasciato un testamento, o quest’ultimo fosse diventato nullo, oppure se nessuno degli eredi istituiti avesse accettato l’eredità.
È opportuno, in relazione alle numerose trasformazioni subite dalla (—), compiere un esame delle sue applicazioni nelle varie epoche del diritto romano:
— in epoca arcaica, la (—) regolata dal iùs civile [vedi] aveva luogo in favore degli herèdes sui [vedi] o, in mancanza, degli adgnati [vedi] (per primo, l’adgnàtus proximus [vedi]), e dei libèrti [vedi libertus);
— a partire dalla fine dell’età repubblicana, il sistema civilistico divenne impopolare (si pensi che tra marito e moglie e tra madre e figli, se il matrimonio era sine manu [vedi matrimònium], non vi era alcun diritto di successione e che, inoltre, i figli emancipati erano esclusi dalla successione paterna, così come i parenti in linea femminile): al fine di correggerlo, intervenne il pretore, concedendo la bonòrum possèssio sine tàbulis [vedi] ed individuando quattro categorie di successibili [vedi ordo] subordinati l’uno all’altro, di modo che non si passava all’ordo successivo se non fossero stati esauriti i gradi interni a quello precedente:
ordo unde lìberi;
ordo unde legitimi;
ordo unde cognati;
ordo unde vir et ùxor;
— in diritto postclassico e giustinianeo, il sistema fin qui illustrato fu perfezionato, ricomprendendo numerose altre fattispecie.