Sponsàlia
Sponsàlia [Sponsali; cfr. art. 79 c.c.]
Col termine (—), in epoca classica, si designavano le stipulatiònes, assunte nelle forme della spònsio [vedi] (da cui il nome), con cui il pater familias [vedi] della donna ed il futuro marito si impegnavano, il primo a darla ed il secondo a prenderla in moglie.
(—) erano pertanto le promesse reciproche di futuro matrimonio.
Probabilmente, in epoca antica, tali obbligazioni erano produttive di effetti giuridici; in epoca classica, invece, esse non creavano veri e propri obblighi e non richiedevano neppure una forma solenne.
In diritto postclassico, l’istituto subì notevoli modifiche. La promessa di matrimonio, infatti, non solo comportava il sorgere di obblighi tra il futuro marito ed il pater familias della sposa, ma creava anche un vero e proprio rapporto tra gli stessi fidanzati che, a seguito della promessa, finivano con l’esser soggetti a buona parte delle norme che regolavano la vita coniugale (es. le norme in materia di impedimento a nuove nozze e le norme sull’adulterio).
Per rafforzare, poi, tale obbligo, vennero introdotte, probabilmente dalla legislazione orientale, le arrhæ sponsaliciæ [vedi arrha sponsalicia], modellate sulla caparra contrattuale ed oggetto di una dettagliata regolamentazione nel periodo postclassico.
Se il fidanzamento fosse stato sciolto dalla donna o dalla sua famiglia, le arrhæ dovevano essere restituite nella misura del quadruplo (in seguito fu ridotta al duplum), salvo che si trattasse di donna minore di 10 anni, nel qual caso dovevano essere restituite nel simplum; se fosse stato il fidanzato a sciogliere il fidanzamento, avrebbe perso le arrhæ.
Furono individuate, peraltro, delle giuste cause di scioglimento della promessa, sia da parte del fidanzato che della fidanzata (ad es., l’impotenza del fidanzato, la condotta immorale dell’uno o dell’altra, etc.) in presenza delle quali la restituzione delle arrhæ avveniva in simplum.
Per gli sponsali, in epoca postclassica, erano richiesti gli stessi consensi occorrenti per il matrimonio.
Col termine (—), in epoca classica, si designavano le stipulatiònes, assunte nelle forme della spònsio [vedi] (da cui il nome), con cui il pater familias [vedi] della donna ed il futuro marito si impegnavano, il primo a darla ed il secondo a prenderla in moglie.
(—) erano pertanto le promesse reciproche di futuro matrimonio.
Probabilmente, in epoca antica, tali obbligazioni erano produttive di effetti giuridici; in epoca classica, invece, esse non creavano veri e propri obblighi e non richiedevano neppure una forma solenne.
In diritto postclassico, l’istituto subì notevoli modifiche. La promessa di matrimonio, infatti, non solo comportava il sorgere di obblighi tra il futuro marito ed il pater familias della sposa, ma creava anche un vero e proprio rapporto tra gli stessi fidanzati che, a seguito della promessa, finivano con l’esser soggetti a buona parte delle norme che regolavano la vita coniugale (es. le norme in materia di impedimento a nuove nozze e le norme sull’adulterio).
Per rafforzare, poi, tale obbligo, vennero introdotte, probabilmente dalla legislazione orientale, le arrhæ sponsaliciæ [vedi arrha sponsalicia], modellate sulla caparra contrattuale ed oggetto di una dettagliata regolamentazione nel periodo postclassico.
Se il fidanzamento fosse stato sciolto dalla donna o dalla sua famiglia, le arrhæ dovevano essere restituite nella misura del quadruplo (in seguito fu ridotta al duplum), salvo che si trattasse di donna minore di 10 anni, nel qual caso dovevano essere restituite nel simplum; se fosse stato il fidanzato a sciogliere il fidanzamento, avrebbe perso le arrhæ.
Furono individuate, peraltro, delle giuste cause di scioglimento della promessa, sia da parte del fidanzato che della fidanzata (ad es., l’impotenza del fidanzato, la condotta immorale dell’uno o dell’altra, etc.) in presenza delle quali la restituzione delle arrhæ avveniva in simplum.
Per gli sponsali, in epoca postclassica, erano richiesti gli stessi consensi occorrenti per il matrimonio.