Socìetas

Socìetas [Società; cfr. artt. 2247 ss. c.c.]

Contratto consensuale con il quale due o più soggetti (socii) si obbligavano reciprocamente a mettere in comune beni o attività, in quantità anche disuguali, allo scopo di compiere una o più operazioni economiche, dividendo tra tutti, secondo criteri prestabiliti, i guadagni o le eventuali perdite.
La (—) si inquadra tra le obligatiònes ex contractu, altrimenti dette obligationes consensu contractæ [vedi], perché derivanti dal semplice accordo.
Le origini della (—) sono molto discusse. Per alcuni essa risulterebbe da un adattamento del vecchio istituto del consòrtium ercto non cito [vedi]. Con ogni probabilità la (—) derivò dal consolidarsi di prassi largamente seguite nel commercio mediterraneo. L’intensificarsi delle relazioni con gli altri popoli, a partire dal III sec. a.C., impose la necessità, da un lato, di raggruppare ingenti somme, dall’altro di sopportare in comune i rischi di operazioni economiche di vasta portata. Il riconoscimento di tale contratto è da attribuirsi all’attività giurisdizionale del prætor peregrìnus, nell’ambito dei rapporto del iùs gentium [vedi].
Si distingueva tra:
— (—) òmnium bonòrum [vedi];
— (—) unìus rei o negotiatiònis [vedi].
Obblighi del socio erano:
apportare in società quanto aveva promesso. Se il suo apporto aveva per oggetto cose, egli doveva trasferire agli altri, con mancipatiònes [vedi mancipàtio] o traditiònes [vedi tradìtio] varie, una quota di esse, in modo da creare una comunione sulle cose stesse;
rendere comuni gli acquisti fatti per la società.
Salvo diverso accordo delle parti gli utili e le perdite erano ripartiti in egual misura: l’accordo tra i socii poteva giungere ad esimere totalmente dalla sopportazione delle perdite un socio cui era riservata una partecipazione agli utili, ma non poteva escludere la partecipazione agli utili di un socio che partecipava, sia pure parzialmente, alle perdite (societas leonìna).
Il consenso doveva essere persèverans, cioè doveva sussistere fino al momento del conseguimento del fine sociale o della scadenza del termine.
La società si estingueva:
ex personis, e cioè per morte o càpitis deminùtio [vedi] di uno dei soci;
ex rèbus, e cioè per il raggiungimento del fine sociale o per la sopravvenuta impossibilità di raggiungerlo;
ex voluntàte, e cioè per volontà dei soci, per la scadenza del termine fissato o per rinuncia (c.d. renuntiàtio);
ex actiòne, a seguito dell’esercizio dell’azione di divisione.
In epoca giustinianea fu considerata causa di scioglimento della società anche il fallimento di uno dei soci.
La società produceva effetti solo tra i soci, non essendo riconosciuta la possibilità di creare enti con capacità giuridica. Unica eccezione era rappresentata dalla societas publicanòrum, costituita per l’assegnazione dell’appalto di tutto il reddito di imposte (pùblica) ricavabile da una certa provincia o per l’appalto di grandi opere pubbliche.
Le obbligazioni reciproche derivanti dal contratto di società erano sanzionate dall’àctio pro socio [vedi], actio civile e di buona fede: essa poteva essere esperita come azione generale di rendiconto finale della società, ma poteva anche essere intentata perdurante il rapporto di società.
Essa importava, per la fiduciarietà del vincolo infranto, l’infamia [vedi] del condannato.