Sèrvus
Sèrvus [Schiavo]
Viene così denominato lo schiavo, cioè il soggetto privo dello status libertatis [vedi status] e quindi non libero.
Giuridicamente il (—) era considerato una res [vedi]. Lo status di schiavo si acquistava:
— per nascita;
— in seguito a condanne penali o provvedimenti normativi che riducevano in schiavitù soggetti resisi responsabili di gravi delitti;
— a seguito di prigionia in guerra.
Talora lo stesso cittadino romano poteva diventare (—) [vedi iusta sèrvitus].
Nella Roma delle origini, la schiavitù non ebbe grande rilevanza; solo a partire dal IV sec. a.C., l’istituto si diffuse grandemente, fino a diventare il nerbo della vita economica di Roma.
Al pari di tutte le altre res, il (—) era oggetto di domìnium ex iùre Quirìtium [vedi] e, più in generale di rapporti patrimoniali (proprietà, usufrutto, pegno, possesso). Le lesioni procurate al (—) o l’uccisione dello stesso rientravano nell’ambito del dàmnum iniùria datum [vedi] e pertanto erano puniti come danneggiamento.
Sotto taluni profili i Romani, tuttavia, consideravano lo schiavo come persona. Egli poteva ad es. partecipare ai sacra [vedi] della città e della familia del dòminus. Inoltre, si riteneva che lo schiavo fosse responsabile penalmente, dal momento che la pena afflittiva non richiedeva capacità giuridica, ma la mera capacità di soffrire. Anche la famiglia dello schiavo riceveva una certa tutela: era sancito il divieto di separare le famiglie dei servi, sebbene l’unione tra schiavi, ancorché permanente, non fosse considerata come matrimonio, ma come fatto puramente materiale (contubèrnium [vedi]).
Il dominus aveva sullo schiavo quello stesso potere che la legge gli riconosceva su qualsiasi res [vedi dominica potestas]. La facoltà di disporre, che poteva arrivare sino alla uccisione, fu, peraltro, grandemente temperata attraverso le varie epoche storiche: si giunse, infatti, a ritenere perseguibile penalmente il dominus che ingiustificatamente avesse soppresso o maltrattato uno schiavo o lo avesse sottoposto a sevizie ripugnanti per la collettività.
In ordine ai rapporti patrimoniali, la condizione degli schiavi era simile a quella dei filii familias [vedi Familia; pater familias; status (familiae); patria potestas], giacché la capacità patrimoniale spettava solo al pater familias. Lo schiavo poteva compiere autonomamente atti giuridici, ma i relativi effetti si riversavano nel patrimonio del dominus; attraverso lo schiavo era possibile acquistare ed esercitare il possesso.
Il dominus spesso assegnava ai suoi sottoposti più meritevoli un piccolo patrimonio (pecùlium [vedi]) (di cui rimaneva, peraltro, di diritto il proprietario) da amministrare e godere per l’esercizio di talune attività.
Solo attraverso l’introduzione del peculium si arrivò gradualmente ad attribuire valore vincolante alle obbligazioni contratte dai servi, prima reputate solamente obbligazioni naturali [vedi obligatio naturalis]. Col tempo il pretore cominciò ad accordare ai creditori del (—) delle azioni c.d. adiecticiæ qualitàtis [vedi obligatio naturalis], in virtù delle quali il dominus era ritenuto obbligato, verso gli stessi creditori, nei limiti del profitto ricevuto o del peculio attribuito allo schiavo.
Il dominus, altresì, era responsabile degli atti illeciti commessi dal (—); se lo schiavo commetteva un delitto privato, il pater, a fronte dell’àctio noxàlis [vedi] esercitata dalla parte lesa, poteva o pagare la pena o abbandonare il reo al danneggiato (nòxæ dedìtio [vedi]). Qualora lo schiavo fosse stato abbandonato dal dominus (c.d. derelìctio [vedi]), poteva essere acquistato da altri per occupazione.
Lo schiavo poteva riacquistare la libertà attraverso la manumìssio [vedi].
Viene così denominato lo schiavo, cioè il soggetto privo dello status libertatis [vedi status] e quindi non libero.
Giuridicamente il (—) era considerato una res [vedi]. Lo status di schiavo si acquistava:
— per nascita;
— in seguito a condanne penali o provvedimenti normativi che riducevano in schiavitù soggetti resisi responsabili di gravi delitti;
— a seguito di prigionia in guerra.
Talora lo stesso cittadino romano poteva diventare (—) [vedi iusta sèrvitus].
Nella Roma delle origini, la schiavitù non ebbe grande rilevanza; solo a partire dal IV sec. a.C., l’istituto si diffuse grandemente, fino a diventare il nerbo della vita economica di Roma.
Al pari di tutte le altre res, il (—) era oggetto di domìnium ex iùre Quirìtium [vedi] e, più in generale di rapporti patrimoniali (proprietà, usufrutto, pegno, possesso). Le lesioni procurate al (—) o l’uccisione dello stesso rientravano nell’ambito del dàmnum iniùria datum [vedi] e pertanto erano puniti come danneggiamento.
Sotto taluni profili i Romani, tuttavia, consideravano lo schiavo come persona. Egli poteva ad es. partecipare ai sacra [vedi] della città e della familia del dòminus. Inoltre, si riteneva che lo schiavo fosse responsabile penalmente, dal momento che la pena afflittiva non richiedeva capacità giuridica, ma la mera capacità di soffrire. Anche la famiglia dello schiavo riceveva una certa tutela: era sancito il divieto di separare le famiglie dei servi, sebbene l’unione tra schiavi, ancorché permanente, non fosse considerata come matrimonio, ma come fatto puramente materiale (contubèrnium [vedi]).
Il dominus aveva sullo schiavo quello stesso potere che la legge gli riconosceva su qualsiasi res [vedi dominica potestas]. La facoltà di disporre, che poteva arrivare sino alla uccisione, fu, peraltro, grandemente temperata attraverso le varie epoche storiche: si giunse, infatti, a ritenere perseguibile penalmente il dominus che ingiustificatamente avesse soppresso o maltrattato uno schiavo o lo avesse sottoposto a sevizie ripugnanti per la collettività.
In ordine ai rapporti patrimoniali, la condizione degli schiavi era simile a quella dei filii familias [vedi Familia; pater familias; status (familiae); patria potestas], giacché la capacità patrimoniale spettava solo al pater familias. Lo schiavo poteva compiere autonomamente atti giuridici, ma i relativi effetti si riversavano nel patrimonio del dominus; attraverso lo schiavo era possibile acquistare ed esercitare il possesso.
Il dominus spesso assegnava ai suoi sottoposti più meritevoli un piccolo patrimonio (pecùlium [vedi]) (di cui rimaneva, peraltro, di diritto il proprietario) da amministrare e godere per l’esercizio di talune attività.
Solo attraverso l’introduzione del peculium si arrivò gradualmente ad attribuire valore vincolante alle obbligazioni contratte dai servi, prima reputate solamente obbligazioni naturali [vedi obligatio naturalis]. Col tempo il pretore cominciò ad accordare ai creditori del (—) delle azioni c.d. adiecticiæ qualitàtis [vedi obligatio naturalis], in virtù delle quali il dominus era ritenuto obbligato, verso gli stessi creditori, nei limiti del profitto ricevuto o del peculio attribuito allo schiavo.
Il dominus, altresì, era responsabile degli atti illeciti commessi dal (—); se lo schiavo commetteva un delitto privato, il pater, a fronte dell’àctio noxàlis [vedi] esercitata dalla parte lesa, poteva o pagare la pena o abbandonare il reo al danneggiato (nòxæ dedìtio [vedi]). Qualora lo schiavo fosse stato abbandonato dal dominus (c.d. derelìctio [vedi]), poteva essere acquistato da altri per occupazione.
Lo schiavo poteva riacquistare la libertà attraverso la manumìssio [vedi].